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Seminario 14 novembre CON/CITTADINANZE – Insieme è meglio, anche a scuola

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La conoscenza è oggi il più grande bene: ogni abbandono, ogni dispersione, produce una ferita

Sintesi dell'intervento conclusivo di Domenico Pantaleo al Convegno nazionale "C'è ancora la dispersione scolastica?".

15/11/2010
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Il Convegno nazionale sulla dispersione scolastica che si è tenuto a Lerici, in provincia di La Spezia, giovedì 11 e venerdì 12 novembre, è stato un appuntamento ricco di contenuti: dispersione scolastica, obbligo scolastico, educazione degli adulti, politiche per l'integrazione, e molto altro ancora. Il programma del Convegno.

Con la nostra web-cronaca è stato possibile seguirne lo svolgimento (prima giornata e seconda giornata).

Domenico Pantaleo, Segretario generale FLC CGIL, ha avuto il compito di trarre le conclusioni di queste due intense giornate e di definire le finalità e i prossimi obiettivi che impegneranno la nostra organizzazione.

I nostri lettori possono leggere di seguito la sintesi del suo intervento.

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La conoscenza è oggi il più grande bene: ogni abbandono, ogni dispersione, produce una ferita

I temi su cui si sono svolti i lavori del convegno, hanno bisogno di "diventare senso comune nel Paese", esordisce Pantaleo. Devono essere parte integrante della vertenzialità generale della CGIL; anche al di là delle questioni relative all'immigrazione. Bisogna far circolare in rete e nelle nostre strutture le esperienze qui riportate che sono importanti, di qualità e hanno tutte le caratteristiche per essere punti di riferimento per la CGIL e per la FLC.

Dobbiamo guardare con lucidità a quanto sta avvenendo nel Paese. Oggi si sta tentando di svuotare e di stravolgere le finalità stesse dell'istruzione. A questo mirano le politiche scolastiche di questo governo. Ma bisogna dire che mai in Italia si è tentato di mettere in campo politiche idonee a perseguire gli obiettivi di Lisbona. Se poi pensiamo agli obiettivi di Europa 2020, è evidente che in assenza di un radicale cambiamento saranno mere chimere.
In Italia si va in direzione contraria. Invece di promuovere e rinnovare la mission della scuola come luogo di pari opportunità e di esercizio della democrazia, si attacca la scuola di massa che costerebbe troppo e sarebbe fallita, si scinde il sapere dal saper fare, si rende possibile completare l'obbligo entrando in apprendistato a 15 anni, addirittura a 14 anni in Lombardia.
È un'idea di società che avanza e che non riguarda solo la scuola. Un'idea dove le disuguaglianze non sono viste come disvalore, ma come una sorta di selezione naturale. L'esclusione sociale viene vista come un fatto "naturale". A scuola, le bocciature sarebbero una dimostrazione di valore, di rigore, di serietà. Altro che valutazione come processo pedagogico! E infatti l'anno scorso le maggiori bocciature ci sono state nei professionali, al Sud, tra gli immigrati: eccola l'esclusione sociale!

Avanza un'idea di società intesa come società di consumatori. Gli immigrati consumano il meno possibile, per questo vengono emarginati. Anche così si va contro un'idea di solidarietà.
Il nostro è un Paese in preda alla paura, alla diffidenza, che ha bisogno continuamente di costruirsi un nemico. Ne è esempio eclatante il costrutto proposto e diffuso dal sistema mediatico che associa immigrazione e criminalità. E alimenta l'insicurezza.
Bisogna cambiare il modello culturale e civile del Paese.

Le esperienze presentate in questo convegno devono potersi "fare sistema".
Oggi c'è bisogno di valori forti, il nostro riferimento alla Costituzione si rinnova confrontandosi con le sfide attuali per sviluppare democrazia, cittadinanza, intercultura.
Le politiche dell'immigrazione poste in atto, invece, negano i grandi diritti costituzionali.
Ma bisogna dire che il nostro Paese ha difficoltà a guardare all'immigrazione come a un fatto normale, strutturale. Ha faticato anche quando sul versante legislativo sono state fatte cose buone. È  come se fosse mancata l'anima di una vera politica di integrazione.

La scuola per poter essere avamposto di integrazione deve essere a sua volta integrata. Essere parte di una rete territoriale. Ma il territorio deve essere luogo di sperimentazione di buone forme di socialità e di convivenza nelle quali si superano stereotipi e pregiudizi non il luogo in cui si applicano risposte univoche a situazioni diverse.

Invece c'è la tendenza a rinchiudersi in ghetti. Sempre più spesso si formano quartieri di rumeni, di cinesi… Non è opera del caso. E' il frutto di chiusure identitarie.
Anche a scuola bisogna evitare di avere classi monoetniche.
È un problema di governo territoriale.
"Non sto sostenendo il tetto del 30 %, ovviamente - precisa il segretario generale - sto dicendo che, tautologicamente, l'intercultura non si fa nella omogeneità culturale, bensì nella pluralità".

In Italia la dispersione era forte anche prima dei flussi migratori.
Il guaio è che non si favorisce una azione preventiva.
La dispersione è anche perdita di senso e di motivazione. La scuola italiana fa fatica. Ma questo non dipende dai docenti. Ho avuto modo, ad esempio, di vedere che in Germania la dispersione viene affrontata con interventi formativi sia per i docenti che per le famiglie degli alunni e degli studenti.

Non è solo per ragioni linguistiche che i ragazzi e le ragazze immigrati hanno difficoltà a relazionarsi. L'apprendimento dell'italiano L2 non ha senso se il clima della classe, della scuola, del quartiere non è un clima comunicativo.

C'è bisogno di rete, di superamento delle nicchie identitarie.
E ci vuole una scuola che si rapporti al vissuto e alle diversità.
L'interculturalità è il terreno principe del cambiamento necessario della scuola.
Una interculturalità fatta di rispetto, di capacità di connettere dimensione locale e dimensione globale, identità e diversità, convivenza e confronto.
Così il diritto all'istruzione diventa un diritto esigibile anche per i ragazzi con cittadinanza non italiana.
Ma se quei ragazzi si iscrivono in stragrande maggioranza ai professionali significa che in questo Paese gli immigrati esistono e valgono solo in quanto lavoratori.
Ma l'identità di una persona non è limitata al lavoro.
Dobbiamo capire che oggi le classi dirigenti devono essere multiculturali.
Non si può precludere agli immigrati la possibilità di diventare classe dirigente e questo è in primis il sistema dell'istruzione che lo deve garantire. Diversamente saremmo (siamo) di fronte a meccanismo di classismo puro.
Per questo il biennio unitario, in un obbligo scolastico che si concluda per tutti a 16 anni è fondamentale.
Non è per caso che la maggior parte degli abbandoni avviene tra i 14 e i 17 anni. Serve un'azione di orientamento e sostegno. Bisogna offrire le condizioni che consentono ai ragazzi una scelta libera.
Per la formazione degli adulti ci vuole un sistema diverso che riconosca e valorizzi saperi e conoscenze.

Noi abbiamo una grande funzione, conclude Pantaleo: costruire il senso di una missione, contribuire a realizzare un Paese che recupera il senso della sua civiltà.
In questa ottica le elaborazioni dei convegni devono tradursi in iniziativa, in operatività, in lavoro quotidiano.
Se la conoscenza è oggi il più grande bene, ogni abbandono, ogni dispersione, produce una ferita.
Un cittadino che pensa con la propria testa, che esercita la democrazia, che entra in rapporto con gli altri con rispetto e apertura è fondamentale per lo sviluppo del Paese.

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