Un primo bilancio delle “intenzioni” del Governo sull'Università.
La distanza dalla realtà aumenta ogni giorno di più.
A parte i nuovi tagli mascherati da accantonamenti, fino ad oggi l'impressione e quella di una assenza sostanziale di iniziativa. Se ciò dipenda da un approccio prudente per scelta oppure da una incertezza sulla scelte da intraprendere questo non ci è chiaro.
Tuttavia tra anticipazioni per la stampa e dichiarazioni al CUN le intenzioni iniziano a delinearsi.
FFO, diritto allo studio e tassazione studentesca
La grande enfasi posta sulla programmazione, sull'eccellenza, sull'internazionalizzazione stride con la pressoché totale mancanza di impegni per il rifinanziamento di un sistema universitario ormai allo stremo. A fronte della situazione reale del nostro sistema universitario il cui collasso è certificato e bollinato anche dall'Anvur.
Non bastano immaginifici programmi per il rientro dei cervelli se il turn over rimane limitato e le infrastrutture deperiscono, non servono pochi milioni di euro per il finanziamento di progetti di ricerca che non avranno strutture nei quali realizzarsi. I risultati dei finanziamenti ERC mostrano un paese capace di produrre eccezionali ricercatori che non ritengono di poter svolgere in Italia le proprie ricerche. Senza un fondo di finanziamento ordinario adeguato, al netto delle cosiddette premialità, l'Università non può funzionare.
Per quanto riguarda il diritto allo studio, mentre sono apprezzabili il riferimento chiaro al bisogno di superare l'odiosa condizione degli idonei senza borsa, contenuti nelle dichiarazioni programmatiche del Ministro, e il chiarimento sulla non esclusività del dottorato per gli studenti senza borsa, non è accettabile né condivisibile l'apertura ai prestiti d'onore, presentati per quello che non sono: cioè una soluzione alle legittime aspirazioni dei meritevoli. E' invece del tutto evidente, a chi sia minimamente informato su quanto accade in altri paesi, che questi strumenti sono diventati una nuova bolla finanziaria pronta a scoppiare dove sono stati adottati e un drammatico strumento di indebitamento degli studenti.
Sarebbe invece più utile una seria riflessione sulle tasse universitarie ormai sempre più alte. Tra i paesi dell’Europa a 19 per i quali i dati sono disponibili, solo l’Italia, l’Olanda, il Portogallo e l’Inghilterra hanno tasse annuali al di sopra di 1100 dollari per studente a tempo pieno. L'Italia si colloca sesta come tasse universitarie, ma ultima come percentuale di studenti beneficiari di contributi per diritto allo studio. Il fondo integrativo statale per le borse di studio è passato da 246 a 76 milioni (-69%, un taglio enorme) equivalente al taglio di 45.000 borse su 150.000 erogate (che già coprivano solo l'82.5% degli aventi diritto). Dunque mentre le rette in Italia sono paragonabili, se non addirittura più alte, a quelle d’altri paesi europei, gli studenti meno abbienti non ricevono un aiuto rilevante a causa delle carenze strutturali di una politica per il diritto allo studio che dovrebbe essere lo strumento per rendere il sistema socialmente più equo, come avviene in altri paesi europei. La nostra idea è ancora quella di un sistema universitario che fonda il sui finanziamento sulla fiscalità generale. Ciò è chiaramente in antitesi con l'idea di una università come investimento individuale che si cela dietro le posizioni a sostegno dei prestiti d'onore.
Politiche di sostegno alla ricerca
La grande capacità di innovazione costantemente richiamata nella retorica governativa dovrebbe basarsi su un'idea diametralmente opposta a quella che si è praticata negli ultimi anni: l'idea, cioè, che il nostro paese abbia bisogno di infrastrutture di ricerca e di istruzione universitaria su tutto il territorio nazionale. Serve un'eccedenza di sapere per dare una spinta ad un tessuto produttivo che non brilla per innovazione e si caratterizza per una domanda di professionalità basse e medio basse. Da qui il tasso di laureati e dottorati occupati nelle imprese e il numero esiguo di ricercatori. Horizon 2020 è una grande opportunità per il nostro paese ma non sostituisce gli investimenti in ricerca di base e applicata dello Stato. Un primo concreto segnale di vivere nella realtà sarebbe quello di prevedere all'interno del prossimo PNR il finanziamento della ricerca di base attraverso il PRIN o altri strumenti finalizzati.
L'Abilitazione scientifica nazionale e il ruolo dell'Anvur
L'esito dell'Asn è accompagnato da oltre 1000 ricorsi e i tempi della chiusura delle procedure si allungano. Negli atenei non si assume dal 2008 e il rapporto tra studenti e docenti è tornato al 2000. Il Ministro riconosce questa situazione e dichiara la necessità di rivedere le funzioni dell'Anvur facendola diventare un controllore ex post e non un valutatore ex ante. Noi lo diciamo dai tempi della sua infausta concretizzazione nella legge 240/2010. Il problema è che si tratta appunto di intenzioni che contrastano coi fatti che vedono un Ministero recepire pedissequamente ogni indicazione dell'Agenzia.
A fronte del fallimento palese dell'abilitazione scientifica nazionale ci si aspettava un intervento urgente per mettere in sicurezza un sistema al collasso. Noi riteniamo che non si possa attendere la fine del secondo anno dell'Asn, come invece pensa e intende fare il Ministro, servono invece risposte immediate per non affidare gli esiti del reclutamento al contenzioso. Qui non si tratta di fare qualche riflessione ma di proporre delle soluzioni.
Innanzitutto serve dare da subito ai non abilitati 2012 la possibilità di chiedere nuovamente l'attribuzione dell'abilitazione scientifica nazionale, magari sfruttando l'opportunità data dalla nomina di nuove commissioni suppletive previste in seguito ai pronunciamenti del TAR. Questo permetterebbe di far valere nell'immediato lo spirito originario dell'abilitazione che non è un concorso ma una verifica dei titoli minimi per poter aspirare ad essere selezionati come professori di prima e seconda fascia riportando da subito le abilitazioni in una posizione di equilibrio, e non pregiudicando in partenza la prossima nuova tornata che dovrà svolgersi con regole diverse. In tal senso auspichiamo che vengano accolte le proposte fatte dal Consiglio Universitario Nazionale.
Quanto al ruolo e alla funzione dell'ANVUR crediamo che si sia andato oltre qualsiasi limite di buon senso. E' urgente rivedere le funzioni di questa agenzia nonché la sua composizione. L'attuale valutazione della ricerca scientifica e della produttività della ricerca – dagli indicatori per la ASN alle procedure VQR – non solo non premiano la ricerca di base o gli approcci multidisciplinari e di frontiera ma stanno promuovendo omologazione e una ricerca della quantità a scapito della qualità. Peraltro, l'estensione della VQR ad ambiti che non le sono propri, più volte stigmatizzata dalla stessa ANVUR, è stata ipocritamente confermata dalla stessa Agenzia valutando i collegi di dottorato anche attraverso l'utilizzo – seppure aggregato – dei risultati VQR individuali. Si è fatto fare “il lavoro sporco” agli atenei, alcuni dei quali cominciano ad utilizzare questi dati inaffidabili anche per la distribuzione delle proprie risorse interne. E' necessario rivedere con urgenza queste politiche, a partire dal decreto relativo all'accreditamento e alla valutazione dei dottorati del XXX ciclo. Allo stesso modo è necessario e urgente bloccare il delirio burocratico che l'Anvur sta disseminando attraverso la cosiddetta AVA – si vedano il moltiplicarsi di requisiti ex ante necessari a riempire le cossiddette “SUA Cld” nonché le nuove linee guida per la definizione della SUA Rd.
Reclutamento e carriere
L'altissimo numero di domande, che ha condizionato l'ASN nel suo primo avvio, è poi il frutto della scellerata scelta di mettere ad esaurimento i ricercatori universitari, peraltro in un contesto di quasi azzeramento del reclutamento e delle possibilità di carriera, facendo quindi sorgere una sensazione da ultima spiaggia e creando un sistema che mette in competizione i tantissimi precari – privi del canale teoricamente sostitutivo delle tenure mai di fatto partita – e i ricercatori di ruolo. E' necessario da subito impegnare risorse straordinarie per il reclutamenti di ricercatori a tempo determinato con tenure e rilanciare un piano di risorse straordinarie finalizzate sia al reclutamento di professori di II fascia che di I fascia. A tal fine la revisione dei punti organico e un ulteriore intervento sul turn-over sarebbero interventi necessari e auspicabili.
Il personale contrattualizzato (tecnico-amministrativo-bibliotecario e lettori/cel)
Il Ministro dichiara la “sovrabbondanza” di personale contrattualizzato. Noi rispondiamo correttamente che il ministro “non sa quel che dice”, basta vedere i numeri dal ’95 ad oggi ed i numeri non si discutono e ci raccontano un'altra, ben più drammatica, storia. Il Ministro conosce benissimo i numeri, solo che pensa, insieme a tanti neo-liberisti conservatori, che il sistema pubblico debba essere gestito attraverso quelle tipologie contrattuali “precarie” che il sistema del mercato del lavoro e questo governo consentono: il lavoro parasubordinato (a basso costo e basse prestazioni) e l’appalto di servizio con le stesse caratteristiche di cui sopra. Noi siamo “altrove” rispetto a questo pensiero figlio del peggior aziendalismo delle peggiori aziende! Noi rivendichiamo con forza la riapertura della contrattazione nazionale e decentrata per ridare fiato ad una categoria di lavoratori assestata su un trattamento medio di 1200 euro netti al mese, cioè di una soglia considerata di povertà dal Presidente del Consiglio stesso con l’ “elargizione degli 80 euro mensili” agli stipendi più in difficoltà.
Noi vogliamo rinnovare subito, non nel 2018 o dopo!, il CCNL, per riscrivere un trattamento economico dignitoso, individuare le regole delle relazioni sindacali, affrontare i temi normativi “emergenti” ed antichi che delimitano il campo di azione funzionale dei nostri Atenei. Noi vogliamo discutere, anche contrattualmente, delle azioni positive da mettere in campo per dare dignità e “lavoro vero” alle migliaia di precari (lavoro parasubordinato) che affollano il nostro comparto: ridotti a semplici numeri, senza una professionalità ed un salario riconosciuti e la possibilità di avere una rappresentanza sindacale per i loro bisogni, materiali e professionali.
Noi vogliamo regole sul reclutamento che superino i limiti dei turn-over imposti per legge e chiediamo una profonda riconsiderazione del sistema dei “punti organico” per bandire i posti necessari non ridotta, come è adesso, ad una lotta fra poveri dove la categoria del personale contrattualizzato è quasi sempre soccombente rispetto alle categorie di maggio peso.
Noi vogliamo rimettere in discussione, tramite la contrattazione nazionale ed integrativa di Ateneo, le storture antieconomiche della “competitività fra individui” varata dall’ex ministro Brunetta e perpetuata, più o meno apertamente, da tutti i suoi successori.
Noi crediamo nella cooperazione e nella collaborazione fra servizi e singoli operatori e nella capacità dei singoli di impostare le procedure, anche sulla base di buoni standard predefiniti, compatibili con l’innovazione tecnologica e normativa in costante evoluzione. Siamo per individuare percorsi auto-formativi efficaci e per rafforzare la formazione/aggiornamento di tutto il personale. Non ci interessano i singoli casi di “eccellenza” ed “abnegazione” sempre ristretti in confini difficilmente identificabili di “fedeltà”, non all’Istituzione, ma al singolo dirigente che, come nella peggiore delle aziende private, ha in mano la tua vita.
Vogliamo una riforma vera della Pubblica Amministrazione e dei nostri Atenei. Ma una riforma che prenda avvio dalle parti sociali, che si confronti sui contenuti reali del cambiamento necessario e non l’ennesima sceneggiata che facendo perno sul “luogo comune” e l’antico difficile rapporto fra Stato e cittadini, fra lavoro pubblico e lavoro privato, ci propini come cambiamento le amenità del titolo III della L. 150/2009 (riforma Brunetta) o gli equilibrismi instabili della L.240/2011 (riforma Gelmini).
Questi sono i punti forza della nostra azione sindacale. Questi i canoni condivisi per cooperare al cambiamento necessario.
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