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Francia: il "bac" in pericolo

Una volta orgoglio e vanto del rigore educativo repubblicano la maturità d'oltralpe ora costa troppo e crea troppo poca disparità sociale per la Francia di Sarkozy.

17/06/2008
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La destra si atteggia molto a rigorista, ma quando il rigore costa, pur di tagliare è disposta a rinunciarvi. Così cinque o sei anni fa il Ministro Moratti non ci mise né uno né due a decidere che l’esame di maturità, con la sua solennità di prove nazionali e commissari esterni, venuti da altre scuole della Repubblica a giudicare gli alunni di ogni scuola, quali testimoni di una valutazione più obiettiva, perché priva persino dei condizionamenti affettivi che in certa misura si instaurano tra docenti e discenti, e garanti di un livello nazionale, andava spazzato via per sostituirlo con una ennesima verifica degli stessi professori che avevano già visto e giudicato gli alunni per uno, due o tre anni.
Nello stesso periodo anche in Francia, l’allora ministro dell’educazione Fillon, oggi primo ministro di Sarkozy, tentò di abolire l’esame di maturità francese, il Baccalaureat, il “Bac” come è chiamato per brevità. Ma in Francia allora furono proprio gli studenti ad insorgere contro il cosiddetto “ control continu”, vale a dire la valutazione di tutto il proprio corso di studi, della propria storia scolastica, preferendo affrontare la sorte di un esame non certo facile (9-10 prove, tra scritte e orali, senza contare quelle opzionali).

Ma la partita non è chiusa e a premere sono soprattutto i costi: 615 mila candidati (53% generalisti, 27% tecnologici, 20% professionali), 4366 licei impegnati, 4 milioni di elaborati da correggere, 127.000 esaminatori, 62,60 euro come costo medio per candidato e 1,67 euro medi come indennità per ogni elaborato corretto. Questi sono i numeri che allarmano.
Ma dietro a questi numeri c’è la perdita di peso del “bac”.
Quale peso ?
Quello che interessa alla destra: quello della differenza sociale.
Nel 1880 i “maturati” francesi erano l’1% della relativa classe di età, nel 1936 il 2,7%, nel 1970 il 20%, nel 1989 ancora il 36%, ma dal 1995 la loro cifra oscilla tra il 62 e il 64%. Non tanto per la verità se si pensa che in Finlandia sono il 92%, in Italia il 74%, negli Stati Uniti il 73%. Eppure, si chiedono in Francia, vale la pena di spendere tanto per promuovere “tutti”(sic!)?

Il bello è che queste discussioni in Francia avvengono in una data che dovrebbe rappresentare la celebrazione del “Bac” che fu istituito proprio duecento anni fa, sotto Napoleone. Allora era solo orale e filosofico-letterario. Nel 1821 fu introdotto un bac di scienze. Nel 1830 fu introdotta una prova scritta di traduzione dal latino, nel 1853 una prova di lingua straniera. Nel 1874 si scisse in due tempi con prove distanziate di un anno. Poi rimase tale fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Nel 1946 riprendono i cambiamenti. Prevede 7 indirizzi: 4 classici, 2 moderni e 1 tecnico, a questo se ne aggiunge un secondo nel 1953, ma nel 1968 gli indirizzi scendono a 5 (lettere-filosofia, economico-sociale, matematico-fisico, matematico-naturalistico, matematico-tecnico), nel 1969 si aggiunge l’indirizzo agro-tecnico. Nel 1985 nasce il bac professionale: anche i licei professionali, finora bienni che erogavano certificati di attitudine professionale (simili alle nostre qualifiche), possono aggiungere a questi un altro biennio che le pareggia ai licei generali e tecnologici. Nel 1993 si ridefiniscono gli indirizzi dei licei generali ( L=letterario, S=scientifico, ES=economico-sociale) e successivamente anche i tecnologici (STI=industriale, STT=commerciale, STC=chimico, SMS=medico-sociale).
Nel frattempo si ridefiniscono anche le prove con prove anticipate al penultimo anno, nuove prove in più negli indirizzi L e ES (2001) e anche S (2003-2005).

Oggi con gli sperimentali gli indirizzi sono circa un centinaio, molti di meno dei nostri 900 e passa di cui si lamentava Fioroni e di cui si è lamentata di recente la Gelmini. Ma per i ministri francesi anche 100 sono troppi. E dire che i ministri francesi, come quelli italiani, si riempiono la bocca di scuole aderenti al mercato del lavoro e di scuola autonome, ma evidentemente hanno un’idea del mercato del lavoro molto uniforme (tra loro, sicuramente) e un’idea di autonomia senza pluralità.

Roma, 17 giugno 2008