Quale progetto per l'università? Una discussione sul DdL Gelmini
Alla Sapienza di Roma un dibattito appassionato e competente sulle politiche del governo per l'università organizzato dalla FLC Cgil. Non c'è riforma, ma tagli su tagli. Fine del sistema universitario nazionale e del diritto allo studio. Eppure di idee ce ne sono tante. L'auspicio che riparta un movimento riformatore ampio e motivato.
Dopo un breve saluto del presidente del Cun (Consiglio universitario nazionale), prof. Andrea Lenzi, Marco Broccati, segretario nazionale della FLC Cgil, ha aperto alla “Sapienza” di Roma l’incontro sul tema “Il DdL Gelmini sull’università. Quale progetto per l’università italiana”.
“Nel DdL – ha detto Broccati – compare ben 16 volte la dizione ‘senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato’”. Sta in questa frase il nocciolo della riforma “epocale” voluta dal Governo: l’asfissia finanziaria. Nessuna domanda sul modello di università sta a monte del provvedimento, ma una conferma che il nostro sistema universitario, già sottofinanziato rispetto a tutti gli altri paesi Ocse, vivrà un “drastico abbassamento del livello medio delle prestazioni”, costringendo i singoli atenei a cercare sostentamento altrove (si veda il caso di Trento). Lo Stato si ritira dalle università sancendo la fine di un sistema nazionale. Assistiamo, da una parte, a un “crescente protagonismo di Regioni e Province che intervento nei rapporti con gli atenei nelle modalità più diverse” e, dall’altra, all’imposizione di un neocentralismo “che si manifesta nell’imposizione ex ante di minuzioso vincoli normativi”. In tutta questa operazione il convitato di pietra è il ministero dell’economia. Broccati analizza con precisione il DdL Gelmini con il suo eccesso di deleghe ed evidenzia anche ciò che non c’è: non una parola sui tecnici e amministrativa, nulla sui lettori e i Cel, nulla sulla ricerca. Risponde a questa logica asfittica anche il sistema di governance, improntato da un’organizzazione gerarchica di stampo amministrativista, dove è annullata qualunque forma di partecipazione e collegialità. Inesistenti le proposte in materia di diritto allo studio: si istituisce un fondo di merito che non ha un finanziamento pubblico, ma si attiva attraverso l’indebitamento dello studente presso una banca. Il rapporto di lavoro dei docenti, lungi da una tutela contrattuale, sarà ingabbiato nel combinato disposto delle deleghe previste dal DdL e della legge Brunetta. Le norme su reclutamento e carriera non innovano niente, anzi sono le uniche che sfuggono alla morsa centralistica di controllo e controllini per essere lasciate alla totale discrezione degli atenei. La mano pesante del governo è su ricercatori e precari. I primi messi a esaurimento in un recinto dal quale difficilmente usciranno, “cancellati per decreto”; i secondi lasciati senza soluzione in una giungla di rapporti di lavoro sottopagati, senza diritti né tutele. Viene istituita tra queste due la figura del ricercatore a tempo determinato che avrà una ipotetica corsia preferenziale per diventare associato, in barba ai precari “storici”. In conclusione, bocciando il DdL su tutta linea, Broccati ha elencato le misure che secondo la FLC sono urgenti per rilanciare il ruolo istituzionale e strategico dell’università italiana: dalla cancellazione dei tagli alla trasformazione dei rapporti di lavoro precari in contratti a tempo determinato; dalla copertura finanziaria dei posti messi a concorso alla strutturazione della docenza in 3 fasce; dalla copertura finanziaria dei programmi di ricerca al riconoscimento dello status di docente ai lettori e ai Cel alla predisposizione di un piano pluriennale di reclutamento. Sulla governance, la FLC smonta l’architettura autoritaria e gerarchica del DdL e si pronuncia a favore di un sistema di autogoverno e di partecipazione che salvaguardi l’autonomia.
Il testo integrale della relazione di Marco Broccati.
Il dibattito che è seguito alla relazione ha toccato tantissimi temi.
Dello svuotamento della figura del ricercatore nel sistema prefigurato da Gelmini ha parlato Alessandro Arienzo, ricercatore all’università Federico II di Napoli. Anche Claudio Franchi, ricercatore precario, è intervenuto sullo argomento, lamentando l’assenza della politica in un progetto di rilancio della ricerca nell’università.
Gli studenti intervenuti hanno messo in evidenza la fine del diritto allo studio universitario. Claudio Riccio dell’associazione Link, in particolare, ha detto che è necessario un nuovo welfare che sostenga i giovani che vogliono proseguire gli studi nella loro o in un’altra città. Anche Giorgio Paterna dell’Udu ha rilevata che già le immatricolazioni all’università e gli accessi alle borse di studio sono diminuiti, e questo è il segno dell’esclusione delle fasce sociali più deboli.
Di governance e valutazione ha parlato Paolo Rossi, ordinario all’università di Pisa e componente del Cun. L’autonomia è l’unico strumento per avere un’università funzionante ed efficiente – ha detto. È questo il modello della grandi università anglosassoni, quelle alle quali si guarda con ammirazione. Il fallimento della nostra autonomia è causato dalla mancanza di risorse e di valutazione. La valutazione è la condizione necessaria per ottenere i fondi pubblici, essenzialmente pubblici, ha voluto precisare. Il 90% dei fondi per la ricerca di Harvard è di origine pubblica. Negli Usa, infatti, grandi agenzie pubbliche di finanziamento agiscono proprio in base alla valutazione dei risultati, cioè ex post. Il DdL Gelmini introduce una valutazione ex ante, illogica e burocratica. Come macchinosa e burocratica è la “chiamata diretta” che richiede ben 6 passaggi. Questo DdL è inemendabile e ispirato dal ministro dell’economia solo per tagliare.
Roberta Pezzetti dell’università dell’Insurbia ha detto che dietro questo DdL non c’è progetto, non c’è un’idea di università, né un obiettivo e né un orientamento strategico. Solo un articolato di principi e strumenti senza un modello. L’università dovrebbe essere un laboratorio di innovazioni inserita dentro un progetto strategico del paese. Quali settori da implementare, quale politica industriale, quale piano di ricerca. Tutti questi orientamenti non ci sono, a differenza che in altri paesi. Gli stessi progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) hanno tempi lunghissimi di approvazione e tempi brevissimi di finanziamento (2 anni da noi, 20 anni negli altri paesi: altrimenti dove sta l’interesse nazionale?).
Anche per Ludovica Ioppolo, dell’ADI (Associazione dottorandi di ricerca), le sorti dell’università sono strettamente connesse a quelle del sistema paese. Al di là di come andrà la battaglia parlamentare sul DdL, il modello di università basato sulle ristrettezze finanziarie non può reggere. Per uscire dalla crisi bisogna investire in conoscenza. E superare il precariato.
Anche Francesco Raparelli, dottorando della rete dei laboratori precari, ha sottolineato come l’arretratezza del nostro sistema produttivo che non richiede lavoratori altamente formati contribuisca all’antintellettualismo di stato di Brunetta e Sacconi e alimenti l’isolamento anche sociale di chi lavora e opera nelle università. Ha invitato il sindacato a farsi carico anche di quei lavoratori che non sono tutelati dallo Statuto del 1970 per costruire un sistema di welfare che comprenda anche i precari della conoscenza.
Il rettore dell’università della Tuscia e segretario generale della Crui, Marco Mancini ha dichiarato, cifre alla mano, che al 1.1.2011 se continua questo definanziamento le università e la ricerca muoiono. Ha invitato a separare il discorso dei finanziamenti da quello del DdL. Quest’ultimo avrà un decorso prevedibilmente lungo, ma i finanziamenti si decideranno a luglio nel Dpef.
Andrea Stella, docente a Padova e componente del Cun, ha detto che l’università ha certo bisogno di riforme e che i contenuti del DdL erano stati anticipati a novembre 2008 dalle Linee guida del Governo. Le prime due pagine di quel documento erano condivisibili, poi in base a una serie di dati falsati e sapientemente manipolati, come la questione del numero di corsi, si è costruito il teorema dell’università come luogo di farabutti e dunque meritevole di tagli. Decidere centralmente ex ante che i corsi sono troppi o del numero dei docenti o degli indirizzi è il contrario di una seria valutazione. Nel sistema di reclutamento a 2 step, Stella intravede il rischio della formazione di una pletora di idonei non chiamati che avrà come effetto la tentazione di un’ope legis oppure il rinvio continuo dei concorsi successivi.
Romana Frattini, ricercatrice e componente del Cun, ha detto che il DdL di fatto conferma e sancisce lo stato attuale dell’università, ormai cambiata in nodo sostanziale dai tagli. Una situazione depressa che rende difficile persino la mobilitazione.
Sono anche intervenuti esponenti politici: Walter Tocci, senatore del PD che ha lamentato proprio la mancanza di mobilitazione dell’università di fronte al “commissariamento” operato del Mef. Tocci ha detto che non si è fatto abbastanza per difendere l’autonomia e questo DdL è un colpo mortale perché agisce su un corpo già sfiancato da un ciclo “riformatore” di anni ormai giunto al capolinea. Ha assicurato che il suo gruppo darà battaglia e cercherà di trovare alleanze per modificare il più possibile il provvedimento. A nome del PD ha parlato anche la prof. Maria Chiara Carrozza che ha presentato il modello di università in fase di elaborazione e costituzione nel FORUM PD. I temi principali riguardano: riportare gli studenti al centro del sistema universitario, proporre una riforma del diritto allo studio, analizzare il problema della mobilità sociale e geografica degli studenti italiani, proporre una forma di contratto unico per il ricercatore in formazione e introdurre meccanismi di finanziamento e valutazione della ricerca secondo standard internazionali.
Il senatore Francesco Pardi dell’Italia dei Valori ha detto che, dati i numeri, il Parlamento non c’è nessuna possibilità di modificare il DdL. Parlando della svalutazione del lavoro intellettuale ha detto che ormai l’università è diventata il luogo del lavoro gratuito.
Per conto della Federazione della Sinistra ha parlato Francesco Polcaro che si è soffermato sulla questione della valutazione: se è fatta bene costa e perché abbia un senso bisogna che tutti gli atenei siano messi in pari condizioni di partenza. In realtà nelle università la valutazione si è sempre fatta, il problema e tenerne conto.
Domenico Pantaleo, segretario generale della FLC Cgil, ha tentato di tirare le fila di una discussione appassionata, competente e piena di stimoli.
Rimettere in moto un movimento forte e ampio è il primo nostro obiettivo per allargare lo spazio del dibattito - ha esordito - quel dibattito che il governo cerca di soffocare. Camuffando la realtà, manipolando i dati, banalizzando le situazioni il governo, in questo sostenuto dai media, ha sollevato un tale polverone che qualunque intervento sull’università sarebbe stato benvenuto. Tutto questo ha nascosto la realtà dei tagli pesantissimi. Senza finanziamenti non c’è sopravvivenza e questa è dunque una questione prioritaria. Pantaleo si è soffermato su come la crisi abbia evidenziato i limiti del nostro modello di sviluppo e scaricato i suoi effetti pesantemente sull’occupazione. Per ribaltare questa situazione e aprire una prospettiva per il paese bisogna investire in conoscenza. Un nuovo e più sostenibile sviluppo non può che basarsi su conoscenza, innovazione, competenze. Se si radica l’idea che la precarietà è connaturata al nuovo modo di lavorare non si potrà più fare ricerca, cultura, didattica. Il DdL, che è inemendabile, si fonda sull’idea di piegare l’università all’impresa e al mercato: levandole le risorse la costringe a cercarle. Da noi l’impresa non finanzia la ricerca universitaria, se non in minima parte, ma le regioni hanno un interesse maggiore. Esse possono essere un tramite interessante tra le università e il territorio, ma non possono diventare, come è successo a Trento, proprietarie dell’università. Una formula che non c’entra nulla con l’autonomia e col federalismo. D’altronde questo governo ha in odio tutte le forme di autonomia, le ha colpite nella scuola, nell’università e nella ricerca e lo fa con un disegno complessivo. Anche la legge Brunetta è funzionale a questa negazione: annulla contrattazione decentrata e decide per legge i provvedimenti disciplinari in un impianto amministrativo centralistico, burocratico e autoritario che nega qualunque forma di partecipazione. Nasce un sistema inefficiente e rigido. Su tutta questa operazione c’è un regista ed è il MEF.
I risultati di questa politica si vedono già, Le università sono al collasso, il diritto allo studio non è più garantito, perché ormai dipende dal censo delle famiglie: aumentano gli abbandoni degli studi per ragioni economiche. Il DdL completa il quadro con il taglio del 60% di borse di studio, servizi agli studenti ecc. Il fondo di merito non funzionerà se non vengono garantite pari opportunità di accesso. Per questo la FLC si batterà per un reddito di cittadinanza che sostenga il diritto allo studio. Se questo diritto non c’è non avremo mai dei talenti, senza pari opportunità non sapremo mai quante risorse umane stiamo sprecando. Il nostro paese non è nuovo a questo spreco, quando li formiamo i talenti li lasciamo al precariato e i giovani o perdono la voglia di studiare o se ne vanno all’estero: noi esportiamo “cervelli”, ma non ne importiamo, anche su questo siamo a saldo negativo.
Sul reclutamento Pantaleo ha detto che il sindacato non accetterà che si mettano i lavoratori gli uni contro gli altri, come questo governo sta facendo da due anni a questa parte: pubblici contro privati, docenti contro amministrativi e tecnici. Loro fomentano i corporativismi, il sindacato vuole ricomporre la frammentazione del mondo del lavoro e nel caso dell’università superare la separazione tra ricercatori, associati e ordinari.
Pantaleo ha concluso riconfermando l’impegno del sindacato per fare uscire la discussione sull’università dai circoli di esperti perché è un problema di tutto il paese. Il primo importante appuntamento sarà lo sciopero del 12 marzo.
Roma, 2 marzo 2010
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