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Lo stato dell’arte della riforma universitaria europea

L’università europea in mezzo al guado

23/01/2007
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L’università europea è impegnata in una delle imprese più ambiziose. Quella di avere un sistema universitario unico. I paesi coinvolti sono 45 (quindi anche qualche paese dei “dintorni”).
L’idea di fondo, si sa, è quella di due livelli di laurea, per usare parole italiane, ma la stessa differenza lessicale a volte nasconde la differenza di titoli e percorsi. E l’esistenza di due o più percorsi (uno più breve e uno più lungo, come in Francia ed in Spagna, ad esempio) non aiuta certo a chiarire le idee.
Le cose dunque non vanno alla perfezione. Inoltre non tutti sono entrati nella riforma nello stesso tempo e quindi è logico che si trovino a stadi diversi del processo. Ma anche quelli che vi sono entrati abbastanza presto non sono tutti in regola. L’Italia è stato uno dei primi, ma non mancano ripensamenti e riaggiustamenti.

Sicché allo stato attuale la situazione è abbastanza “dispari”. Dell’Italia si è detto. La Germania ha effettuato cambiamenti parziali, solo in alcune aree e in alcune regioni e i progetti sono considerati ancora progetti pilota. La Francia ha fatto leggi in merito però finora solo alcune università, soprattutto le facoltà tecniche, si sono adattate. La Spagna, tra le ultime entrate, è ancora abbastanza indietro anche se per la prima laurea sembra aver scelto il modello di 4 anni anziché di 3 (in Spagna esistevano due modelli).

Altri paesi sono invece al termine del processo: Regno Unito, Austria, Paesi Bassi e Finlandia hanno praticamente generalizzato il modello. Ma non si può dire che anch’essi siano del tutto uguali e compatibili. All’interno di uno stesso paese i modelli possono essere diversi: nel Regno Unito, per esempio, i percorsi possono essere di tre, tre e mezzo o quattro anni per la prima laurea e di uno o due anni per il master. Ma molti esperti in tutta Europa ritengono che tre anni siano pochi per una laurea (la prima) che possa avere un valore “pieno”, mentre 6 o 7 anni (per la seconda) sarebbero eccessivi.
L’impressione è che per risolvere il problema ci si affidi molto all’autonomia universitaria, un po’ ovunque. Ma questo non aiuta certo a chiarire le idee e ad evitare gli equivoci.

Roma, 23 gennaio 2007