FFO università: sempre peggio!
Con il Fondo di finanziamento ordinario del 2019 il solito gioco: con una mano si dà e con l’altra si toglie. A fronte di un aumento nominale, una riduzione sostanziale. E aumenta ancora il divario tra gli Atenei. Servirebbe invece cambiare passo e direzione.
Il fondo infatti è di 7,43 mld di euro (+1,48), ma inglobando Cattedre Natta e con un’inflazione all’1%, è più o meno quello dello scorso anno, mentre solo di aumenti stipendiali (contrattuali e derivati per il personale docente), l’impegno degli atenei è di circa 150 milioni per il 2019 e 195 per il 2020. Nel FFO diventa poi sempre maggiore la quota degli interventi finalizzati (1,1 mld, il 15,8%), cioè decisi per Legge e non strutturali. Cala la quota base (4,3 mld, -2,9%) e sale la quota premiale (1,96 mld, +6,6%), arrivando con le risorse dei dipartimenti di eccellenza al 30,3% delle risorse complessive. Servirebbe cambiare passo e direzione: espandere l’università, stabilizzare il precariato, superare la logica delle (pseudo)eccellenze, ampliare il diritto allo studio, difendere il Sistema Universitario Nazionale.
Come tutte le estati, in questi giorni è stato diffuso il primo schema di decreto sul Fondo di Finanziamento Ordinario degli Atenei, congiuntamente alle Linee generali di indirizzo per la programmazione delle università nel triennio 2019/2021.
Non c’è nessuna inversione di tendenza rispetto alle precedenti politiche sui finanziamenti alle università statali, come è avvenuto lo scorso anno. Anzi, c’è un’accelerazione degli indirizzi di fondo che hanno caratterizzato l’ultimo decennio (segnato dalla crisi economica e dalla conseguente contrazione generale della spesa pubblica): il taglio del supporto finanziario dello Stato (non a caso il peso del FFO nei bilanci degli Atenei è mediamente calato di oltre il 15%) e un’autonomia rafforzata sempre più sperequativa (dalla cosiddetta riforma “Gelmini” alla distribuzione premiale delle risorse).
Il FFO 2019 complessivamente si colloca intorno ai 7,43 miliardi di euro. Apparentemente cresce di circa 108 milioni rispetto allo scorso anno (1,48%), tornando alle cifre nominali del 2008 (7,44 miliardi di euro). Considerando però l’inflazione registrata in quest’ultimo anno (intorno all’1%, secondo l’indice CPI) e la partita di giro rappresentata dal fondo delle “cattedre Natta” (confluito nel FFO), praticamente l’aumento dal 2018 è nullo. Anche nominalmente è sempre bene ricordare che i fondi sono ancora inferiori a quelli di dieci anni fa (7,51 mld di euro). Tenendo poi conto che l’inflazione da allora è stata di oltre il 12% (sempre secondo l’indice CPI), il taglio reale è evidente. In pratica per tornare ad un finanziamento confrontabile a quello del 2009, il Fondo di Finanziamento Ordinario avrebbe dovuto esser di almeno 8,4 miliardi (il 13,5% circa in più dello scorso anno). Manca cioè all’appello il famoso miliardo di euro da tempo promesso dal sottosegretario Fioramonti, ma che ancora non si è mai concretizzato in nessun atto del governo (e neanche in nessuna sua intenzione, a partire dal DEF). Senza contare che nel frattempo i tagli cumulati sul FFO equivalgono a circa 5,3 miliardi di euro e che, in ogni caso, la strada per recuperare il divario rispetto ai sistemi universitari degli altri principali paesi europei sarebbe ancora molto lunga: c’era infatti un divario importante già prima della crisi che si è ulteriormente ampliato in questi 10 anni (come è puntualmente evidenziato ogni anno dal rapporto Education at Glance).
Nel valutare le risorse disponibili va tenuto anche conto che dal primo aprile 2018, le retribuzioni del personale universitario sono tornate a crescere, grazie all’azione sindacale che ha portato alla riconquista del contratto nazionale. L’impatto sulle risorse degli Atenei è progressivo: nel 2018 è stato di circa 80 milioni (in quanto ha interessato solo il personale tecnico amministrativo), nel 2019 sarà di circa 150 milioni di euro mentre dal 2020 in poi sarà di circa 195 milioni (in quanto l’aumento della retribuzione del personale docente, derivato da quello dell’anno precedente del personale contrattualizzato, matura completamente solo a partire dal primo gennaio 2020). L’ FFO in questi due anni non è stato reintegrato dell’incremento derivato dall’aumento delle retribuzioni del personale, né allo stato attuale si intravede un impegno in tal senso (e, di fatto, ciò rappresenta un ulteriore significativo taglio delle risorse disponibili!).
È importante inoltre tener presente che all’interno del FFO diventa sempre più rilevante la quota dedicata ad interventi finalizzati. Cioè, quella parte di fondi che sono specificatamente dedicati a coprire, totalmente o parzialmente, iniziative previste da provvedimenti legislativi, temporalmente limitati e quindi non strutturali. Questa quota, dal 2014 ad oggi, è passata da circa 605 milioni di euro a 1,1 miliardi di euro: dal 8,6% del FFO al 15.8%! Fondi dedicati in particolare ai Dipartimenti d’eccellenza (271 milioni di euro), alle borse post lauream e fondo giovani (235 mln), al piano straordinario per PA (171 milioni), alla notax area (105 milioni), ecc.
Quindi le risorse strutturali a disposizione degli atenei sono di fatto diminuite. Cala in particolare la quota base di finanziamento, che arriva ad esser di 4,3 miliardi di euro. Cioè, c’è una riduzione di 127 milioni di euro rispetto al 2018 (circa il 2,9%), che segue quella di 165 milioni dell’anno precedente (circa il 4% in meno rispetto al 2017). In pratica, la quota base di finanziamento si riduce oggi al 58% del FFO, in calo drastico rispetto al 72% di quattro anni fa. Nella programmazione triennale, poi, è prevista una sua ulteriore progressiva contrazione, almeno del 2% nel 2020 e di un ulteriore 2% nel 2021. Cresce poi al suo interno la quota ripartita secondo il criterio del cosiddetto “costo standard di formazione studente” (confermando la variazione dei parametri di calcolo che ne sbilancia la ripartizione a favore dei grandi Atenei, favorendo quindi le realtà più forti e già premiate anche da altri indicatori), che arriva a 1,5 miliardi di euro (il 35,7% della quota base: era il 20% nel 2014 e da allora è progressivamente aumentata), mentre calano a 2,7 miliardi i fondi basati sulla spesa storica (nel FFO 2014 erano circa 4 miliardi!).
Continua quindi a crescere anche la quota premiale, cioè la parte delle risorse distribuita secondo criteri e parametri di valutazione decisi centralmente. Nel 2019 arriva praticamente a 2 miliardi di euro (1,96), crescendo rispetto al 2018 di circa 121 milioni di euro (il 6,6% in più). Aumenta in questo quadro la quota perequativa (da 145 a 175 milioni di euro, il 20% in più), anche se per la distribuzione della perequazione aumenta la quota C legata all'accelerazione dei singoli atenei verso indicatori di "qualità" (allegato 2).
La percentuale delle risorse premiali diventa allora il 26,3% di tutto il FFO, contro circa il 19,5% del 2014, al netto dei dipartimenti di eccellenza (sommando i quali si raggiunge il 30,3% delle risorse complessive). Come lo scorso anno, questa premialità è distribuita utilizzando i risultati della Valutazione della qualità della ricerca (VQR 2011-2014), le politiche di reclutamento (VQR dei soggetti reclutati dalle Università), la cosiddetta “valorizzazione dell’autonomia responsabile” (su due parametri individuati dai singoli atenei in relazione a ricerca, didattica e internazionalizzazione), con gli stessi pesi dello scorso anno (rispettivamente 60%, 20% e 20%). Come sempre questa quota non è aggiuntiva, come tutti gli anni continuiamo a ripetere che dovrebbe essere, ma viene sottratta, “ritagliata” dalla stessa e sempre più corta coperta.
Come si vede, quindi, escono intatte da questo schema di decreto tutte le tendenze che abbiamo visto dispiegarsi in questi anni: la contrazione delle risorse per l’autonoma gestione degli Atenei e l’imposizione di logiche sperequative per la distribuzione delle poche risorse disponibili (come abbiamo mostrato, a partire dai punti organico, nel documento Divergenze di sistema…). Mentre negli ultimi mesi, non a caso, sono state presentate proposte di autonomia rafforzata da parte di alcune regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), come sono circolare ipotesi di aumentare per decreto (in applicazione del comma 2 dell’art. 1 della Legge 240 del 2010) i gradi di libertà di alcuni atenei su definizione degli organismi accademici, la didattica (flessibilità dei piani di studio in rapporto alle classi di laurea), l’individualizzazione dei rapporti di lavoro dei docenti (compiti, orari, stipendi, chiamate dirette). Meccanismi diversi, con diverse declinazioni ed impatti, ma che se applicati consoliderebbero e renderebbero strutturali le divergenze di questi anni, portando ad una definitiva divaricazione nel sistema universitario nazionale (a partire dalla messa in discussione del valore legale del titolo di studio).
Servirebbe invece cambiare passo e direzione.
Qualunque intervento sull’università dovrebbe oggi partire dall’obbiettivo prioritario di espanderla, portandola ad un livello comparabile a quello degli altri principali paesi europei. Per fare solo un esempio, sul personale, a fronte dei circa 50.000 docenti universitari nel nostro Paese, ce ne sono circa 250.000 in Germania, 200.000 nel Regno Unito, 95.000 in Spagna, 80.000 in Francia e analoghe differenze si verificano rispetto al personale tecnico e amministrativo. È un’esigenza prioritaria tanto per la salvaguardia dei diritti dei suoi cittadini, quanto per lo sviluppo del paese: espandere le risorse complessive del sistema (FFO), espandere strutture e capacità ricettive dei corsi di laurea, espandere servizi e garanzie per il diritto allo studio (dalle borse alle case dello studente), espandere il personale universitario (docente e tecnico amministrativo).
Serve superare la precarizzazione del personale docente e tecnico amministrativo, riconoscendo finalmente stabilità e prospettive per tutti i lavoratori e le lavoratrici. Serve quindi un piano straordinario di stabilizzazioni e assunzioni (come da tempo proposto dalla FLC CGIL), oltre che aumenti salariali per tutto il personale universitario (contrattualizzato e non contrattualizzato), in grado di recuperare maggiormente il potere di acquisto delle retribuzioni perso in questo decennio, che sancisca il diritto alla carriera e alla valorizzazione dell’anzianità professionale, che riconosco una piena disponibilità alla contrattazione del fondo per il salario accessorio.
Serve superare la logica delle (pseudo)eccellenze e garantire qualità della didattica, sviluppo della ricerca e diritto allo studio in tutte le sedi e aree del Paese. È ora di superare l’utilizzo ripetuto e generalizzato della VQR come criterio di distribuzione dei fondi: sia per le contraddizioni e i problemi nei suoi risultati, sia per le disuguaglianze e le divergenze che questo sistema introduce tra gli Atenei. Come è proprio ora di una radicale rivisitazione dell’ANVUR e delle sue funzioni.
Serve un ulteriore e radicale ampliamento del diritto allo studio, estendendo la no tax area nei contributi universitari, con un apposito finanziamento che non faccia pesare le mancate entrate sui bilanci degli atenei Allo stesso modo è necessario incrementare il fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio e adeguare l'importo delle borse concesse per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca.
Serve salvaguardare il Sistema Nazionale Universitario. L’autonomia delle Università in questo paese si è sviluppata nel quadro di parametri nazionali che ne definiscono l’offerta formativa (ordinamenti didattici, requisiti minimi, ecc) e l’inquadramento di coloro che svolgono attività didattica e di ricerca (stato giuridico pubblico del personale di ruolo, definizione per legge delle figure precarie, percorsi di reclutamento e concorsi). Parametri vigenti in tutti gli Atenei (siano essi pubblici o privati), vigilati dal MIUR e dagli organismi nazionali universitari (a partire dal CUN). Sono questi elementi che garantiscano il ruolo pubblico di tutte le Università (con il loro stretto intreccio tra didattica e ricerca), che consentono la libertà di insegnamento e di ricerca in tutti gli Atenei (indipendentemente dalla loro configurazione e dai loro Statuti). La salvaguardia di questo sistema, a partire dalla garanzia di erogare un Fondo di Finanziamento sufficiente per le esigenze di tutti, è allora garanzia della funzione sociale di tutte le Università, di un loro standard qualitativo omogeneo e quindi anche della coesione sociale in questo paese.
Serve cioè difendere e rilanciare il sistema nazionale universitario, a partire da una ripresa sostanziale del finanziamento pubblico e da una sua diversa logica distributiva. Ora, prima che sia troppo tardi.
Invitiamo a far circolare il più ampiamente possibile questo messaggio nei vostri Atenei.
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