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Enrico Panini spiega lo sciopero del 12 novembre senza la Cisl e Uil

Pubblichiamo l'intervista di Enrico Panini apparsa sul settimanale "Carta" n. 17 del 1/7 novembre

06/11/2001
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Pubblichiamo l'intervista di Enrico Panini apparsa sul settimanale "Carta" n. 17 del 1/7 novembre

NON ERA MAI successo che la Cgil scuola «divorziasse» da Cisl e Uil al punto da indire un proprio sciopero. Invece è successo, complice evidentemente un clima politico e sociale che spinge verso un diverso disegno di contiguità e distanze.
Così, il piccolo fatto storico del prossimo 12 di novembre non poteva non suscitare le polemiche della Cisl, che accusa la Cgil di voler alzare un gran polverone non per la scuola, ma contro Berlusconi. Replica immediata di Enrico Panini, che della Cgil scuola è il segretario: «Perché la Cisl giudica strumentali le ragioni di questo sciopero, che sono le stesse che condividemmo un anno fa, quando unitariamente indicemmo due scioperi generali?». Ma un anno fa al governo c'era il centro sinistra e oggi, invece, a dirigere il ministero della scuola c'è uno dei ministri più autenticamente liberisti del governo delle destre: Letizia Moratti. E, in tempi di personalizzazione della politica, non si può non partire dalla figura dell'ex presidente della Rai, nonché grande sponsor del laboratorio punitivo dei tossicodipendenti che è San Patrignano, nonché brodo di coltura di leggi anche peggiori dell'attuale, per capire in che mani è la scuola.
Enrico Panini è abbastanza diplomatico e intelligente da non confondere la persona del ministro della pubblica istruzione con la politica che conduce, anche se le sovrapposizioni sono quasi involontarie. «Non posso non ricordare -dice - che intervenendo al Meeting di Comunione e liberazione, in settembre, Letizia Moratti parlò di "monopolio della scuola statale". Ecco, considero queste parole una frattura irriducibile tra due visioni opposte della scuola pubblica . Ritengo quella del governo attuale un tentativo pericoloso di ridurre l'istruzione a merce».

In ballo c'è una visione liberista dell'istruzione, che forse non è nata con il governo Berlusconi ma molto prima,e alla quale il governo di centro sinistra non è estraneo.
Mi piace molto citare le parole che Guido Calogero disse nel 1953 a proposito della scuola, e cioè che deve essere il luogo in cui «essere certi che se uno dice una cosa, se ne trovi un altro che lo possa contraddire». E questo il punto di rottura: una visione opposta del ruolo della scuola pubblica. Dalla quale consegue che siamo contro il meccanismo che prevede che chi va al liceo possa studiare fino ai 19, 20 anni e diventi poi la futura classe dirigente, mentre la stragrande maggioranza venga affidata all'avviamento al lavoro a guida regionale. Che siamo contro un sistema che mortifica i diritti delle persone prevedendo assunzioni dirette da parte delle scuole, censure sui libri di testo, mancanza di investimenti, perdita del valore legale dei titoli di studio. Invece, tutto questo sta già accadendo, o si sta preparando, con disegni di legge e altri provvedimenti.

Quali provvedimenti?
Nella precedente legislatura, Berlusconi mise a punto un disegno di legge, del quale era primo firmatario, sul «buono scuola». Ora questa cosa si sta mettendo in pratica in molti luoghi, e non soltanto in Lombardia, grazie all'annullamento del ricorso che era stato presentato da molte associazioni e partiti contro il «buono scuola» lombardo. Inoltre, all'articolo 4 di quel disegno di legge del '94 si prevedeva che gli insegnanti venissero assunti direttamente dalle scuola su albi professionali e sulla base di una loro coerenza con l'indirizzo formativo della scuola stessa. Sono le stesse cose che Confindustria ha detto mesi fa nella riunione di Parma e che il presidente della Regione Lazio, Storace, sta cercando di mettere in atto.
Infine, c'è la questione della cosiddetta riforma dell'esame di stato. Trovo sorprendente che il governo annunci di voler riformare gli esami di stato, e subito dopo dica di non essere in grado di farlo ora ma solo tra un anno. Ma decida comunque di procedere immediatamente a cambiare l'assetto delle commissioni. In realtà, stiamo assistendo all'inizio della fine del valore legale dei titoli di studio.

La vostra vertenza con il governo riguarda anche la finanziaria, che non stanzia soldi a sufficienza per la scuola.
ll governo fa di peggio: ha intenzione di ridurre le spese per l'istruzione pubblica e non lo ha detto ora, dopo l'11 settembre, per incrementare quelle della difesa, ma molto prima. E' una filosofia che mette seriamente a rischio gli stessi rinnovi contrattuali. Il ministro vuole ridurre del 15 per cento nei prossimi cinque anni le spese per il personale che, a conti fatti, significano diecimila miliardi in meno. Calcolando che lo stipendio medio di un insegnante è tra i 40 e i 45 milioni l'anno, fatevi i conti di quanto grande sarà la riduzione di personale. ll prezzo maggiore sarà però pagato dai non garantiti, ai quali è stata tagliata la possibilità delle supplenze. In definitiva, si calcola che nella scuola ci saranno trenta-mila posti in meno.
Ancora, tutte le organizzazioni sindacali avevano chiesto da tempo che per l'istruzione si investisse il sei per cento del Prodotto interno lordo, come succede in tutti i paesi europei. Invece l'Italia è ferma al cinque per cento, e da qui in poi andrà peggio.

Mi sembra però che il disagio degli insegnanti non si limiti all'aspetto economico, ma chieda una diversa visione del ruolo della scuola. Che non c'è ora, ma non c'era nemmeno con il governo di centro sinistra.
Certo, in ballo c'è il sistema pubblico dell'istruzione che vuoi dire un confronto sulle radici, sull'identità. E
un tema che irrompe ormai con forza dappertutto: se ne è parlato nel Cantiere che Carta ha promosso nei mesi scorsi a Siena, come se ne discute nel cosiddetto popolo di Seattle. La dimensione di questo problema è a scala mondiale, e impone quell'«altro mondo» che ormai non sembra più una fantasia. C'è la sensazione precisa che leggi sovranazionali, o quella che ormai viene chiamata comunemente la globalizzazione, decidano per tutti e impongano le loro decisioni al mondo.

Stai parlando di quella cosa che molti chiamano movimento. In che rapporto è la CgiI scuola con questa cosa che a Genova si è mostrata in modo molto visibile?
Il nostro è un punto di vista strettamente sindacale e non vogliamo sostituirci alla politica né riempire i vuoti lasciati dalla politica. Noi abbiamo le nostre richieste, molto importanti per il futuro della scuola, e intendiamo portare a casa un risultato.
Per questo, ritengo prioritario il rapporto tra le varie sigle sindacali. Anche se ormai, con le Rsu [Rappresentanze sindacali unitarie, ndr] le scuole stanno cominciando a diventare luoghi politici diversi e la contrattazione avviene dove il lavoro si esercita, perfino fuori dalle sigle, mostrando la centralità del rapporto con i lavoratori. Ciò non toglie che io consideri molto importante il rapporto con gli studenti, nelle rispettive autonomie, che è fortemente politico e, naturalmente con alti e bassi: anche, lo ammetto, per nostra disattenzione.

Dagli studenti a Genova. Qual è il giudizio della Cgil scuola sulle tre giornate di contestazione ai G8 e su quel che è accaduto?
A Genova sono mancati gli adulti. Per tre giorni un mondo di giovani che la sociologia corrente descrive come mammoni, immaturi e senza interessi e passioni hanno fatto la loro esperienza ad un alto livello politico. E il mondo adulto dove era?
Poi, l'11 settembre, c'è stato l'atto terroristico contro gli Stati uniti, e questo ha comportato un trauma, le cui conseguenze non riesco oggi a valutare. Quel che vedo con chiarezza è che esiste ormai un nesso strettissimo tra globalizzazione, educazione e comunicazione. In fondo, la scuola è se riesce a comunicare e mescolare saperi e culture.

La Cgil «da sola»
La Cgil protesterà il12 novembre contro tagli alla scuola previsti dalla Finanziaria 2002, con Gilda ma senza Cisl e Uil, che dopo settimane di trattative si sono improvvisamente scoperti d'accordo con Moratti. «Proclamare lo sciopero generale –ha detto il segretario generale del sindacato nazionale scuola della Cgil, Enrico Panini- è inevitabile: non esiste un piano di investimenti pluriennale e non si può pensare di operare solo per autofinanziamento. I tagli operati sulla spesa e l'assenza di stanziamenti per il rinnovo dei contratti provocheranno «un peggioramento delle condizioni di lavoro e di studio«. E' «fondamentale difendere e promuovere il carattere pubblico dell'istruzione investendo sulla scuola e nell'università pubbliche, nel diritto allo studio e nella didattica. La voglia di partecipare e decidere delle nuove generazioni di studenti e studentesse deve trovare possibilità concrete di realizzazione«. Cub scuola, con Slai cobas e Usi, confermano lo sciopero del 9 novembre.

Roma, 6 novembre 2001