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Subito una soluzione per il precariato delle Università

La nostra proposta per il reclutamento con procedure riservate di assegnisti e ricercatori a tempo determinato.

17/10/2017
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La recente approvazione del decreto legislativo 75/2017 (provvedimento Madia) apre la possibilità di stabilizzare il personale del Pubblico Impiego con rapporto di lavoro precario, superando finalmente l’abnorme uso che di questa forma di lavoro è stata fatta nell’Amministrazione pubblica.

Da questa soluzione non deve restare fuori il personale precario delle Università!

In particolare il precariato della didattica e della ricerca, in primis assegnisti e ricercatori, rischiano di non trovare soluzioni adeguate e rispettose della ratio del decreto legislativo appena approvato.

Infatti mentre si discute della stabilizzazione degli assegnisti che lavorano presso gli Enti Pubblici di Ricerca, grazie anche e soprattutto alle mobilitazioni di quei lavoratori, nelle Università tutto tace persino per i ricercatori a tempo determinato che dovrebbero a pieno diritto rientrare nei requisiti di legge.

Come già evidenziato nell’appello è necessario fin dalla prossima legge di Bilancio destinare risorse aggiuntive per il sistema universitario per combattere la piaga del precariato.

La precarizzazione del lavoro di ricerca e di didattica è arrivata a toccare in questi anni soglie ben oltre quelle raggiunte dagli altri settori pubblici sia in termini di ampiezza che di stagnazione del fenomeno. La norma Madia, comunque la si valuti, rappresenta il riconoscimento della dimensione patologica assunta dalla precarietà del lavoro pubblico. Sottrarre l’Università dall’alveo applicativo di tale norma significa sostenere che a fronte di 50.000 strutturati, i 5.000 ricercatori a tempo determinato con una media di 6 anni (nelle varie forme) di attività svolta e gli oltre 15.000 assegnisti di ricerca rappresentano l’ordinaria e fisiologica necessità di lavoro di ricerca a termine.  Ciò è inaccettabile per il presente ed il futuro dell’Università. I ricercatori precari dell’Università svolgono attività stabile sia riguardo la ricerca sia riguardo la didattica.

Questi lavoratori rientrano, a nostro avviso, al pari di quelli degli enti di ricerca, nei requisiti dell’art.20 del D.Lgs 75/17. Vero è che la legge 240/2010 ha inopinatamente abolito la figura del ricercatore a tempo indeterminato, ma al suo posto ha inserito il ricercatore a tempo determinato di tipo b che, al verificarsi di determinate condizioni, è posto in un percorso di immissione nei ruoli della docenza. Non c’è ragione giuridica per cui la norma Madia non debba essere applicata alle figure professionali contenute nella legge 240/2010 in coerenza con i principi che essa definisce: ossia la possibilità che le amministrazioni reclutino, con procedure riservate, quegli studiosi che rispettino alcuni requisiti di continuità e di qualità di servizio.

Questa è allora la nostra proposta:

1. Gli attuali ricercatori a tempo determinato di tipo a) già abilitati e coloro i quali conseguiranno l’abilitazione nel triennio devono poter transitare nella posizione di ricercatore a tempo determinato tipo b) articolo 24 comma 3 e quindi nel ruolo dei professori associati nei tre anni successivi. Il costo a regime dell’operazione è stimabile in 50 milioni.

2. Agli assegnisti di ricerca che lavorano nelle Università si applica il principio del comma 2 dell’articolo 20 della Madia secondo le seguenti procedure:

  1. procedure comparative riservate per gli assegnisti abilitati per il reclutamento nella posizione di ricercatore a tempo determinato articolo 24 comma 3 tipo b.
  2.  procedure riservate agli assegnisti triennali in scadenza per il reclutamento come ricercatore a tempo determinato articolo 24 comma 3 tipo a, per consentire la possibilità di acquisire l’abilitazione scientifica nazionale.

Il costo stimabile della trasformazione di tutti gli attuali assegni di ricerca in contratti di ricercatore è di circa 400 milioni nel triennio. Nel prossimo triennio peraltro andrà in pensione circa il 20% dei professori ordinari e circa il 15% dei professori associati attualmente in servizio per un totale di risorse economiche utilizzabili pari a 450 milioni.

Chiediamo una manovra straordinaria finalizzata a coprire i costi della trasformazione degli assegni di ricerca in posti di ricercatore.

3. Gli attuali ricercatori a tempo indeterminato in possesso di abilitazione, o che la conseguiranno successivamente, devono poter transitare nel ruolo dei professori associati senza gravare sulle attuali risorse nella disponibilità degli atenei. Il costo di tale manovra nel triennio è quasi nullo vista l’anzianità media di ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato, e sarebbe pienamente coperto dalle risorse economiche che si liberano dal turn-over.

Per consentire appieno tutte queste operazioni è però assolutamente necessario che esse siano in deroga dal dannoso meccanismo dei punti organico.

Contemporaneamente nella Legge di Stabilità dovranno essere previste risorse stabili sul Fondo di Finanziamento Ordinario per adeguare gli organici, in particolare per la prima fascia della docenza e per intervenire sulle retribuzioni della docenza e del personale contrattualizzato.

E’ quindi assolutamente necessario che qualsiasi intervento sulle retribuzioni sia finanziato con fondi aggiuntivi al FFO. Non sono accettabili proposte, pure avanzate in questi giorni, che mirano a intervenire sulle retribuzioni del personale docente attraverso le risorse nella eventuale disponibilità degli atenei. Queste risorse, se ci sono, sono scarse e non sono egualmente ripartite tra i diversi atenei. Non solo questa proposta determinerebbe l’ulteriore differenziazione tra i docenti in base alle disponibilità di bilancio dei diversi atenei, ma sottrarrebbe risorse preziose per il funzionamento dei servizi, per il reclutamento di nuovi studiosi, per le attività di ricerca e didattiche. Si metterebbero i docenti gli uni contro gli altri, e questi contro gli studenti e i precari.

E’ necessario invece cogliere l’occasione della prossima Legge di bilancio per porre mano al definanziamento del sistema universitario, che tanti danni ha provocato e provoca per il Paese.

Altrimenti avremo perso l’ennesimo treno per agganciarci a quello che tutti gli altri Paesi d’Europa e di gran parte del mondo stanno facendo: investire in conoscenza e ricerca.