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Pace, guerra, massacro

Una prospettiva etica.

02/04/2024
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Massimo Baldacci, Presidente nazionale di Proteo Fare Sapere

In un mondo afflitto da conflitti e tensioni, la necessità di lavorare per la pace è sempre più urgente. La pace necessita di condizioni, sia soggettive sia oggettive. La prima condizione soggettiva è quella di una mentalità non violenta, che richiede una educazione alla pace. Pedagogisti come Maria Montessori, Aldo Capitini, Danilo Dolci e Don Milani hanno saputo illuminare il cammino in questa direzione. Tuttavia, un’educazione alla non violenza è necessaria, ma non è sufficiente. Si devono realizzare anche condizioni oggettive.

In questo senso, occorre sempre tornare alle riflessioni formulate da Kant nell’opera Per la pace perpetua (1795). La pace va promossa attraverso un fattivo impegno storico, altrimenti non resterà altro che “il grande cimitero del genere umano”. A questo proposito, il filosofo tedesco individua condizioni inerenti al diritto cosmopolitico. Il secondo articolo definitivo indica che “Il diritto internazionale deve fondarsi su una federazione di liberi Stati” (Kant, 2012). Pertanto, occorre la formazione di una comunità universale, che consiste in una libera federazione dei popoli. Se ne potrebbe vedere una parziale realizzazione storica nell’Organizzazione delle nazioni unite, pur con tutti i limiti di questo organismo. Tuttavia, vi sono superpotenze in grado di agire militarmente al di fuori di un mandato delle Nazioni unite. E questa contraddizione indebolisce gravemente la credibilità dell’Onu e del diritto internazionale. In questo modo, l’universalismo kantiano – che dovrebbe rappresentare la condizione oggettiva della pace – appare vanificato. Così, le guerre continuano a insanguinare il mondo.

Oggi, il pacifismo viene anzi tacciato di essere utopistico o velleitario. Non si coglie, cioè, che la pace universale è l’unica prospettiva realistica per evitare il cimitero del genere umano paventato da Kant. Tuttavia, anche quando si dà la tragedia dello scontro bellico, questo scontro non può essere senza limiti. Anche la guerra – che è sempre moralmente errata – soggiace comunque a vincoli etici, travalicando i quali diviene oscena, come quando si traduce in un massacro di civili inermi: di donne, di vecchi e di bambini. Tra la guerra e il massacro si dà comunque una differenza etica fondamentale. La guerra va sempre deplorata, ma quando diventa massacro indiscriminato va condannata con ancora più forza.

Oggi, l’accecamento ideologico che attraversa il dibattito pubblico sui mezzi di comunicazione di massa (dalla stampa, alla televisione, ai cosiddetti social) rende difficile sviluppare un ragionamento sulle guerre e i conflitti in atto, come quello russo-ucraino o quello israeliano-palestinese. Chi ci prova, chi tenta di formulare considerazioni articolate, viene non di rado sbrigativamente delegittimato con epiteti ingiuriosi. La libertà di opinione e la sua libera espressione, garantite dall’articolo 21 della Costituzione, vengono di fatto compresse.

Bertrand Russell (1981) scriveva che per sviluppare un discorso razionale sui problemi morali, poiché questi scatenano spesso violente passioni, a volte è preferibile trattarli in modo impersonale, senza riferirli a casi e a situazioni concrete e specifiche. Proviamo a seguire questa strada a proposito dei vincoli etici a cui anche la guerra va comunque assoggettata per non diventare un crimine contro l’umanità. Ciò può essere utile ai fini di una discussione capace di superare le passioni violente che spesso rendono impossibile il vero confronto. La questione non sembra particolarmente problematica: pare che sia sufficiente seguire le nostre intuizioni morali di esseri umani civili. Tali intuizioni ci dicono che questi vincoli riguardano sia i destinatari delle azioni ostili, sia le modalità di tali azioni. I destinatari devono essere soltanto militari o soggetti armati, e mai chi è inerme e non costituisce perciò una minaccia (civili, prigionieri ecc.). Le modalità devono evitare le armi la cui crudeltà offende il nostro senso umano per la sofferenza che infliggono alle vittime (lanciafiamme, napalm, e quindi anche la tortura, ecc.), e quelle che colpiscono indiscriminatamente e sono in grado di produrre stermini di massa (armi chimiche e biologiche, ordigni atomici ecc.). Certamente, queste intuizioni possono lasciare margini di dubbio verso casi particolari, ma nel loro insieme sono chiare. Se fossero seguite, dopo la guerra sarebbe possibile ripristinare una vera e duratura pace. Quando vengono trasgredite, viene seminato un odio pervicace, che rende la pace solo un intervallo prima di una nuova guerra. Ruwen Ogien (2012) ci avverte però che le nostre intuizioni morali hanno dei limiti, e perciò è necessario corroborarle sul piano dei principi etici e dei ragionamenti morali.

A questo proposito, risulta interessante la riflessione sviluppata dal filosofo americano Thomas Nagel (1986) mettendo a confronto i due principali paradigmi dell’etica normativa: quello utilitarista e quello deontologico; centrato sulle conseguenze delle scelte il primo; su principi assoluti il secondo.

Il credito che trova il paradigma utilitarista è legato alla sua semplicità: occorre massimizzare il bene e minimizzare il male; perciò, tra due mali si deve scegliere il minore. Questo modo di ragionare viene usato per giustificare azioni belliche che appaiono riprovevoli alle nostre intuizioni morali, sostenendo che eseguendole si risparmieranno mali peggiori, e/o che il male prodotto è un effetto collaterale necessario e non voluto in sé. Se si opta per questa via, si potrà giustificare qualsiasi massacro e ogni efferatezza. Inoltre, poiché anche l’avversario tenderà procedere in questo modo, si tenderà a scivolare sempre più nella barbarie.

Secondo il paradigma deontologico, vi sono principi assoluti che esigono di astenersi in ogni caso da certe azioni belliche: azioni ostili contro soggetti inermi (civili, prigionieri), e/o uso di armi inaccettabili; nessun vantaggio o prevenzione di mali le può giustificare. Il criterio dell’utilità ha i suoi limiti. Si potrebbe osservare che lo aveva già fissato con chiarezza Cicerone nel suo trattato su I doveri (De officiis), ponendo l’onestà come vincolo all’utilità (in pratica, la scelta tra le azioni utili deve essere ristretto a quelle oneste).

Nagel osserva però che nessuna di queste due prospettive normative copre l’insieme dei casi e dei problemi morali, anche di quelli legati alla guerra. Invece del monismo etico, si deve optare per il pluralismo, e quindi per l’uso combinato delle due prospettive. Secondo questo pensatore, in alcuni casi ciò può però portare a veri e propri dilemmi, rispetto ai quali – qualsiasi criterio si segua – la scelta sarà comunque soggetta al dubbio e al senso di colpa. Sul piano teorico, Nagel ha probabilmente ragione. Tuttavia, è importante rimarcare che su quello pratico l’occorrenza di veri dilemmi è limitata. E per la grande maggioranza dei casi, occorre tenere ferma la priorità della prospettiva deontologica su quella utilitarista. Occorre sempre e comunque astenersi dal massacro di civili inermi, niente lo può giustificare. E, in qualsiasi caso ciò accada, è un dovere morale di ogni essere umano condannarlo senza appello, e chiedere che sia fermato.

Riferimenti Bibliografici

Cicerone, I doveri, Bur, Milano 2017.
I. Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano 2012 [1795].
R. Ogien, Del profumo dei croissant caldi e delle sue conseguenze sulla bontà umana, Laterza, Roma-Bari 2012.
T. Nagel, Guerra e massacro, in Id., Questioni mortali, Il Saggiatore, Milano 1986.
B. Russell, Scienza e filosofia, Newton Compton, Roma 1981 [1910].