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NO all’Autonomia differenziata preannunciata dalla Nota aggiuntiva al DEF

Nessuna ulteriore forma di autonomia alle Regioni può essere agita senza aver preliminarmente definito i Livelli Essenziali delle Prestazione (LEP) in materia di istruzione e senza aver dettato i principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente

08/10/2018
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In forma generica, ma non per questo meno inquietante, nella Nota Aggiuntiva al DEF che abbiamo ampiamente commentato nei giorni scorsi, si parla di attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle tre regioni che lo hanno chiesto (Emilia Romagna, Lombardia e Veneto), sulla base dell’art 116 comma terzo della Costituzione, come di una priorità governativa.

La FLC CGIL esprime la sua più ferma contrarietà a questo processo di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario perché, per come si sta pensando di attuarlo, esso si pone in contrasto evidente con altre parti della stessa Costituzione (art 117,119,120).

Basti solo pensare al fatto che il comma terzo dell’art 116 è stato introdotto con la Riforma del Titolo V nel 2001, ma solo in concomitanza con l’introduzione dei LEP, i Livelli Essenziali delle Prestazioni in materia di diritti civili e sociali che devono essere garantiti in maniera uguale su tutto il territorio nazionale.

In altri termini, prima della Riforma del 2001, le Regioni non avevano poteri legislativi e ampie funzioni amministrative su varie materie poiché tali poteri erano in capo esclusivamente allo Stato. Solo introducendo i LEP in materia di diritti civili e sociali (e l’istruzione è un diritto sociale) è stato possibile pensare di attribuire alle regioni quei poteri. Da qui: senza determinazione dei LEP che sono compito dello Stato (art 117), nessuna ulteriore forma di autonomia può essere concessa alle Regioni.

 E i LEP dell’istruzione non sono stati definiti.

Peraltro, l’art 119 della Costituzione prevede la destinazione di risorse aggiuntive alle situazioni più svantaggiate in funzione della promozione della coesione e solidarietà sociale e dell’effettivo esercizio dei diritti della persona.

Infine l’art 120 della Costituzione prevede un intervento diretto del governo in sostituzione degli enti regionali e locali al fine di tutelare i livelli essenziali delle prestazioni. In conclusione: una parte della Costituzione (comma terzo art 116) non può essere attuata se non in armonia con altri parti della stessa Costituzione (art 117, 119, 120). Per non parlare dell’art. 5 che inquadra la concessione di autonomia nell’ambito della tutela dell’unità della Repubblica.

L’azione preannunciata nel DEF, invece, mina alla base la coesione sociale e  l’unità nazionale, laddove si pensa di “regionalizzare” i diritti tramite la regionalizzazione delle funzioni, dei concorsi, dei contratti.

Per quanto riguarda il rapporto di lavoro, in modo particolare, nulla esclude che si metta in discussione la garanzia degli uguali diritti e doveri e l’uguale trattamento economico che solo un contratto nazionale può assicurare.

Mentre è certo che questa maggiori funzioni richieste comporterebbero ulteriori trasferimenti dallo stato alle regioni, magari attraverso la trattenuta, come si ventila da più parti, di una quota del gettito in base alla produzione dei PIL regionali: un meccanismo infernale destinato a rendere più ricchi i territori già ricchi e più deprivati quelli già deprivati.

Solo dopo aver definito i LEP e solo dopo aver varato una legge dei principi in materia di legislazione concorrente, dunque,  può essere preso in considerazione il processo previsto dall’art 116.

A tale proposito la Segreteria della CGIL ha di recente espresso la sua netta presa di posizione a favore di un decentramento capace di valorizzare gli enti locali ma solo sulla base di un federalismo cooperativo e solidale garantendo l’esigibilità dei diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, e dicendosi assolutamente contraria ad una idea di decentramento, quale quella che si profila, che porterà a cristallizzare se non  a incrementare la disuguaglianza fra territori piuttosto che ridurla.

Infine non va taciuto il fatto che la procedura che la Nota aggiuntiva al DEF lascia trasparire, e cioè una legge-delega o comunque la si voglia chiamare - altro non può avvenire se fatto con i tempi dell’approvazione della legge di bilancio - che dia campo libero al governo, fuoriesce da quadro costituzionale. E ciò dal momento che una legge di tale portata, che potrebbe riguardare ormai tutte le regioni d’Italia (altre 10 regioni hanno manifestato analogo interesse), deve essere discussa con i tempi distesi che non solo la complessità della materia, ma anche la medesima Costituzione richiedono.

In caso contrario la frammentazione e la disunione del Paese è drammaticamente dietro l’angolo.