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Piccole politiche, grandi danni. Rassegna Sindacale dedica un paginone alla "conoscenza"

Sul numero 41 del settimanale della Cgil la situazione nei nostri settori con testimonianze di genitori e studenti, dati Censis e un articolo di Pantaleo.

14/11/2010
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Il settimanale della Cgil - sul numero n. 41 del 11-17 novembre 2010 - ha dedicato un "paginone" a quanto sta accadendo nei settori della conoscenza.

"La crisi richiederebbe politiche pubbliche che mettano al primo posto un'idea di sviluppo qualitativamente diversa dal passato, di cambiamenti profondi nel modo di produrre, di consumare e di lavorare". Così scrive Domenico Pantaleo in uno degli articoli pubblicati. E continua: "Il benessere delle persone deve essere l'obiettivo centrale dei prossimi anni. Bisogna perciò investire in conoscenza per invertire la rotta rispetto alla desertificazione culturale, alla cancellazione dei diritti e alla svalorizzazione del lavoro".

Il punto di vista degli studenti e dei genitori e le loro testimonianze sulla situazione nella scuola e nell'università trova spazio nel "paginone".

L'assenza di serie politiche educative e culturali aggrava una situazione, come quella italiana, con un basso livello di istruzione rispetto al resto d'Europa e con un numero ancora più basso di lettori, come i dati pubblicati dimostrano.

Indice degli articoli

Piccole politiche, grandi danni
di Anna Maria Villari, giornalista

Genitori e scuola. Rompiamo il silenzio
di Ermanno Detti, Direttore responsabile Articolo 33

Cancellato diritto allo studio. Cosa dicono gli studenti
di Claudio Riccio, portavoce nazionale Link - Coordinamento universitario
di Giorgio Paterna, Coordinatore nazionale Udu - Sindacato studentesco

Passare all'offensiva
di Domenico Pantaleo, Segretario generale FLC CGIL

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Piccole politiche, grandi danni
di Anna Maria Villari, giornalista

C'era una volta il libro di testo gratuito nella scuola dell'obbligo. C'era una volta la borsa di studio per permettere a capaci e meritevoli privi di mezzi "di raggiungere i gradi più alti degli studi" (art. 34 Cost.).

Se le notizie di queste settimane verranno confermate, gli ultimi scippi del governo saranno proprio a danno dei più deboli. Intorno alla legge di stabilità – come ora si chiama la finanziaria – la polemica è quanto mai aperta. Ma dalle tabelle diffuse in Commissione bilancio il taglio sul diritto allo studio è di oltre il 50%. A farne le spese: borse di studio, soprattutto, ma anche alloggi e collegi universitari. Cancellati anche 103 milioni per i libri scolastici. Il finanziamento agli atenei italiani, quello che dovrebbe lanciare la mirabolante riforma è anch'esso di là da venire. In un girotondo di promesse e rinvii il traguardo è spostato sul decreto "milleproroghe".

Alcuni atenei rischiano intanto di chiudere? Poco male, il ministro Gelmini ha la soluzione: una bella fusione. Abbandonata la riforma, si passa direttamente alle "ristrutturazioni", come ha denunciato il segretario della FLC CGIL. Il Ddl Gelmini sull'università, bloccato per mancanza di copertura, d'altronde non riformava nulla, o almeno non nel segno progressivo che in genere si attribuisce a questo termine. "Navigazione a vista", così il Censis ha definito nel suo ultimo Rapporto le politiche universitarie, precisando che "non bastano modifiche formali, ma occorre che chi è chiamato ad applicare le riforme ne condivida quantomeno le linee generali" (p. 109). E invece l'opposizione a questa "riforma" ha praticamente unito tutti i sindacati e tutte le associazioni dell'università nella richiesta "al Governo e al Parlamento di aprire finalmente un serio e ampio confronto con l'Università e di smettere di interloquire esclusivamente con la Confindustria, che ha interesse a monopolizzare la gestione delle risorse pubbliche destinate alla ricerca, e con la CRUI, che non rappresenta gli Atenei, ma solo i Rettori". L'anno accademico, come era già accaduto con l'anno scolastico, è iniziato in tutta Italia all'insegna delle proteste. I ricercatori che si rifiutano di prestare attività didattica non retribuita, bloccano di fatto l'inizio delle lezioni in tante facoltà, svelando le reali carenze di organico. E poi manifestazioni di studenti, occupazioni, lezioni in piazza e, su tutto, le grida di allarme sul taglio al Fondo di funzionamento ordinario che ha perso in 3 anni oltre 870 milioni che assommandosi ai tagli delle altre voci porta a una sottrazione di circa 1 miliardo e 300 milioni. Cala la mannaia anche sugli Enti pubblici di ricerca, alcuni dei quali, come l'Istituto Superiore di Sanità, vedono decurtati dell'80% i finanziamenti (se le anticipazioni sulla legge di stabilità saranno confermate). Gli enti di ricerca vivono anche altri gravi problemi: da una prevalenza di personale precario che rende precarie anche le ricerche a riorganizzazioni decise dall'alto senza un progetto di riordino che sia finalizzato a renderli più funzionali e a evitare dispersioni di risorse e duplicazioni di attività.

Dalla scuola arriva la buona notizia del ripristino dei fondi per il funzionamento ordinario, si tratta di circa 120 milioni che consentiranno alle scuole di fare i bilanci dell'anno in corso. Ma la situazione è sempre critica. Riduzioni di docenti, anche quelli di sostegno, e di personale tecnico, ausiliario e amministrativo rendono difficile l'organizzazione della didattica in classi affollate. La sicurezza di molti istituti è una chimera, quando potrebbe essere ragione di investimenti pubblici in piccole grandi opere con ricadute positive a largo raggio. Lo spazio aperto sul sito web della FLC CGIL "Rompiamo il silenzio" si è affollato di testimonianze, le più varie, sulla condizione della scuola, dallo stato degli edifici, alle conseguenze negative delle riforme degli ordinamenti, ai tagli delle ore, alla situazione dei precari.

È normale che dallo scontento nasca la mobilitazione. Per fortuna, perché significa che i lavoratori, gli studenti e le famiglie non si rassegnano. L'autunno è stato un susseguirsi di scioperi, manifestazioni, iniziative che culmineranno il 17 novembre in uno sciopero di tutti i settori della conoscenza, proclamato dalla FLC CGIL, con astensioni articolate per categorie e territori.
Anche in questo caso l'obiettivo è parlare al Paese.

Tra le varie emergenze che affliggono l'Italia, infatti, spicca quella culturale, la cui pregnanza non è di ordine secondario. Sembra incredibile in un paese che in 50 anni ha sconfitto l'analfabetismo che ancora il 35% della popolazione non abbia concluso l'obbligo scolastico. Eppure i dati del censimento 2001 parlano chiaro e sono confermati dal Rapporto Censis 2009. Gli italiani che hanno un titolo di scuola superiore sono il 27,3%, i laureati il 10,7%. Naturalmente le percentuali sono un po' diverse se riferite a classi di età più giovani: ad esempio tra i 25-29enni i laureati sono il 20,8%. Ma la popolazione italiana è composta da vecchi e giovani. E rispetto ai risultati degli altri paesi europei, i nostri numeri ci collocano tra gli ultimi.

Se al dato della bassa formazione si aggiunge che gli italiani sono un popolo che non legge (solo il 40% legge regolarmente un quotidiano, solo il 45% legge libri nel tempo libero e solo il 6-7% legge più di un libro l'anno) ma al 93,6% guarda la Tv, il quadro è completo.
Un contesto così poco esaltante dovrebbe indurre i governanti a correre ai ripari con piani straordinari rivolti in primo luogo agli adulti, dove si annidano i deficit maggiori, e con politiche scolastiche e formative che promuovano l'accesso ai gradi più alti dell'istruzione migliorando anche la qualità dell'offerta.
Sulla biblioteca nazionale di Boston, una delle più importanti degli Stati Uniti c'è scritto, tra l'altro: "The Commonwealth (l'iscrizione è del 1887) requires the education of the people as the safeguard of order and liberty". Già da secoli si sa che una società libera e democratica si fonda su cittadini colti e consapevoli. Elementari principi liberali che sembra siano stati smarriti dai nostri governanti.

Una politica moderna, attenta a elevare il livello della conoscenza di tutta la nazione e a solleticare la sensibilità di chi vive in un paese che da solo raccoglie il maggior numero di beni culturali del mondo, dovrebbe muoversi a 360 gradi su diversi terreni: dalla scuola all'università, alla ricerca, al cinema, all'arte, alla musica, favorendo e incoraggiando innovazione, sperimentazioni su cui attirare "cervelli" da tutto il mondo.

E invece che succede? Lo smantellamento di scuola e università pubbliche addormenta il paese; il taglio alla ricerca pubblica lo rende più debole economicamente e lo taglia fuori dalle sfide innovative. Siamo fuori dagli obiettivi indicati dalla Strategia di Lisbona (fare dell'Europa la più grande economia della conoscenza nel mondo), difficilmente agganceremo la Strategia Europa 2020, nella crisi perdiamo competitività e mentre gli altri investono in conoscenza (lo ha ribadito Obama anche dopo le elezioni di midterm) da noi si taglia e si ridimensiona.
In un'asfissia strapaesana, diventata molto trendy con la Lega, lontana dall'Europa e dal mondo che conta, piccole politiche stanno facendo enormi danni.

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Genitori e scuola. Rompiamo il silenzio
di Ermanno Detti, Direttore responsabile Articolo 33

Cosa chiede alla scuola un genitore, una famiglia? È elementare, chiede per i figli un'istruzione che li renda competenti nel lavoro e nella vita, che li formi, chiede un'educazione che insegni loro un comportamento corretto, rispettoso e civile. Un tempo si diceva che l'ignoranza è brutta e che dell'ignoranza c'è da vergognarsi. I tempi sono cambiati, ma questa aspirazione è ancora presente nella parte più sana della popolazione. Un genitore responsabile non chiede lusso o consumismo smodato per il figlio che studia, ma certo esige l'essenziale: sicurezza, preparazione dei docenti, libri buoni, ambienti salubri e attrezzati con tutto ciò che è necessario perché gli alunni imparino e stiano bene a scuola.

Ora le famiglie sono sconcertate e disorientate di fronte al totale e ormai noto abbandono della scuola pubblica da parte delle forze governative. E allora sul sito della FLC Cgil, alla rubrica "Rompiamo il silenzio", stanno affluendo alcune importanti denunce. Provengono da tutta Italia, dal Lazio e dall'Emilia, dalla Sicilia e dalla Lombardia.

C'è chi denuncia la mancanza di gessi, lavagne, banchi perfino. "Da tre giorni 76 bambini di prima elementare sono costretti a stare 5 ore nella sala mensa, caldissima, perché le loro aule sono sprovviste di banchi, sedie, lavagne, cattedre", scrive una mamma da Roma. In certi casi siamo tornati al dopoguerra, quando la scuola cominciava a riorganizzarsi. I tagli del ministro Tremonti non sono senza effetto. "Volevo segnalare che la classe di mio figlio risulta costituita da 30 ragazzi. È legale un numero così elevato di studenti per classe?", scrive una rappresentante di classe di Ravenna. E un genitore del liceo Mamiani di Roma denuncia che gli alunni sono 35 e che è assente l'insegnante di storia dell'arte. È facile rispondere che no, che non è legale un simile numero di alunni per classe, una simile condizione ostacola in primo luogo il diritto allo studio. Con 30 o 35 alunni in classe salta la didattica, è impossibile per un insegnante educare e insegnare, può al massimo intrattenere cercando di seguire chi già segue. Molto spesso a queste situazioni si aggiunge la presenza di alunni con problemi psicofisici. E a proposito di legalità, la madre di una bambina con la sindrome di Down si rivolge alle autorità competenti per ottenere quello che è già previsto da una circolare ministeriale: l'insegnante di sostegno. Niente da fare, non ci sono insegnanti né per la sua bambina né per molti altri, questa è la situazione di gran parte dell'Italia.

Per non parlare degli alunni che non frequentano l'ora di religione. Anziché avere la possibilità, come vuole la legge, di studiare materie alternative, vengono lasciati a se stessi, spesso affidati semplicemente in custodia ai bidelli.

Dovranno la famiglie farsi carico dell'istruzione dei loro figli? Questa situazione cambierà? Sono domande semplici, alle quali però il governo non dà risposta. Intanto i nostri livelli culturali scendono precipitosamente. E il progetto si fa chiaro, mentre l'istruzione scolastica è sempre più trascurata e impoverita, si abbassa paurosamente il livello culturale dei palinsesti televisivi.

Per chi crede nelle istituzioni – e le forze più sane del nostro paese ci credono – è addirittura incredibile che tutto questo possa accadere.

C'è, in questa situazione, un aspetto interessante. Per quanto sbigottite, attonite e sorprese, molte famiglie italiane stanno reagendo. E i genitori non sono soli. Interi Collegi dei docenti scrivono e descrivono al ministro e all'opinione pubblica la situazione in cui versano le nostre scuole. Sul sito www.flcgil.it genitori, insegnanti, personale amministrativo, studenti denunciano quello che sta accadendo. Non dobbiamo avere la responsabilità di tacere, il nostro dovere è che tutti siano informati. Rompiamo il silenzio per unirci e cambiare un sistema che danneggia i nostri figli e rischia di compromettere, con un imbarbarimento generale, il futuro delle nuove generazioni e della nazione tutta.

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Cancellato diritto allo studio. Cosa dicono gli studenti

Il ministro Gelmini ha sempre provato a giocare il ruolo del politico vicino agli studenti, nemico dei baroni.

Mentiva sapendo di mentire: i tagli della 133/08, il contenuto del ddl Gelmini, e altri piccoli e grandi provvedimenti ne sono testimonianza. L'ennesimo intervento del duo Gelmini-Tremonti svela in modo inoppugnabile quanto tutto ciò sia falso: non si può parlare di merito e diritti degli studenti se si smantella il sistema nazionale di diritto allo studio.
Il fondo ministeriale per il diritto allo studio era già passato da 246 milioni di euro nel 2009 a 99 milioni nel 2010 e il grave taglio già previsto per il 2011 avrebbe portato le risorse per le borse di studio a 70 milioni. Ma evidentemente a Tremonti non bastava.
La manovra finanziaria, approvata in Consiglio dei ministri il 14 ottobre, stanzia infatti solo 25.731.000 euro per il diritto allo studio per l'anno 2011/2012. Per il 2013 sono previste risorse per soli 12.939.000.
Tutto aggravato dal taglio più generale ai trasferimenti alle Regioni. In Italia gli idonei che avrebbero diritto alla borsa di studio sono 184.043, di questi tanti di loro rischiano l'espulsione dall'università. Sono studenti con redditi bassi, medie alte ed esami in regola che, per proseguire gli studi, non hanno altra speranza che la borsa di studio.

Il 17 Novembre scenderemo in piazza in tutt'Italia, nella giornata internazionale di mobilitazione studentesca, per impedire al governo di cancellare definitivamente il diritto allo studio in Italia. È una battaglia di civiltà, uno scontro tra due idee di società: da un lato la guerra alla conoscenza, dall'altro una società fondata sul libero accesso ai saperi, come strumento di mobilità sociale, democrazia, libertà.

Claudio Riccio, portavoce nazionale Link - Coordinamento universitario

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In Italia il diritto allo studio è già escluso per tanti studenti, un fenomeno vergognoso per il quale molti studenti che risultano avere diritto ai sussidi, secondo criteri di reddito e di merito, non li percepiscono per mancanza di fondi.

Un dramma vissuto in particolar modo nelle regioni del Sud, che garantiscono la copertura delle borse di studio dell'appena 60% rispetto alla quasi totalità della copertura nelle regioni del Centro-Nord.

Anche questo elemento, mostra nelle condizioni sociali degli studenti, una divisione tra il nord e il sud del nostro Paese.

Tutto questo, dal prossimo anno, per il taglio sul fondo integrativo per le borse di studio, sarà ulteriormente aggravato.
La finanziaria per il 2011 prevede un taglio dell'89,56%, che diventerà nel 2013 del 94,75%. Insomma, la finanziaria di quest'anno è indirizzata verso la cancellazione del diritto allo studio come capitolo della spesa pubblica.

Tagliare sulle borse in questo modo significa non più solo abbandonare le prospettive di futuro per il giovani e per il Paese ma anche tagliare sul presente, mandare a casa quasi tutti quegli studenti che oggi sono in corso di studi grazie alla borsa di studio e che quindi si sono mostrati anche meritevoli.

Si tratta di scelte in assoluta controtendenza rispetto alle scelte degli altri Paesi europei che ritengono il diritto allo studio e l'istruzione un investimento, strategico e prioritario. Nel 2008 in Italia solo l'8,4% degli studenti hanno ricevuto una borsa di studio, mentre in Francia il 23,8% e in Germania il 25,5%. Continuando su questa strada, la fuga di cervelli si allargherà ad una emigrazione di massa dei giovani dal nostro Paese.

Giorgio Paterna, Coordinatore nazionale Udu - Sindacato studentesco

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Passare all'offensiva
di Domenico Pantaleo, Segretario generale FLC CGIL

Le scelte del Governo Berlusconi nei settori della conoscenza sono parte di un chiaro disegno di accentuazione delle disuguaglianze sociali.
L'istruzione, la formazione e la ricerca sono beni comuni a disposizione di tutti e non riservati solo a chi ha i soldi.

La crisi richiederebbe politiche pubbliche che mettano al primo posto un'idea di sviluppo qualitativamente diversa dal passato, di cambiamenti profondi nel modo di produrre, di consumare e di lavorare. Il benessere delle persone deve essere l'obiettivo centrale dei prossimi anni. Bisogna perciò investire in conoscenza per invertire la rotta rispetto alla desertificazione culturale, alla cancellazione dei diritti e alla svalorizzazione del lavoro.

Le tantissime iniziative di lotta di questi anni, dalla straordinaria manifestazione unitaria sulla scuola del 30 Ottobre del 2008 fino a quella del 14 ottobre scorso contro il Ddl sull'università hanno svelato il tentativo di far passare tagli pesantissimi, con conseguenze disastrose per famiglie, studenti e territori, come "riforme epocali". Insieme a noi c'erano studenti, genitori, docenti, precari, ricercatori, personale tecnico-amministrativo.

Il tempo della mobilitazione continua. Dobbiamo narrare la realtà rispetto alle bugie di Gelmini e Tremonti dando voce a chi subisce quotidianamente ingiustizie e mortificazione della propria dignità e al bisogno di ricostruire una nuova identità del lavoro nei nostri comparti.

La qualità della formazione è peggiorata, le domande di tempo pieno delle famiglie non sono soddisfatte per carenze di organici, i precari vengono licenziati, le aule sono sempre più affollate e insicure, sono stati ridotti i fondi per le borse di studio e quelli per la gratuità dei libri di testo nella primaria, non si garantisce il sostegno agli alunni disabili, sono bloccati i rinnovi dei contratti, la ricerca viene espulsa dalle università e gli istituti di ricerca pubblici, con meno fondi, saranno sottoposti a un controllo politico che annulla ogni autonomia, il ddl Gelmini sull'università precarizza strutturalmente la figura del ricercatore e intende introdurre logiche aziendali negli atenei riducendo di 1,3 miliardi del fondo ordinario.

L'assenza di una visione del futuro produce disperazione e rabbia nei giovani, condannati a una condizione di precarietà esistenziale. Per questo al Congresso abbiamo proposto un reddito di cittadinanza che garantisca a tutti il diritto allo studio.

Al centro della manifestazione della CGIL del 27 Novembre dovranno esserci i giovani e il lavoro, è su questo che si costruisce il futuro del Paese. Sarà in naturale continuità con la manifestazione della Fiom del 16 Ottobre a cui hanno partecipato tantissime ragazze e ragazzi che guardano con fiducia alla Cgil.

La FLC sarà di nuovo in piazza il 17 Novembre, con scioperi in tutti comparti della conoscenza, in coincidenza con la giornata internazionale degli studenti. A Piazza Navona a Roma saranno con noi personalità della cultura e dello spettacolo. Unificare le lotte, non lasciare sole le persone, passare all'offensiva: è questa la richiesta che parte dalle assemblee con i lavoratori. Per rispondere a quelle domande serve dare gambe a un progetto di cambiamento. La proclamazione dello sciopero generale deve avere quel segno, coinvolgere l'intero mondo del lavoro e suscitare una reazione del Paese al degrado morale, civile e sociale in cui è sprofondato.

Con questo Governo non ci sono spazi di dialogo e di mediazione, è per questo che riteniamo necessaria un'alternativa politica.