DDL scuola: l’appello dei docenti di lettere di Roma “La Sapienza”
Continua il coro di contrarietà da parte del mondo accademico nei confronti del DDL governativo sulla scuola. Una riforma lontana, lontanissima dal risolvere i problemi reali della scuola.
Questa riforma non risolve i problemi reali della scuola ma aumenta le disparità, umilia i docenti pagati con uno stipendio tra i più bassi rispetto ai loro colleghi europei, continua a finanziare i privati, crea squilibri di potere tra organi monocratici e organi collegiali con grave danno ai principi costituzionali di libertà di insegnamento, di eguaglianza tra i soggetti in formazione e di mancanza di costi aggiuntivi per lo Stato per il funzionamento delle scuole private. Cosi in sintesi i docenti di lettere dell’’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma si appellano al Senato chiedendogli di non approvare l’attuale testo del DDL “La Buona scuola” in discussione.
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Testo dell’appello
Onorevoli Senatori,
siamo docenti dell’Università di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Lettere e Filosofia. Come cittadini e come professori intendiamo manifestarvi la nostra contrarietà alla “riforma” scolastica proposta dal Governo. Vi indichiamo, in estrema sintesi, soltanto le principali ragioni del nostro dissenso, mentre vi chiediamo un incontro per una discussione più approfondita.
1) L’attribuzione al Dirigente scolastico di un’autorità che vada oltre gli aspetti organizzativi, per toccare addirittura la chiamata e la conferma del docente nel suo ruolo professionale, lederebbe il principio costituzionale della libertà di insegnamento (art. 33: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»). La “chiamata diretta” dei docenti vanificherebbe inoltre i percorsi formativi e valutativi attualmente in atto (in cui l’Università è coinvolta), non escluso il risultato dei concorsi (tutelato in linea di principio dall’art. 97 della Costituzione).
2) L’evidente incentivo a concentrare i docenti “migliori” nelle scuole “migliori” per gli studenti “migliori” (in concreto: di famiglie più abbienti, disponibili a sostenere le scuole con i loro soldi) - e di conseguenza a concentrare i docenti “peggiori” nelle scuole “peggiori” per gli studenti “peggiori” – appare in contrasto con l’art. 3 della Carta: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
3) La “riforma” mostra di ignorare che, nonostante il costante definanziamento e i disordinati interventi governativi degli ultimi anni, quella italiana e' ancora una “buona”, spesso “ottima” scuola. Lo dimostra il fatto che studenti formatisi in Italia (fra medie superiori e Università) trovano spesso agevolmente lavoro all'estero, vincendo la concorrenza locale e trasferendovi con successo le proprie competenze.
L'appiattimento su standard gestionali e formativi di livello genericamente “europeo” sancirebbe invece il definitivo arretramento della competitività del diplomato/laureato italiano a livelli meramente locali.
4) D’altro canto, tutti gli indicatori e i test valutativi provano che la “media” italiana risulta da dati profondamente squilibrati, fra regioni centro-settentrionali (allineate ai valori delle grandi nazioni europee) e regioni centro-meridionali. La diseguaglianza dei risultati non dipende quindi dall’ordinamento interno, ma da fattori decisivi e profondamente diversificati generati dal contesto sociale ed economico. Lo schema del Preside-manager e della competizione fra istituti opererebbe in senso negativo, come un moltiplicatore delle diseguaglianze e dei fallimenti scolastici. Tale schema non risponde alle finalità di promozione personale e culturale, proprie della scuola pubblica, ma all’esigenza tutta politica di estendere al mondo della scuola modelli organizzativi e ideologici propri dell’Impresa.
5) La “riforma” elude quello che, da tutti gli insegnanti, è indicato come il principale ostacolo a un efficace svolgimento dei compiti didattici: l’eccessivo numero di studenti per classe. Grave è anche l’umiliazione professionale, con la conseguente dequalificazione sociale, inflitta agli insegnanti da una retribuzione lontanissima dai livelli delle nazioni europee sviluppate: più in generale, non viene dal Governo alcuna svolta nel senso di adeguati investimenti in Istruzione e Cultura.
6) Al contrario, nel solco dei suoi predecessori, di pur vario segno politico, il Governo propone forme di finanziamento alle scuole private che costituiscono comunque “onere per lo stato” (se non altro come mancate entrate fiscali), in contrasto con l’art. 33 della Costituzione.
Per questi (e altri) motivi, considerato che l’abnome numero di deleghe al governo previste dal ddl vanificherebbe i vostri eventuali emendamenti di segno migliorativo, vi chiediamo di bocciare la “riforma”, senza cedere al ricatto del voto di fiducia.
Andrea Bellelli, Francesca Bernardini, Francesca Romana Berno, Massimo Bianchi, Renzo Bragantini, Maurizio Campanelli, Paolo Canettieri, Nadia Cannata, Andrea Carteny, Alessandra Ciattini, Valerio Cordiner, Rita Cosma, Gianfranco Crupi, Andrea Cucchiarelli, Marco Cursi, Francesco De Renzo, Laura Di Nicola, Laura Faranda, Vittorio Frajese, Stefano Gensini, Sonia Gentili, Rita Giuliani, Marco Grimaldi, Giorgio Inglese, Giuseppe Lentini, Umberto Longo, Luisa Miglio, Stefano Petrucciani, Emanuela Piemontese, Franco Piperno, Giorgio Piras, Oxana Pachlovska, Arianna Punzi, Marco Ramazzotti, Antonio Ricci, Alberto Rizzo, Laura Ronchi, Emilio Russo, Monica Cristina Storini, Alberto Sobrero, Giovanni Solimine, Silvia Toscano, Gianfranco Agosti, Alessio Agostini, Luca Bettarini, Paola Buzi, Stefano Colonna, Marco Del Bene, Savino Dilernia, Gemma Donati, Rita Francia, Paolo Garbini, Fabio Grassi, Alessandro Jaia, Donatella Manzoli, Gioia Paradisi, Ilaria Schiaffini, Francesca Terrenato, Elena Valeri, Stefano Valeri, Lorenzo Verderame, Paola Volpini.
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