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I temi della conoscenza nel piano anti-crisi della Cgil

L'intervento di Mimma Lai, maestra pisana, all'assemblea nazionale dei quadri e dei delegati della Cgil. Le proposte del sindacato per risolvere la difficile situazione economica del Paese.

06/11/2008
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>> Uscire dalla crisi, le proposte della CGIL <<

"Non c'è futuro per il paese se non si riparte dalla centralità e dagli investimenti nella scuola, nella formazione, nell'istruzione, nella ricerca e nell'università. Per questo siamo stati al fianco dei giovani e degli studenti che hanno attraversato le piazze di tutta Italia nella giornata memorabile del 30 ottobre".

Queste parole sono state pronunciate questa mattina da Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, all'assemblea nazionale dei quadri e dei delegati convocata a Roma.

Prima di Epifani ha parlato, tra gli altri, Mimma Lai, maestra di un istituto comprensivo della provincia di Pisa, a dimostrazione di quanto i temi della scuola e della conoscenza siano al centro dell'attenzione e dell'iniziativa della nostra Confederazione.

È con grande piacere che pubblichiamo di seguito il testo integrale del suo intervento.

Roma, 5 novembre 2008

Intervento di Mimma Lai, insegnante di un istituto comprensivo della provincia di Pisa.

Sono una maestra, lavoro in un istituto comprensivo della provincia di Pisa.
Appartengo alla FLC, Federazione Lavoratori della Conoscenza, una delle categorie che fra le prime ha sperimentato la potenza di fuoco di questo governo con una serie di provvedimenti che non hanno pari nella nostra storia recente sia per le modalità (l'uso dei decreti e la totale mancanza di confronto) sia per i contenuti che stravolgono completamente l'attuale struttura della formazione in Italia. Si tratta di attacco particolarmente feroce perché diretto contemporaneamente contro i nostri settori e contro i lavoratori.

Nel mese di luglio è stato approvato il decreto 112 poi convertito nella legge 133 che ha previsto 8 miliardi di euro di taglio per la scuola e la riduzione del fondo ordinario per l'università oltre che il blocco del turn over.
Il primo settembre è uscito il decreto Gelmini, purtroppo poi convertito in legge, che prevedeva la riduzione del tempo scuola e il maestro unico.
Le scuole sono calate in un silenzio attonito. All'inizio nessuno sembrava capire o accettare che si trattasse di una legge dello stato in fieri. La frase più comune che circolava era "non lo faranno".
Io ero fra quelle molto scettiche sulle nostre possibilità, sulla possibilità di bypassare il blocco dell'informazione che sembrava riguardare la vicenda con sondaggi che nella prima settimana si susseguivano ad un ritmo continuo e che davano il "modello Gelmini" come accettato con favore dalle famiglie.

Abbiamo cominciato una capillare serie di assemblee ed è stato bello scoprire che invece questa possibilità ce la avevamo e proprio grazie al nostro impegno. Nelle assemblee sindacali abbiamo ricostruito la consapevolezza della categoria sui rischi reali e poi via via moltiplicando i nostri interventi abbiamo scoperto di poter diventare pericolosi, di poter infrangere lo stereotipo televisivo degli insegnanti fannulloni e della scuola che non funziona. Perché quando ci abbiamo "messo la faccia", parlando con difficoltà e con paura nelle assemblee pubbliche che pensavamo ostili, noi non eravamo più il maestro fannullone in ricreazione che il governo spacciava, ma eravamo la maestra Mimma, la maestra Stefania, la maestra Maria, il custode Giuseppe o la custode Rosa eravamo quelli che tutti i giorni aprivano le scuole, aiutavano i bambini, li ascoltavano, li guidavano. Eravamo persone e non le più le immagini deformate dallo specchio televisivo

E' stato bello registrare un crescendo di consapevolezza e di indignazione prima tra i nostri lavoratori e poi nei comitati dei genitori e nelle assemblee degli studenti quando venivamo chiamati, e poi nelle manifestazioni di piazza fino a quella del 30 di ottobre quando siamo riusciti a far arrivare a Roma tutto il mondo della scuola in una manifestazione che ha ci ha commosso.
Perché è stato veramente emozionante sfilare in corteo con i genitori, gli studenti delle scuole superiori e dell'università, applauditi dalla gente lungo i bordi delle strade. E' stato bello vedere gli striscioni di solidarietà appesi alle finestre dei palazzi.

È stato travolgente vedere l'invasione pacifica, colorata, fantasiosa della città e delle città perché questa manifestazione si è moltiplicata e diffusa in tutta Italia, tutti uniti dalla consapevolezza di dover difendere con ogni mezzo e per tutti un diritto primario.
Quel giorno, anche se non uniti nello stesso sciopero purtroppo, abbiamo avuto accanto anche i lavoratori dell'Università e della Ricerca che sono come noi nel mirino del governo, sotto il fuoco di fila di una campagna stampa che ci rovescia continuamente addosso dati falsi, parziali o tendenziosi.

Per loro, per i nostri compagni dell'Università e della Ricerca, purtroppo sono state subito chiare le intenzioni del governo ma anche per loro cresce la consapevolezza e esce dal loro mondo per coinvolgere sempre più persone.
Il ministro ha "chiamato" l'Università e la ricerca, ha detto che adesso si occuperà di loro e dal tono possiamo capire in che modo e con quale zelo. Il ministro Brunetta intanto con l'emendamento 37 bis ha fissato al 30 giugno 2009 il limite per le stabilizzazioni, producendo il completo blocco delle assunzioni dei tantissimi ricercatori precari.

Ma l'Università e la Ricerca non possono reggere ad nuovo attacco. Da anni sono allo stremo e hanno assistito ad una costante diminuzione di risorse che adesso è giunta al limite. Invocano una riforma che non abbia solo contenuti finanziari ma che parta da un'analisi attenta e reale non dalle deformate informazioni televisive.

L'idea semplicistica contrabbandata da questo governo è quella che di un'università e di una ricerca ingessate e irrigidite in una struttura burocratizzata, inefficiente e pesante. Ma la loro riforma produrrà solo un'università più povera economicamente ma soprattutto umanamente perché sarà impossibile per molti l'accesso al grado più alto della formazione. E produrrà una ricerca ricattata dagli interessi economici degli sponsor privati, una ricerca che potrebbe non lavorare più per i bisogni generali ma solo per gli interessi economici e particolari di alcuni.

L'Università e la Ricerca scenderanno in sciopero e verranno a Roma per una manifestazione nazionale il 14 novembre. Tutti ci auguriamo che abbia lo stesso successo, veda la stessa partecipazione e la stessa solidarietà che abbiamo ricevuto noi il 30 ottobre.
Perché comune è la difesa di un diritto fondamentale come quello all'Istruzione in tutti i suoi gradi.
Perché se saremo tutti insieme accanto a loro non ci importerà neanche che gli esponenti del governo ci riconoscano 10 persone ogni 100 in piazza, saranno comunque loro a perdere il conto.

L'altro violento attacco è condotto contro di noi come lavoratori pubblici, un attacco che condividiamo con molti altri comparti.
Nei giorni scorsi in molti abbiamo letto su Repubblica la lettera della mamma di un bambino portatore di handicap che invitava il Ministro Brunetta a passare una settimana con la sua famiglia. E abbiamo letto con sdegno la risposta arrogante e paternalistica del Ministro che anziché scusarsi con tutti i lavoratori e le lavoratrici che usufruiscono della legge 104 e vergognarsi di quello che aveva detto, ha affermato che sarà felice di accettare l'invito della signora.

Nei nostri comparti registriamo ogni giorno ormai il dolore dei nostri compagni di lavoro che usufruiscono di tutele garantite dallo stato sentendosi dei ladri: dei permessi per la legge 104, dei congedi per maternità, dei permessi parentali.
Io vivo e lavoro in una realtà produttiva che ha conosciuto come tante altre province italiane una progressiva crisi che ha portato alla chiusura o alla delocalizzazione di molte fabbriche. Con la crisi è peggiorata la ricattabilità dei lavoratori.

Lo scorso anno nella mia scuola una mamma ci ha chiesto un colloquio. La sua bambina si ammalava spesso. Ci ha detto: "la prossima volta che Lisa sta male per favore tenetela a scuola anche se ha la febbre. Il padrone mi ha detto che se continua così posso stare a casa perché di gente che ha voglia di lavorare in giro ce n'è tanta".
Con quella donna io condividevo la duplice condizione di mamma e di lavoratrice, da lei mi separava però un baratro, quello della possibilità di esercitare un diritto basilare, istintivo, naturale come quello di stare vicino ad un figlio ammalato.

Ma io come lavoratrice non mi voglio vergognare di esercitare un diritto. Non posso accettare di essere messa alla gogna dal Brunetta di turno: mi devo invece vergognare che in Italia nel 2008 ci siano persone che non possono esercitare un diritto, persone che come me contribuiscono al benessere e alla ricchezza di questo paese, persone che rischiano di essere messe al margine della vita sociale e produttiva perché "portatrici di rigidità intrinseche": questo termine rappresenta un capolavoro linguistico "politicamente corretto" per definire persone in carne ed ossa, con storie, problemi e dolori reali.
Ma oggi nessuno vuole ammettere le proprie debolezze: culturalmente viviamo nella convinzione di essere tutti forti, autonomi, indipendenti, autosufficienti. Il modello culturale dominante è quello di un individualismo alla costante ricerca di modi per differenziarsi dagli altri.

Ed è per questo che i diritti sono diventati fuori moda.
Perché rivendicare un diritto vuol dire in primo luogo ammettere una propria debolezza, un proprio handicap, e perché il diritto non ammette differenziazioni, deroghe, preferenze.

Pensiamo la CGIL si debba riappropriare di una missione "educativa " fondamentale che miri a ricostruire un sano sentire comune intorno a questa problematica e occorre che conduca questa azione con forza e determinazione.
Vorremmo un grande progetto culturale alternativo con i lavoratori e per tutti i lavoratori che ricostruisse l'orgoglio di essere privilegiati uguali nei diritti e nella possibilità di esercitarli.

Roma, 5 novembre 2008