E’ estorsione far lavorare in nero e ricattare il lavoratore
Lo dice la Cassazione nella sentenza n. 36642 depositata oggi. Il datore di lavoro rischia il carcere oltre che a sanzioni pecuniarie. Un pronunciamento destinato a fare storia nella lotta al lavoro nero nel nostro paese.
Tenere i lavoratori “in nero” - ovvero non applicare loro i contratti collettivi, retribuirli con salari bassi e negargli ogni altro diritto previsto dalla contrattazione e dalla legge - non è solo un ignobile sfruttamento ma si configura , allorquando il lavoratore viene minacciato continuamente di essere buttato fuori se non si adegua alle condizione imposte, come estorsione. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 36642 depositata oggi respingendo il ricorso di tre datori di lavoro contro la pronuncia della Corte d'appello di Cagliari che, nel gennaio del 2003, li aveva condannati per estorsione aggravata e continuata, a oltre tre anni di reclusione e 800 euro di multa.
In sostanza, i datori di lavoro avevano costretto quattro lavoratrici «ad accettare trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi, approfittando della situazione di mercato in cui la domanda di lavoro era di gran lunga superiore all'offerta e, quindi, ponendo le dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivaleva a perdere il posto di lavoro».
Per la Cassazione, quindi, lo sfruttamento non si configura solo come un reato perseguibile civilmente, ma anche penalmente con il rischio per il datore di lavoro di essere condannato anche alla reclusione.
Appare chiaro che questo pronunciamento della Cassazione è destinato non solo a fare storia giurisprudenziale ma a dare un contributo non di poco conto alla lotta al lavoro nero che ancora imperversa in particolare settori produttivi della nostra economia nonostante i processi di emersione messi in atto dall’attuale Governo.
Anche l’elenco dei comportamenti dei datori di lavoro rilevati e qualificati dai giudici come prevaricatori in costante spregio dei diritti delle lavoratrici sono emblematici e destinati ad essere censurati. Rientrano in questa casistica non solo l'erogazione di retribuzioni inferiori ai minimi sindacali e alla correlativa pretesa di far firmare prospetti-paga per importi superiori a quelli corrisposti, ma anche all'assenza di copertura assicurativa, alla mancata concessione delle ferie, alla prestazione di lavoro straordinario non retribuito. Tutto ciò è reso possibile dalle minacce di datori lavoro senza scrupoli che avvalendosi della situazione del mercato del lavoro ad essi particolarmente favorevole compromettono il potere di autodeterminazione delle lavoratrici.
Roma, 5 ottobre 2007
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