Licenziamento per motivi economici e conciliazione in sede sindacale: la pronuncia del Ministero del lavoro
Nello specifico interpello si chiarisce che non sussistono vizi di natura procedimentale tra conciliazione in sede sindacale e mancato rispetto della procedura obbligatoria ex art. 7 della legge 604/66.
Il Ministero del Lavoro ha chiarito, mediante l’interpello 1 del 22 gennaio 2014 in risposta ad un quesito posto da Confindustria, che “…non sembrano sussistere motivazioni di ordine giuridico per ritenere che un vizio di natura procedimentale non sia ammissibile alla disciplina civilistica di cui al citato art.2113 c.c. con i conseguenti corollari in ordine all'efficacia degli atti transattivi conclusi in tale sede sindacale”. Ciò a significare che per il Ministero del lavoro l’iter del nuovo art. 7 della legge n. 604/1966, come riscritto dall’art. 1, comma 40, della legge 92/2012, non incide minimamente sulla previsione dell’art. 2113 c.c., ultimo comma, il quale riconosce il valore della inoppugnabilità alle rinunce e transazioni avvenute in una delle cosidette “sedi protette”, quale risulta la sede sindacale, come stabilito dall’art. 411 c.p.c.
Si tratta di una precisazione opportuna proprio perché il Legislatore nel riformulare l’art. 7 della L. 604/1966 ha introdotto un particolare e specifico rito conciliativo obbligatorio, con cadenze temporali strette, per le procedure di licenziamenti individuali e plurimi per giustificato motivo oggettivo - meglio noto come licenziamento per motivi economici - al di fuori della casistica di cui all’art.4 della legge 223/91 ovvero di licenziamento collettivo.
Come è noto nelle realtà produttive con più di quindici dipendenti il datore di lavoro che intende procedere ad una risoluzione dei rapporti di lavoro per motivi economici (giustificato motivo oggettivo) di un numero massimo di 4 lavoratori deve comunicare questa sua intenzione alla Direzione territoriale del Lavoro e per conoscenza all’interessato. Nella comunicazione vanno specificate le ragioni della decisione, la mancanza di soluzioni alternative e le eventuali misure di assistenza al lavoratore. A sua volta la Direzione del Lavoro ha 7 giorni (termine perentorio) per convocare le parti avanti alla commissione provinciale di conciliazione e la procedura (salvo rinvii decisi dalle parti) si deve concludere nei 20 giorni successivi all’inoltro delle convocazioni prorogabili per un massimo ulteriori 15 giorni in caso di motivi di forza maggiore valutati dalla commissione.
Va ancora ricordato che in questa specifica procedura la commissione svolge un ruolo attivo e che la stessa procedura può concludersi con una risoluzione consensuale del rapporto "premiata" dal Legislatore mediante il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione( ASpI) ovviamente, in presenza dei requisiti soggettivi; a ciò vanno aggiunte alle altre eventuali competenze corrisposte dal datore di lavoro connesse alla cessazione del rapporto. Nel caso di mancato accordo la commissione è tenuta necessariamente a prospettare una propria proposta di soluzione che, unitamente al comportamento delle parti, costituisce elemento di valutazione del giudice nella causa di merito. Solo al termine della procedura o in assenza di mancata convocazione della DTL trascorsi i fatidici 7 giorni, il datore di lavoro può procedere al licenziamento che decorre, a tutti gli effetti legali, con il giorno di avvio della procedura.
Da ciò ne consegue che l’accettazione del provvedimento di licenziamento e la rinuncia esplicita all’impugnativa dello stesso stabilita in sede di conciliazione protetta come quella sindacale o amministrativa, benché in regime di conciliazione obbligatoria di cui alla novellata disposizione dell’art. 7 della legge 604, rientra nella sfera di disponibilità soggettiva ed è pertanto legittima a tutti gli effetti. Il principio appena ricordato vale anche per tutte quelle realtà che occupano un numero inferiore ai quindici dipendenti ove il datore di lavoro non è obbligato, nel caso di licenziamento economico, a seguire l’iter obbligatorio e dove è comunque prevista un’indennità risarcitoria.
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