L' Unità - Ai docenti universitari serve un contratto. Ranieri (CGIL): "Gli incentivi non bastano, occorre rivedere lo stato giuridico"
Dopo la pausa pasquale torneranno al lavoro le commissioni parlamentari e tra i provvedimenti in discussione al Senato ve ne è uno atteso da anni dai 18 mila ricercatori universitari che si aspettano l'introduzione della "terza fascia docente"
Dopo la pausa pasquale torneranno al lavoro le commissioni parlamentari e tra i provvedimenti in discussione al Senato ve ne è uno atteso da anni dai 18 mila ricercatori universitari che si aspettano l'introduzione della "terza fascia docente". Non riguarda solo una categoria ma si inquadra nella riforma dell'Università italiana. Un processo che cammina dopo lo schema di regolamento quadro emanato dal Murst - quelli di area sono in arrivo - strumento essenziale per realizzare l'autonomia didattica. Il Parlamento dovrà esprimersi anche sul disegno di legge del ministro Zecchino che istituisce il fondo di incentivazione per i docenti e strumenti di valutazione per la gestione degli Atenei finalizzati anche a ridurre tempi troppo lunghi per conseguire la laurea e abbandoni, approvato recentemente dal governo.
Ma un incentivo una tantum quanto potrà motivare l'impegno dei professori nella didattica e nell'attività di ricerca? E con quali strumenti si potrà assicurare qualità alla vita degli Atenei? Per gli universitari - di destra e di sinistra - "l'incentivo non basta, è necessario rivedere lo stato giuridico dei docenti". È la ricetta che da tempo indica Andrea Ranieri, segretario della CGIL Scuola Formazione e Ricerca. Il suo ragionamento parte dal nuovo contesto determinato dal Patto per lo sviluppo che riconosce all'Università un ruolo centrale per lo sviluppo del paese.
"Se l'Università rappresenta una risorsa strategica, allora bisogna rompere ogni logica di autoreferenzialità e aprirsi al confronto con tutti. Nel Patto per lo sviluppo è previsto che i contratti d'area siano supportati da un "patto formativo e per la ricerca" che coinvolge gli Atenei. Alcuni hanno risposto, altri no. Ma se la società ha il diritto di valutare e verificare l'utilità della "risorsa Università", allora perché non considerare tra i parametri di incentivazione agli Atenei anche l'impegno delle Università a favore dello sviluppo locale, della formazione continua e dell'educazione degli adulti? L'autonomia degli Atenei è assunzione di responsabilità e quindi o è in rapporto con il territorio e con le sue sigenze, o rischia di ricadere in una pericolosa logica autoreferenziale".
Ranieri perché insiste tanto sulla riforma dello stato giuridico dei docenti?
"Perché il sistema di incentivazioni una tantum previsto per il docente che si impegna nell'attività di orientamento, nei corsi di formazione o di educazione degli adulti, o nella didattica è un primo passo significativo, ma non basta. Bisogna che quei parametri diventino i criteri con cui valutare in maniera ordinaria la carriera dei docenti. Per questo va riscritto lo stato giuridico. Oggi la didattica e le altra attività che consentono di accedere al fondo di incentivazione sono del tutto irrilevanti per la carriera. Conta quello che il professore ha pubblicato e l'attività di ricerca svolta. I passaggi essenziali sono come diventi ricercatore, come passi associato e poi come da associato diventi ordinari. Ma quello che il docente fa realmente in rapporto agli studenti e ai compiti didattici non incide sulla sua progressione di carriera. Per questo alla base della riscrittura dello stato giuridico va messo quanto conta la didattica. L'altra novità da introdurre è il superamento dell'anacronistica distinzione tra ricercatori e docenti. Oggi i due terzi dei ricercatori hanno anche incarichi di insegnamento e svolgono il 40% dell'attività didattica. Se si decidesse di limitare alle sole esercitazioni la loro attività circa metà dei corsi universitari si fermerebbero".
Qual è la vostra proposta?
"Pensiamo ad uno stato giuridico basato su un ruolo unico che contempli sia gli incarichi di docenza che quelli di ricerca".
Ranieri, ma con il docente unico non si corre il rischio di appiattire le carriere universitarie?
"È vero il contrario. È appiattente la situazione attuale. Nella nostra proposta ogni quattro anni i docenti, che lo vogliono, vengono valutati. Proponiamo un concorso per il docente universitario unico e sei fasce di carriera basate su periodiche valutazioni. Oggi non si può distinguere tra ruolo di ricerca e ruolo di docenza. Invece la figura deve essere unica, ma con una progressione di carriera molto più forte della situazione attuale. Così potremmo evitare il paradosso del docente che una volta ordinario, smette di fare ricerca o di insegnare senza che questo pesi sulla sua carriera".
Per cambiare lo stato giuridico dei docenti universitari serve una legge. La vede vicina?
"Il patto sociale dice una cosa importante, che il Governo è disponibile a confrontarsi sullo stato giuridico anche con le parti sociali, perché giustamente si ritiene che questo punto non riguardi solo i docenti, ma il processo di riforma dell'Università. La stessa autonomia e la presenza delle Università nelle strategie di sviluppo e l'incentivazione degli insegnanti non sono compatibili con uno stato giuridico così rigido. Ne serve uno nuovo e, aggiungo, serve la contrattazione. Tra i dirigenti pubblici solo i docenti universitari non sono contrattualizzati. Ed è questa la via per affermare un principio: mettere in rapporto quel che si fa con il valore della retribuzione".
Ma non si rischia di trasformare gli Atenei in baracconi sindacali?
"La realtà può rassicurare. Se oggi si può parlare di riforma della pubblica amministrazione è perché il rapporto di lavoro nel pubblico impiego è stato interamente contrattualizzato. La legge Bassanini, il decentramento amministrativo, la riforma dei Comuni non sarebbero stati possibili senza la contrattualizzazione che ha accompagnato l'innovazione istituzionale".
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