Coordinatore della Consulta docenti SNUR CGIL: Commento sul ddl di riforma dello stato giuridico della docenza universitaria
Commento al testo del disegno di legge sulla riforma dello stato giuridico della docenza universitaria
Commento al testo del disegno di legge sulla riforma dello stato giuridico della docenza universitaria (17/11/1999)
L'esame del disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 u. s. suscita non poche perplessità.
Innanzitutto, una prima impressione di forte disagio che scaturisce dal ritrovare nella proposta governativa alcuni dei contenuti della proposta unitaria sostenuta dalla quasi totalità dei Sindacati e delle Associazioni della docenza (l'articolazione in fasce stipendiali, la progressione in carriera attraverso valutazioni periodiche sull'attività svolta da ciascun docente, l'attribuzione di nuove funzioni ai Dipartimenti) e, limitatamente alle Organizzazioni confederali, la stessa contrattualizzazione del rapporto di lavoro. Ciascuno di questi temi appare, però, fuori contesto e sostanzialmente stravolto rispetto al quadro elaborato unitariamente.
Il primo dei punti di totale dissenso rispetto alle proposte governative scaturisce dal mantenimento di un ruolo solo nominalmente unico, ma in realtà suddiviso in due fasce rigidamente non comunicanti. Al loro interno si applica lo scorrimento per fasce stipendiali, associato alle valutazioni periodiche, che quindi non costituisce strumento di progresso in carriera, ma si limita a sostituire gli incrementi stipendiali automatici attualmente in vigore. Per il salto da una fascia all'altra restano immutati i logori riti concorsuali, con annessa invenzione di nuovi posti attraverso l'impegno di un budget completo sulle risorse degli Atenei.
Del tutto inaccettabili appaiono l'affondamento del disegno di legge istitutivo della terza fascia e la messa ad esaurimento dei ricercatori, sotto specie dell'ancora non nata e subito abortita terza fascia del ruolo dei professori universitari.
Anche da un punto di vista di gestibilità concreta, il disegno di legge appare velleitario. L'ipotesi di reclutare, a regime, giovani studiosi nel primo livello della fascia dei professori (cioè gli attuali associati) dopo un periodo di tirocinio a contratto è del tutto irrealistica. Basti considerare l'onere finanziario connesso a questo modello di reclutamento (circa un centinaio di milioni/anno di solo trattamento economico base) ed il fatto che per lo stesso livello di inserimento concorreranno circa 20.000 professori di terza fascia ad esaurimento per la promozione dei quali l'onere sarà di appena una trentina di milioni/anno. Si pospettano tempi lunghissimi di precariato per chi deciderà di tentare la via della carriera universitaria.
La dinamica di progressione in carriera sarà fortemente rallentata anche per gli attuali associati. La legge prevede, infatti, che a regime gli ordinari costituiscano il 20% del numero complessivo di professori. In pratica, in prima applicazione, gli ordinari dovranno costituire il 20% della somma del numero attuale di ordinari stessi (circa 12.000) e di associati (circa 16.000). In altri termini, in prima applicazione, gli ordinari non potranno essere più di 5.600. Ma la stessa legge prevede che tutti gli attuali 12.000 ordinari transitino nella nuova fascia. Ciò significa che essa partirà con una configurazione iniziale pari al 214% del tetto massimo previsto per legge. Anche facendo riferimento alla norma transitoria che prevede la possibilità di conteggiare i professori di terza fascia, sia pure collocati ad esaurimento, si raggiungerebbe un valore a regime della fascia degli ordinari di circa 7.600. Ciò comporterebbe una popolazione iniziale di ordinari del 158% rispetto al fatidico tetto del 20%. In ogni caso, come immediata conseguenza, non si potranno più bandire concorsi a professore ordinario o chiamare eventuali idonei per almeno una diecina d'anni, sino a quando il grosso dei pensionamenti non abbia avuto luogo.
Da respingere completamente appare l'abolizione della differenza tra regime di tempo pieno e regime di tempo definito, pure fortemente voluta da Sindacati ed Associazioni della docenza. Nella proposta governativa, tale abolizione si traduce di fatto in un passaggio generalizzato al tempo definito, dal momento che nel ddl non si è ritenuto di adottare lo stesso schema di impegno esclusivo dei docenti già adottato per i medici del Servizio sanitario nazionale. Tra l'altro, questa evidente contraddizione procurerà non poche turbolenze nei già non facili rapporti tra Università e SSN, di cui si sono già avute le prime avvisaglie in Consiglio dei Ministri. In termini finanziari, questa disposizione porterà sensibili miglioramenti finanziari ai, per la verità pochi, docenti che hanno optato per il tempo definito. La mancata quantificazione di un impegno complessivo dei docenti all'interno dell'Università ha comportato la sola identificazione di un tempo da dedicare alla didattica, quasi che tutte le altre attività, con in primis la ricerca, fossero secondarie rispetto all'insegnamento. In completa assenza di una qualsiasi analisi concreta della situazione che si determinerà una volta entrata in vigore la revisione dei curricula conseguente alle nuove disposizioni in materia di autonomia didattica, da effettuare eventualmente attraverso una simulazione fondata sullo stato attuale, si corre il rischio concreto di una forte eccedenza dell'offerta di docenza, rispetto alla domanda che verrà dai corsi di primo livello introducendo l'obbligo di 120 ore annue di didattica frontale per ciascun professore universitario. In alternativa, non sarà più possibile additare al pubblico scandalo corsi frequentati solo da un paio di alunni.
Sorprendente è il sostanziale annullamento dei nuovi diritti civili garantiti a ricercatori ed associati dal disegno di legge sull'istituzione della terza fascia. Gli elettorati passivi a rettore ed a direttore di Dipartimento sono ritornati saldamente nelle mani dei soli ordinari, mentre quello a Preside, previo depotenziamento del ruolo della Facoltà, è rimasto anche ai professori associati, ma solo di quelli che hanno raggiunto l'ultimo livello stipendiale.
Sulla questione del nuovo ruolo dei Dipartimenti nella pianificazione e nella gestione dei posti di ruolo e del sostanziale, ma del tutto implicito, ridimensionamento delle Facoltà, anche se essa è sempre stata al centro delle proposte e delle riflessioni dello SNUR CGIL, il modo affrettato con cui viene proposta suscita non poche preoccupazioni. In assenza di una chiara ridefinizione dei ruoli dei vari soggetti organizzativi, senza un intervento sulla natura dei Dipartimenti (tematici o disciplinari), senza una ridefinizione dei luoghi di incardinamento dei professori, questo intervento rischia di portare solo ulteriori contributi di confusione.
Infine, la cosiddetta contrattualizzazione del rapporto di lavoro. Anche qui si tratta di poco più di un simulacro di contrattazione: il trattamento economico di base viene aggiornato su iniziativa dal Ministro, su base biennale e tenendo conto dei miglioramenti ottenuti nei contratti del pubblico impiego, e quindi con frequenza metà rispetto alla situazione attuale. La parte accessoria viene contrattata individualmente con criteri definiti dal Ministro in sede nazionale previo confronto anche con Sindacati e Associazioni.
Appare indispensabile intervenire nel percorso parlamentare del disegno di legge per modificarne profondamente gli aspetti sostanzialmente inaccettabili. Il successo di questa iniziativa è strettamente collegato alla capacità di mobilitazione di tutta la categoria che passa innanzitutto attraverso il mantenimento e l'allargamento dell'unità di iniziativa che ha caratterizzato in questi mesi Sindacati ed Associazioni della docenza.
Nell'immediato, esigiamo il rispetto degli impegni pubblicamente assunti dal Ministro e dal Sottosegretario per una rapidissima approvazione della legge istitutiva della terza fascia del ruolo dei professori universitari.
Guido Greco
Coordinatore della
Consulta Nazionale docenti SNUR CGIL
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