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Monitoraggio INVALSI su esami di Stato: la soluzione non è la scuola regionale

Di fronte alle differenze degli esiti, il ministro propone di avanzare con l’autonomia differenziata. La FLC chiede investimenti sul modello europeo

15/07/2019
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In un passaggio dell’intervista a Libero del 15 luglio, il ministro Marco Bussetti si sofferma nel registrare la contraddizione fra i voti degli esami di Stato (di cui peraltro si avrà riscontro a breve) e gli esiti del monitoraggio dell’INVALSI, notando che, a fronte di esiti più insoddisfacenti al Sud, gli studenti del Sud raggiungano voti più alti all’esame di Stato rispetto i coetanei del Nord.

Ci sono alcuni aspetti delle dichiarazioni del Ministro che riteniamo doveroso richiamare.

La scuola funziona grazie al contributo quotidiano di centinaia di migliaia di insegnanti che lavorano spesso in condizioni di difficoltà oggettive (mancanza di risorse e di strutture sul territorio): non possono essere messi sotto attacco per la loro preparazione, né è corretto individuare nei futuri concorsi banditi per il reclutamento di nuovi docenti la panacea ad ogni male.

Secondariamente il ministro ritiene che deve essere perseguito con più decisione il disegno di autonomia differenziata perché permetterebbe alle regioni di gestire direttamente le risorse nazionali, con la possibilità, eventualmente, di integrarle con fondi regionali, intervenendo direttamente e territorialmente sull’impostazione didattica delle scuole.

Questi due passaggi smascherano in realtà disegni di riforme scolastiche invasivi che, partendo dalla strumentalizzazione dei dati, minano la libertà di insegnamento, da una parte, la scuola dell’autonomia, prefigurata come dell’autonomia regionale dall’altra, ed in definitiva l’unità del sistema scolastico nazionale.

L’uniformità delle griglie di valutazione, pur utile, non è la strada maestra per migliorare concretamente le condizioni della didattica e della valutazione: l’unica via da costruire e percorrere è la realizzazione del diritto allo studio ed all’insegnamento per ogni alunno del territorio nazionale, in modo uniforme e diffuso.

Anche se non c’è stato l’invito del ministro ad un maggiore impegno, come era successo per i docenti del Sud in occasione della visita di quest’inverno ad una scuola della provincia di Napoli, riteniamo pericolosissimi i riferimenti alla incapacità dei docenti, dei quali il ministro lede la dignità professionale facendone gli unici capri espiatori degli insuccessi scolastici, ed ancora più pericolosi sono i riferimenti ad una differenziazione delle scuole in base alle regioni.

Tutti gli argomenti di cui abbiamo trattato finora trovano un loro punto di sintesi nel generale tema degli investimenti pubblici nell’Istruzione.

Allo stato attuale l’Europa investe in Istruzione mediamente il 4,6% del PIL. Questa cifra si riduce in Italia invece al 3,9%. La differenza è di 0,7% pari a circa 11 miliardi di euro (dati Rapporto Ocse 2018).

Per noi l’Europa è ancora un traguardo lontano.

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