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L'articolo 18 non si tocca, il Paese ha bisogno di crescita non di licenziamenti

La libertà di licenziare non favorisce lo sviluppo, non dà lavoro ai giovani e rende sempre più ricattabili i lavoratori.

24/03/2012
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Molti di quanti erano in piazza del Quirinale il 12 novembre 2011 per festeggiare la fine di un Governo disastroso per il Paese staranno ripensando a quei momenti.
C'era speranza in quel moto di entusiasmo, aspettative per una svolta, che liberasse il Paese da una imbarazzante compagine governativa, mettesse fine alle leggi ad personam, desse dignità alle istituzioni, ritornasse ad investire in politiche di sviluppo e garantisse maggiore giustizia sociale. In questi primi mesi il Governo Monti ha invece colpito pesantemente i lavoratori, i pensionati e i giovani affermando un modello di società regressivo e autoritario nel quale prevalgono gli interessi dei mercati, delle imprese e dei poteri forti.

L'Europa è stata portata spesso come riferimento per le controriforme da proporre, il risultato dell'azione del Governo è un sistema pensionistico che non ha pari in nessun paese europeo e una norma sui licenziamenti all'americana piuttosto che alla tedesca.

Anche il metodo adottato non presenta discontinuità, anzi, al posto della finta concertazione che portava agli accordi separati, si è passati all'ascolto, con i professori che alla fine decidono in modo unilaterale e quindi ... fine delle trasmissioni, non c'è più tempo, tanto avevamo già deciso! Sembra di essere ritornati ai tempi di Sacconi e Brunetta.
In verità ora lo scenario è un po' diverso, grazie alla ferma opposizione della CGIL alla manomissione dell'art. 18, la mobilitazione messa in campo ha coinvolto anche lavoratrici e lavoratori aderenti ad altre sigle sindacali, persino dell'UGL. I balbettii di alcuni dirigenti delle altre organizzazioni sindacali sono aumentati quando si sono resi conto di essere stati scavalcati a sinistra persino dalla Conferenza episcopale italiana! Ora da più parti si chiede di modificare la proposta del governo. Ma il Presidente del Consiglio e i suoi Ministri sono talmente lontani dai sentimenti e dalle sofferenze delle persone che ignorano ogni appello a modificare l'intervento sull'art. 18 che in sostanza cancella la tutela reale dei lavoratori rispetto all'illegittimità di un licenziamento.

Se si elimina l'art.18 anche i timidi segnali positivi sulle tipologie di lavoro saranno vanificati perchè i giovani saranno spogliati della libertà e della dignità e saranno condannati al perenne ricatto: se vuoi lavorare devi rinunciare ai tuoi diritti.

Anche il metodo di lavoro, quindi, delude per la mancata svolta: in tutte queste settimane "l'ascolto" si è svolto senza avere uno straccio di testo sul quale discutere. E ancora oggi, dopo la riunione del Consiglio dei Ministri, si ragiona sulle dichiarazioni di Monti o della Fornero, quest'ultima che mostra alle telecamere l'indice di un testo, come fosse dietro la cattedra e avesse di fronte i suoi studenti.

“I provvedimenti del Governo sul mercato del lavoro, uniti alle precedenti scelte contengono un evidente tratto di ingiustizia verso lavoratori e pensionati e ripercorrono le strade di altri paesi sul superamento del modello sociale europeo. Il Governo punta a imporre un ruolo residuale del sindacato confederale italiano e delle forze sociali e a introdurre un modello assicurativo individuale al posto del patto sociale storico”. Così Fulvio Fammoni, Segretario Confederale della CGIL, ha introdotto i lavori del Comitato Direttivo della CGIL.
"Non c'è nessun legame fra rendere più facili i licenziamenti e favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, non si vuole porre un serio rimedio all'uso indiscriminato del lavoro precario, non si aumentano le tutele per chi non ne ha per nulla, si riducono per molti lavoratori già colpiti dalla crisi e vicini ad una condizione di povertà", così ha dichiarato Domenico Pantaleo nel corso dei lavori del direttivo nazionale della FLC.


Nei provvedimenti varati dal Governo non c'è alcun intervento concreto per sconfiggere la precarietà e allargare gli ammortizzatori sociali nei settori della conoscenza. Non ci sono misure a favore dei giovani a partire dal diritto allo studio e dal welfare di cittadinanza.

Paradossale è anche la discussione che si è aperta per le improvvisate dichiarazioni di alcuni esponenti del Governo sull'applicabilità delle nuove norme anche al lavoro pubblico. È stata detta una ovvietà: le norme contenute nello Statuto dei lavoratori valgono per tutti i lavoratori, anche quelli pubblici. Naturalmente è così, anche se queste norme sono affiancate da altre leggi che regolano la specificità del lavoro pubblico.
Ma proviamo ad immaginare cosa accadrebbe, ad esempio, in molti uffici pubblici o nelle scuole, con una norma che consentirebbe all'amministrazione di licenziare i lavoratori per motivi economici. Con scuole e università che versano in condizioni drammatiche per la scarsezza di fondi, difficoltà a condurre l'ordinaria amministrazione, alunni che si portano la carta igienica da casa e tasse scolastiche e universitarie diventate insopportabili per le famiglie, sarebbe un'ecatombe! Non parliamo poi della possibilità di nascondere le discriminazioni con i motivi economici, nelle fabbriche come nei luoghi della conoscenza sarebbe colpito solo il libero pensiero.
 
A tutto questo la CGIL non ci sta. Nel documento approvato dal Direttivo della confederazione si tracciano i contenuti di una mobilitazione che non sarà nè breve nè limitata. Già molti lavoratori stanno scendendo in piazza, spesso con manifestazioni unitarie. Nei prossimi giorni sarà proclamato lo sciopero generale. La FLC avvierà una intensa fase di informazione fra i lavoratori della conoscenza e parteciperà a tutte le iniziative di mobilitazione proclamate dalla CGIL. Siamo pronti per un conflitto anche duro ma nel quale è in gioco il futuro della civiltà del lavoro nei settori pubblici e privati.