#PERCHENOINO. La campagna per il riconoscimento della DIS-COLL ad assegnisti di ricerca, dottorandi e borsisti non si ferma
Inviato l'interpello al Ministero del Lavoro per chiedere l'estensione della DIS-COLL.
Gli assegnisti di ricerca, i dottorandi e i borsisti hanno diritto a veder riconosciuta la dignità del proprio lavoro - nonostante le maldestre esternazioni del nostro Ministro del Lavoro - e hanno diritto alla DIS-COLL.
Lo diciamo da sempre. Questa volta lo abbiamo scritto al Ministero del Lavoro cui abbiamo rivolto un interpello formale.
É inaccettabile che oltre a pagare il prezzo di un contratto iper precario e di prospettive incerte, questi soggetti debbano anche essere discriminati nell'accesso a diritti e tutele elementari.
L'interpello rappresenta l'ennesima iniziativa nell'ambito della campagna promossa dalla FLC CGIL e dall'ADI per il riconoscimento dell'indennità di disoccupazione ad Assegnisti e dottorandi, che ha raccolto migliaia e migliaia di firme a sostegno della petizione #perchenoino e prodotto iniziative di mobilitazione.
Adesso la parola al Ministero del Lavoro.
______________________
Roma, 28 luglio 2015
Dr. Paolo Pennesi
Segretario Generale Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
A seguito della petizione promossa dalla FLC CGIL e dall'ADI associazione dei dottorandi e dottori di ricerca con cui gli assegnisti di ricerca, i dottorandi e i borsisti hanno rivendicato il loro diritto all’indennità di disoccupazione DIS-COLL si promuove istanza d’interpello per conoscere il parere di questa Direzione Generale in ordine al riconoscimento del diritto all'indennità di disoccupazione DIS-COLL e dei relativi benefici, istituita in via sperimentale per il 2015 con il D.lgs n. 22, 4 Marzo 2015, anche in favore di Assegnisti di ricerca, dottorandi e borsisti.
L’INPS con circolare 83 del 27 aprile 2015 l’INPS ha fornito istruzioni operative illustrando i criteri di erogazione della indennità DIS-COLL. La circolare nel definire i destinatari del nuovo trattamento riprende il testo normativo (art. 15 d.lgs. n. 22/2015) chiarendo che l’indennità “è riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata, non pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione (…)” . La norma quindi individua una platea ampia includendo tutti i lavoratori il cui rapporto di lavoro sia riconducibile, per le proprie caratteristiche, alla collaborazione coordinata e continuativa. Il rapporto di collaborazione è contraddistinto da:
- assenza di un vincolo di subordinazione
- prestazione resa a favore di un committente
- rapporto unitario e continuativo
- nessun impiego di mezzi organizzati dal collaboratore
- retribuzione periodica prestabilita.
Gli assegnisti di ricerca, i dottorandi e i titolari di borsa di studio, svolgono attività di ricerca nelle Università e negli Enti di Ricerca con forme contrattuali perfettamente sovrapponibili ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Il loro rapporto è infatti caratterizzato dall’assenza di un vincolo di subordinazione, hanno come committenti Università ed Enti di Ricerca con i quali hanno un rapporto esclusivo, non organizzano e non predispongono da soli i propri mezzi di lavoro ma sono coordinati dai rispettivi committenti pur mantenendo forme di autonomia professionale.
Per quanto riguarda gli Assegni di Ricerca la nota MIUR del 12 Marzo 1998, successiva alla L.449/97 istitutiva di tale fattispecie poi modificata dalla L. 240/2010, individua come caratteristiche proprie dell'Assegno di Ricerca:
“ 1. carattere continuativo e comunque temporalmente definito, non meramente occasionale, ed in rapporto di coordinamento rispetto alla complessiva attività del committente; 2. stretto legame con la realizzazione di un programma di ricerca o di una fase di esso, che costituisce l'oggetto del rapporto; 3. svolgimento in condizione di autonomia, nei soli limiti del programma predisposto dal responsabile stesso, senza orario di lavoro predeterminato”.
Si tratta, con tutta evidenza, di caratteristiche sovrapponibili a quelle previste per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa così come richiamato all'articolo 409 del Codice di procedura civile e definite dalla Giurisprudenza prevalente (Cass.21 febbraio 1998 n. 1897; Cass.19 aprile 2002 n.5968; Cass. 27 agosto 2003 n. 12573; Cass.6 maggio 2004 n.8598; Cass. 23 dicembre 2004 n. 23897….ecc).
In linea con tale evidenza gli stessi contratti di assegno di ricerca recano in molti casi la dicitura “Tale contratto è da intendersi come contratto di collaborazione coordinata e continuativa” o “a progetto”.
I titolari di assegno di ricerca sono inoltre tenuti al versamento contributivo presso la Gestione Separata dell'INPS con un'aliquota previdenziale pari nel 2015 al 30,72%, uguale a quella prevista per collaboratori coordinati e continuativi e a progetto.
Il dottorato di ricerca, istituito nel 1982 e recentemente modificato con il DM 45/2013 e le “Linee guida per l’accreditamento dei corsi e delle sedi di dottorato” (Nota MIUR 24 marzo, prot. 436), pur essendo considerato nel nostro ordinamento il terzo grado dell'istruzione, si configura come un sorta di contratto a causa mista nel quale rileva l'aspetto ibrido della formazione e del lavoro. Per questo motivo il legislatore ha ritenuto di applicare al dottorato di ricerca svolto in azienda il contratto di apprendistato di alta formazione, contratto di tipo subordinato che dà luogo all'indennità di disoccupazione NASpI.
I dottorandi, inoltre, quando vincitori della borsa di studio, sono tenuti al versamento contributivo presso la Gestione separata INPS, con la stessa aliquota previdenziale prevista per i collaboratori coordinati e continuativi e a progetto.
Infine si richiama il dettato della Carta Europea dei Ricercatori, approvata con Raccomandazione della Commissione delle Comunità Europea dell'11/03/2015 che sollecita l'equità di trattamento anche previdenziale e di prestazioni sociali per tutti i ricercatori, compresi coloro che sono nella fase iniziale della propria carriera: “I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero assicurare ai ricercatori con- dizioni giuste e attrattive in termini di finanziamento e/o salario comprese misure di previdenza sociale adeguate e giuste (ivi compresi le indennità di malattia e maternità, i diritti pensionistici e i sussidi di disoccupazione) conformemente alla legislazione nazionale vigente e agli accordi collettivi nazionali o settoriali. Ciò vale per i ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, ivi compresi i ricercatori nella fase iniziale di carriera, conforme- mente al loro status giuridico, alla loro prestazione e al livello di qualifiche e/o responsabilità.”
Ad oggi i soggetti impegnati con assegno di ricerca censiti dal Cineca (Atenei Statali e non Statali) risultano 14.682, cui sono da aggiungere circa 4000 che lavorano con gli Enti di Ricerca. I dottorandi (Atenei Statali, non statali, telematici) ammontano a circa 33.500 unità secondo i dati del MIUR. Nel corso del 2015, i dottorandi che conseguiranno il titolo di dottore di ricerca (prevalentemente appartenenti al 28° ciclo) saranno circa 8.500.
Questi soggetti, pur rappresentando circa la metà del personale della ricerca presente nei nostri Atenei a causa delle limitazioni poste al turn-over e del progressivo taglio di fondi all'Università ammontano a meno di 55.000 persone. Di questi oltre la metà, ovvero i dottorandi, sono impegnati in un ciclo triennale; gli altri hanno contratti di durata variabile superiori all'annualità.
In conclusione si chiede che tali lavoratori vengano inclusi nella ampia platea degli aventi diritto alla indennità DIS-COLL come prevede la norma. La legge ha infatti previsto l’esclusione di talune figure e lo ha fatto in modo esplicito. Ogni eventuale altra esclusione, comunque motivata da una presunta ratio legis, cede il passo di fronte ad una interpretazione letterale chiaramente omnicomprensiva (art. 12 delle preleggi al codice civile); in effetti l'indagine per la corretta interpretazione di una disposizione legislativa deve essere condotta in via primaria sul significato lessicale che, se chiaro ed univoco, non consente l'utilizzazione di altre vie di ricerca (Cass. s.u. 82/4000; conf. 88/6907; v. anche 93/11359, secondo cui quando l'interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad esprimere un significato chiaro ed univoco, l'interprete non deve ricorrere all'interpretazione logica, specie se attraverso questa si tenda a modificare la volontà di legge chiaramente espressa; infine cass. n. 5128/2001).
p. la Segreteria CGIL
Serena Sorrentino
Servizi e comunicazioni
I più letti
- PNRR: notizie e provvedimenti
- Autonomia differenziata: la Corte costituzionale si pronuncia a salvaguardia del carattere unitario e nazionale del sistema di istruzione
- 14 dicembre 2024: manifestazione nazionale a Roma contro il ddl sicurezza
- Presidio al MIM, FLC CGIL: con Avs in difesa dell’istruzione