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Splendore e miseria alle nomine: il racconto di una giornata in Direzione regionale

Un racconto umano e realistico di una giornata di nomine in ruolo.

30/08/2006
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In questo periodo di nomine, in cui la discussione è su punteggi, graduatorie, scuole di montagna e altre questioni burocratiche ci sembra interessante pubblicare il racconto di una lunga giornata di nomine vista con occhi attenti “alle persone” e non agli aspetti tecnici e sindacali delle operazioni. Ringraziamo la segreteria della FLC Cgil Liguria per il bel contributo.

Roma, 30 agosto 2006

SPLENDORE E MISERIA ALLE NOMINE

"Nella grande sala affrescata l’aria è umida, pesante. I presenti cercano di assestarsi alla meglio sulle scomode sedie e parlottano tra loro, nervosi. Una giovane donna cerca di calmare il suo bimbo che piagnucola, altri si riuniscono in piccoli gruppi e si scambiano sottovoce informazioni che sembrerebbero vitali, altri ancora cincischiano fogli stropicciati con elenchi di scuole e di classi di concorso. Una ragazza, in un angolo, si asciuga il viso, non si sa se dal sudore o dalle lacrime. Visi segnati, con una piega scettica all’angolo delle labbra; visi giovani, freschi nonostante il caldo e l’ansia; mani che stringono borse voluminose, portacarte professionali, sacche da spiaggia, obsolete cartelle di cuoio nero.
Di fronte a loro, i funzionari della Direzione scolastica regionale, seminascosti da montagne di tabulati e di moduli: una sorta di giudizio universale in minore, dove molti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti.

Il metodo delle chiamate da graduatoria non è certo un granché, macchinoso, formale e burocratico fino all’inverosimile: però, fino ad oggi, non si è trovato ancora nulla di meglio e, quantomeno, pur con tutti i suoi difetti, almeno è un sistema garantista e trasparente, che riduce al minimo contenziosi e rivendicazioni.
I primi in graduatoria hanno il vantaggio di poter scegliere tra molte sedi disponibili e, nel vasto e ramificato sistema di comunicazioni informali che percorre il mondo della pubblica istruzione, tutti sanno benissimo quali siano le scuole appetibili, quelle accettabile e quelle da cui tenersi prudentemente alla larga: d’altro canto è comprensibile che, dopo tanti anni di precariato e di incertezza, si desideri alla fine svolgere il proprio lavoro in un ambiente il più possibile congeniale.
Accade così che le scuole più difficili da raggiungere, più disagiate, più periferiche oppure situate in aree con problemi di carattere sociale e ambientale non siano quasi mai scelte dai docenti di ruolo e vengano successivamente coperte da supplenti annuali.

Non per deliberato disegno, ma per uno sfortunato concorso di circostanze, le scuole più “complicate” si trovano ad avere un corpo docente instabile e poco coeso, con ricadute evidenti sulla qualità del servizio offerto e sulla coerenza dell’offerta formativa. E questo la dice lunga su come il precariato endemico che caratterizza il sistema della pubblica istruzione nel nostro paese abbia poi conseguenze gravi sulle finalità che il sistema stesso dovrebbe avere.
Ecco, incominciano le chiamate: i convocati, che sono di più dei posti effettivamente messi a disposizione, si tendono sulle sedie, nella speranza che qualcuno rinunci e che quindi si prosegua nella graduatoria. Spesso ci si ferma, non si sa se l’avente diritto non si sia presentato perché intende rinunciare o perché non ha ricevuto la convocazione. Bisogna rintracciarlo e i tempi si allungano, mentre l’atmosfera si addensa di speranza, di tensione, di un essere insieme che è anche solitudine e isolamento.

Una ragazza in avanzata gravidanza solleva i piedi gonfi e si agita sulla seggiola, a disagio; molti escono in cortile a fumare una sigaretta, altri si consultano con i sindacalisti presenti, chiedendo consigli e rassicurazioni. In occasioni come queste ci si rende conto che la competenza tecnica, da sola, non basta: ci vogliono anche empatia, autenticità, capacità di ascolto.
A pomeriggio inoltrato le nomine sono terminate e il salone si è svuotato: resta l’interrogativo di quanto peserà, nella vita delle persone che hanno condiviso l’attesa, la speranza e a volte la delusione, il lungo precariato, i continui cambi di sede, l’impossibilità di costruire un rapporto stabile con i colleghi e gli allievi. Quale entusiasmo, quale creatività, quale voglia di fare e di sperimentare saranno rimasti loro, dopo un’esperienza di questo tipo?

Ecco, io credo che i problemi della nostra scuola si debbano affrontare proprio partendo da queste storie di ordinario disagio, se vogliamo offrire ai cittadini di domani un sistema formativo all’altezza delle sfide che ci attendono."

Paola Repetto

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