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L’Anvur avvia la pericolosa sperimentazione di un test sulle competenze effettive di carattere generalista dei laureandi italiani

Le mediane del sapere critico e l'accreditamento delle conoscenze generaliste.

19/03/2013
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Nell’ambito del Decreto Legislativo 19 del 27 gennaio 2012 relativo all’Autovalutazione, alla Valutazione e all’Accreditamento del sistema universitario italiano, già dallo scorso agosto ha preso avvio la sperimentazione di un test sulle competenze effettive di carattere generalista dei laureandi italiani. La sperimentazione coinvolge, sulla base di uno specifico protocollo, ben 12 atenei italiani (Piemonte Orientale, Università degli Studi di Milano, Padova, Udine, Bologna, Firenze, Roma La Sapienza, Roma Tor Vergata, Napoli Federico II, Lecce, Messina, Cagliari).

Le linee guida, la base regolamentare, le note metologiche e i report di accompagnamento sono invece presentati in un documento a cura di Fiorella Kostoris Padoa Schioppa sul sito dell’Anvur. I costi, per il biennio 20012-2013 si aggirano intorno agli 800.000 euro e prevedono l’utilizzo di un modello, il collegiate learning assessment, implementato dal Council for Aid to Education’s Collegiate Learning Assessment, un’organizzazione “non-profit” statunitense finanziata da fondazioni private e multinazionali dell’educazione.

Poiché tra i requisiti dell’accreditamento iniziale dei corsi di studio vi è l’obbligo di descrivere nella Scheda Unica Annuale del Corso di Studio anche gli obiettivi formativi attesi per aree omogenee, e per far seguito alle disposizioni di Bergen del 2005, l’Anvur intende sperimentare strumenti di monitoraggio dell’acquisizione delle effettive competenze da parte degli studenti al termine del loro percorso di studio.

Le competenze attese, tuttavia, non sono esclusivamente quelle specialistiche previste dal corso di studio, ma sono anche competenze di tipo generalistico definite sulla base dei descrittori di Dublino, già oggi parte integrante delle declaratorie che accompagnano gli ordinamenti didattici proposti dagli atenei. Nel documento di presentazione del progetto è quindi chiarito che nelle linee d’indirizzo ministeriali ed europee vi sarebbe la duplice distinzione “fra gli esiti, sia attesi, sia acquisiti, dell’apprendimento universitario tanto di tipo specialistico […] quanto di tipo generalista […]”. Questi ultimi, in particolare, dovrebbero far riferimento al “pensiero critico”, all’abilità di comunicare, all’apprendimento ad apprendere. Anche per tale ragione, l’“Anvur ha posto all’interno del capitolo F.2 dedicato all’accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari una sezione (F.2.4) riguardante gli ulteriori criteri, indicatori e parametri per l’accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio, inclusi di quelli (F.2.4.1) concernenti gli esiti degli apprendimenti effettivi”.

Ancora una volta, lo scopo dichiarato è quello di definire “ranking di qualità” e quindi strumenti di distribuzione “premiale” del FFO tra gli atenei sulla base dei risultati di queste valutazioni, oltre che definire i requisiti per l’accreditamento periodico dei corsi di studio e della loro valutazione periodica. Prendendo tra i diversi esempi quelli relativi agli iscritti al ciclo triennale, nel caso dell’accreditamento il prerequisito è dato dal numero di studenti che devono partecipare: ad esempio, per l’accreditamento periodico delle lauree triennali la soglia è il 50% degli studenti che per ogni corso di studio triennale abbiano acquisito tutti i CFU di base e caratterizzanti. Nel caso della valutazione periodica invece entra in campo il discutibile criterio della mediana: “nella valutazione periodica il migliore 50% (il migliore 75%) del totale degli studenti dell’Università, aventi queste caratteristiche di acquisizione dei CFU di base e caratterizzanti, deve nei test superare la mediana nazionale per avere diritto al bonus aggiuntivo (al superbonus aggiuntivo) del FFO”.

A regime, al test oggi in sperimentazione di tipo “generalista” si affiancherà un diverso test finalizzato a monitorare le competenze specialistiche degli studenti italiani, ed entrambi saranno obbligatori e fondamentali ai fini dell’accreditamento dei corsi e della distribuzione della quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario. Nel quadro offerto da AVA, anche queste attività di monitoraggio e di valutazione avranno ricadute importanti sull’articolazione, quantità e qualità dell’offerta formativa.

Il documento chiarisce comunque che nell’anno accademico 2012-2013, e fino a fine 2013, a titolo sperimentale, questo test non dovrebbe incidere sul giudizio sull’accreditamento e la valutazione periodica, né sulla distribuzione del FFO. Solo a partire dal 2014, “se il test passasse i requisiti di robustezza necessari” esso entrerebbe in via permanente nel sistema dell’accreditamento e della valutazione periodica italiana. I dati raccolti, dovrebbero “favorire scelte più consapevoli in tutti gli stakeholders”, in altri termini dovrebbero orientare le scelte degli studenti, delle loro famiglie, eventualmente delle imprese nella scelta dei laureati migliori dotati delle migliori competenze generiche oltre che specialistiche.

Questa sperimentazione prende avvio nella generale disattenzione degli atenei italiani in un momento di estrema difficoltà dovuta proprio all’avvio confuso e pasticciato dell’AVA. Incontri più o meno aperti su questo progetto si sono svolti solo nelle sedi coinvolte dalla sperimentazione. Riteniamo urgente che l’intera comunità universitaria venga coinvolta nella definizione delle linee programmatiche di questa sperimentazione e nella sua valutazione e monitoraggio fin dal suo anno di avvio. Crediamo che già al suo avvio questa sperimentazione abbia mostrato tutto il suo approccio burocratico, disciplinare e ideologico alla valutazione delle competenze effettive.

In quella che è più di una semplice battuta, allora, il rischio è di trovarci a breve a fare i conti con le mediane del “pensiero critico”. Crediamo sia pericolosa l’idea che si possano “misurare” attraverso un test competenze come le “capacità critiche” o comunicative. Quel che si testa, nella migliore delle ipotesi, sono solo alcune competenze generaliste, peraltro fortemente condizionate dal contesto e dalla biografia personale dello studente.

E siamo scettici che le procedure econometriche sperimentate dall'OCSE in AHELO, descritte nel documento siano capaci “di depurare i risultati del test sui laureandi con le variabili di contesto” per mezzo “di una regressione multipla, dove i risultati individuali nel test costituiscono il vettore delle variabili endogene, le variabili di contesto sono i repressori atti a spiegare la parte di tali risultati che ci si poteva attendere, date certe caratteristiche specifiche dello studente e della sua famiglia, del corpo docente, della sede e date certe caratteristiche ambientali, e la costante stimata dalla regressione cattura appunto il valore aggiunto creato dall’Università, al di là delle aspettative”.

Le cosiddette variabili di contesto che dovranno entrare – ridotte a indicatori quantitativi – nel processo di “depurazione” sono: le caratteristiche dei laureandi, sotto forma di dati obiettivi (età, genere, madre lingua, paese di nascita, tasso di occupazione e di crescita triennale della regione di provenienza); alcuni dati di carattere socioeconomico familiare e personale (occupazione e titolo di studio dei genitori, condizione di fuori sede, di studente lavoratore, di utilizzatore di strutture di accoglienza o di forme di diritto allo studio); i cosiddetti caratteri meritocratici (voto alla maturità, test di ingresso...); le particolari caratteristiche della sede universitaria e del corpo docente, nonché l’ambiente socioeconomico in cui opera una sede universitaria.

Crediamo invece che la valutazione delle cosiddette capacità critiche, al di fuori di un sempre complesso rapporto tra docente, discente e comunità di apprendimento, sia impossibile e pericolosa. Peraltro, lo strumento che si vuole imporre è un test molto controverso a livello internazionale nato in un ambito sociale e “culturale” specifico: quello statunitense. Quindi “esportato” in paesi come l’Irlanda, Hong Kong, Colombia, Portorico e Tailandia. Le modalità di adattamento del test al nostro contesto culturale e sociale, una volta tradotto in italiano, non sono in alcun modo chiarite come non è chiaro a chi competerà – e sulla base di quali competenze (linguistiche, sociologiche, antropologiche, psicologiche) l’adattamento del test.

Del resto, in uno dei rapporti di accompagnamento a cura di Guido Amoretti, Gabriele Anzellotti e la stessa Fiorella Kostoris (Sintesi aggiornata e corretta del Nono P1+PP) è chiaramente espresso che “il sistema CLA non è nato primariamente per il ranking dei college, ma per fornire ai docenti e ai responsabili dei programmi di studio elementi di informazione e comparazioni con opportuni benchmarks, utili per migliorare i percorsi formativi”. Non è peraltro difficile reperire letteratura scientifica che pone in dubbio la validità di questo test; ad esempio, Douglass, Thomson e Zhao (The Holy Grail of Learning Outcomes, CSHE Research & Occasional Paper Series, feb.2012) sintetizzano le loro osservazioni critiche con estrema chiarezza: “this test is a blunt tool, creating questionable data that serves immediate political ends. It seems to ignore how students actually learn and the variety of experience among different sub-populations (p.5)”. Un sistema, insomma, che pur essendo discusso nella sua capacità di testare le competenze acquisite dagli studenti, riteniamo sia a maggior ragione inadeguato per valutare attraverso i risultati degli studenti la capacità formativa delle strutture universitarie.

Ancora, l’ANVUR starebbe pensando a un test da “applicare” agli studenti in entrata per misurare poi il “valore aggiunto” derivante dal percorso formativo. Di qui la proposta del rilascio di un “patentino delle competenze generaliste”, e quindi anche del pensiero critico, da allegare al curriculum nelle domande di lavoro. Appare quindi ridicolo che, per incentivare gli studenti alla partecipazione al test – previsti a ridosso delle sessioni estive degli esami – vengano ipotizzate elargizione di crediti e sconto sulle tasse universitaria.

Riteniamo che le comunità universitarie debbano prendere posizione in tempi rapidi contro questa pericolosa sperimentazione. Appare evidente che nel nostro paese l’uso strumentale del tema della valutazione è sempre più parte di una più generale emergenza democratica: la valutazione così intesa è piuttosto una forma di disciplinamento delle università e degli studenti alle esigenze del mercato della formazione e del lavoro e di selezione censitaria degli accessi alla formazione universitaria.

Chiediamo al Ministro di intervenire con urgenza per bloccare questa sperimentazione ed avviare, piuttosto, un confronto con i diversi attori del sistema universitario nazionale sulla natura e funzione della valutazione delle competenze generaliste acquisite dagli studenti. Appare invece evidente come l’avvio di questa sperimentazione sia funzionale, ancora una volta, a giustificare e legittimare attraverso argomenti dalla dubbia validità scientifica quel processo di riduzione del sistema universitario che deve passare anche per la selezione degli accessi alla formazione universitaria. Da questo punto di vista, il CLA altro non è che l’altra faccia di AVA.