I giovani e il sindacato. Seconda giornata di seminario
La giornata conclusiva di una riflessione che ha aperto una marea di problemi. Il rapporto con i giovani e con le nuove forme di lavoro interroga il sindacato nel profondo, anche nel suo modo di organizzarsi e nelle sue politiche rivendicative.
La seconda e conclusiva giornata del seminario "Adesso e domani: percorsi, emozioni e diritti di una generazione. I giovani e il sindacato" ha tentato di raccogliere i frutti e le suggestioni della discussione del giorno precedente. In realtà la discussione era iniziata alcune settimane prima con alcuni focus group di cui hanno dato conto Mara Mellace e Mauro D'Arcangelo. Sono stati i momenti di ascolto e di raccolta di informazioni sulla condizione giovanile e sul precariato su cui è stato costruito il seminario. I focus group, che sono un metodo di ricerca sociale e di rilevazione, sono stati impostati su domande a risposta chiusa e domande a risposta aperta. La loro finalità era conoscere le aspettative degli interrogati sul lavoro, sui progetti di vita e sul rapporto col sindacato. Chi ha un lavoro è più propenso a fare progetti, ad esempio lasciare la casa dei genitori e mettere su una propria famiglia, mentre molto più incerto sul futuro chi un lavoro non ce l'ha. Emerge quindi una stretta relazione tra lavoro e esistenza. Il rapporto col sindacato è saltuario, legato a situazioni contingenti, emerge un distacco dagli aspetti più "formali" della vita sindacale e da certi linguaggi troppo criptici.
L'insieme dei problemi messi a fuoco da questo lavoro preparatorio, dai video, dalle indagini e dalle rilevazioni presentate il primo giorno è stato approfondito nei lavori di gruppo e nei loro rapporti.
Il resoconto del primo gruppo "Rappresentanza, sfide e opportunità" è stato curato da Norberto Gallo. Si è parlato del rapporto del sindacato con i precari e della difficoltà di rappresentare un universo così vasto. In genere l'incontro con il sindacato avviene attraverso gruppi organizzati che nascono su rivendicazioni contingenti. Un incontro che spesso è una richiesta di servizio. Non c'è appartenenza. Il sindacato lavora per le stabilizzazioni, ma per molti di questi lavoratori la precarietà non è più una fase di passaggio, ma una condizione di vita. Per questo, secondo il gruppo, per potere esercitare la rappresentanza il sindacato deve spostare la propria attenzione dalla condizione lavorativa al lavoratore e sviluppare una politica rivendicativa più attenta al welfare, ai diritti della persona. Anche l'attività sindacale deve essere più vicina alle persone: anche grandi campagne di respiro globale debbono avere una declinazione locale.
"Comunicare valori, il valore del comunicare", questo l'argomento del secondo gruppo, di cui ha parlato Filippo Sica. Il sindacato comunica i propri valori e su questi costruisce una comunità. Oggi i destinatari della comunicazione non devono essere solo i lavoratori, ma anche gli studenti, le famiglie, le persone perché l'azione sindacale è sempre più generale, riguarda i diritti sociali, l'organizzazione sociale. Il sindacato deve farsi conoscere dai giovani e deve conoscere i giovani, così da includere nelle proprie politiche anche i loro bisogni. Ma per comunicare coi giovani si devono conoscere le molteplici forme della comunicazione attraverso le quali ormai ci si forma un'opinione e si esprime una voglia di partecipazione e protagonismo. Servono messaggi comprensibili, ma non semplicistici. Andare dove i giovani fanno comunità, incontrarli e ascoltarli e così stabilire un rapporto di fiducia.
"Precarietà del lavoro e sindacato" era l'argomento del terzo gruppo su cui ha relazionato Leonardo Croatto. La precarietà non è una questione giovanile né una condizione emergenziale. È un dato strutturale del mercato del lavoro. Tanto che molti precari, soprattutto nei settori della conoscenza non si sentono soggetti in transito verso la stabilità. Anzi. Questo comporta che il sindacato si doti di strumenti che gli permettano di interloquire con l'intera filiera del mercato del lavoro. Nei settori della conoscenza, soprattutto università e ricerca, il superamento della precarietà è un obiettivo lontano, quasi un'utopia, per molti, meglio sarebbe per il sindacato dare una nuova soggettività a questi precari, portando il conflitto fuori dal luogo di lavoro, nel sociale. La controparte dei precari della conoscenza è il governo, ma soprattutto la politica. I precari si aggregano su temi ed emergenze, ma nonostante una struttura "liquida" dei loro movimenti arrivano sui problemi prima del sindacato. Con questi movimenti bisogna aprire un dialogo e poi offrire ai precari una diversa agibilità sindacale, spazi di autorappresentazione, gruppi di aiuto.
Un compito davvero difficile è toccato a Maurizio Lembo, segretario nazionale FLC CGIL: tirare le fila di due giornate dense di argomenti che hanno interrogato il sindacato e il suo modo di essere e di fare a tutto tondo. Il suo intervento aveva anche un titolo impegnativo "Idee, obiettivi e affidamenti per un impegno responsabile". Lembo ha evitato "le conclusioni", ma ha assicurato che la riflessione sui luoghi della rappresentanza andrà avanti, così come si allargherà l'attenzione del nostro sindacato sui bisogni espressi dai giovani e dalle forme di lavoro "non tradizionale" e sulle tutele a cui hanno diritto. Il sindacato non è all'anno zero e nel bagaglio dei suoi valori può trovare le parole nuove e antiche per parlare alle nuove generazioni. Parole come "compagni" che da il senso della comunità, dello stare insieme e della condivisione, "metodo" nel senso di democrazia, ascolto e partecipazione, "valore", nel senso di credere ancora a ideali di giustizia ed eguaglianza, "emozioni", nel senso di guardare alle persone e alla qualità della loro vita, alle loro speranze e alle loro aspirazioni. E infine "seminario", nel senso di queste due giornate di incontro durante le quali il sindacato ha ascoltato e alla fine non ha "dato la linea". Lembo ha chiuso il suo intervento mostrando una vignetta di Sergio Staino che lui ha "adattato". Bobo e il bambino su una nave. Il bambino dice: "Babbo, c'è un bastimento che sta arruolando giovani capaci e generosi nei posti di comando". E Bobo guardando col cannocchiale: "Ci vedo poco... ma giurerei che è la FLC di Pantaleo".
I due giorni di seminario si sono conclusi con una tavola rotonda, condotta da Anna Villari, a cui hanno preso parte Domenico Pantaleo, Ilaria Lani, responsabile delle politiche giovanili della CGIL, Emanuele Toscano, sociologo e blogger, Federico Del Giudice, portavoce della Rete della Conoscenza.
Difficile darne un resoconto dettagliato. Del Giudice ha parlato della mobilitazione degli studenti di questi mesi, ma anche dei movimenti degli scorsi anni e dei risultati ottenuti e delle delusioni. Ha parlato delle precarietà esistenziale causata anche dal taglio al diritto allo studio che leva speranze. E di come gli ostacoli all'accesso al sapere rendano più debole e ricattabile l'individuo sul lavoro. E del rapporto del movimento con la FLC. Toscano ha parlato dei social network come luoghi non solo dei giovani. La rete non si è sostituita alla vita quotidiana, ne fa da retroscena. È stato il veicolo di mobilitazioni, ne costruisce un senso e lo diffonde. È una "comunicazione individuale di massa". Si è poi soffermato sui diversi strumenti che la rete offre a seconda dei linguaggi: se twitter è stato utile nelle rivolte arabe, il movimento occupy wall street ha usato Tumblr, uno strumento a metà tra un social network e un blog, perché aveva bisogno di una comunicazione più narrativa. Ha poi parlato delle caratteristiche e delle soggettività che i movimenti esprimono e del peso che hanno le situazioni individuali nel determinare l'azione collettiva.
Ilaria Lani e Domenico Pantaleo hanno parlato della CGIL e della FLC e della necessità di rivedere le forme dell'organizzazione. La CGIL ha una storia di 100 anni e ha un futuro se riesce a intercettare, capire e rappresentare il cambiamento. Anche la strumentazione rivendicativa del sindacato va aggiornata affinché l'azione di tutela sia davvero efficace e non lasci zone franche dai diritti. Se la contrattazione collettiva non comprende tutte le forme di lavoro, bisogna spostare l'azione sul sociale e sul territorio, trovando forme di interazione tra categorie, forme più confederali di intervento. Il modello liberista sta togliendo al lavoratore i luoghi e gli strumenti della propria emancipazione e sta mercificando persino categorie "astratte" come la conoscenza e i saperi. Allora l'azione sindacale deve riguardare non solo la condizione del lavoro, ma i lavoratori e le persone.
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