I dati INVALSI confermano che alla scuola italiana serve l’opposto dell’autonomia differenziata
Bisogna battersi per una scuola dove l’uguaglianza delle condizioni di partenza sia il vero faro
Leggendo i dati resi noti da INVALSI sulla scuola italiana, ci sono venute in mente due frasi, peraltro notissime, di don Lorenzo Milani, nella Lettera a una professoressa. Due frasi che dovrebbero essere messe in epigrafe al giuramento di ogni ministro dell’Istruzione italiano. Solo con quelle frasi si spiegano percentuali e differenze di rendimento scoperte dall’istituto per la Valutazione della scuola. Cominciamo dalla prima, appunto, famosissima: "Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali". Ovvero: che l’Italia avesse fratture cognitive tra studenti era noto a tutti. Ed era noto a tutti che v’è una forte forbice di disuguaglianza tra il Nord e il Sud del Paese. E l’Invalsi conferma che l’indicatore ESCS (Economic Social Cultural Status index), per misurare le condizioni sociali, culturali ed economiche dei giovani, dimostra come esista una correlazione tra indice e punteggi ottenuti nei test di tutte le materie. Questi, infatti, crescono man mano che cresce l’indice ESCS. I diversi livelli dell’indice registrati tra gli studenti delle quattro tipologie di scuola superiore in cui l’INVALSI disaggrega i risultati mostrano come a diverse scuole corrispondano diversi livelli di status sociale. Dunque, don Milani aveva ragione, se non si interviene sulle disuguaglianze profonde, tra nord e sud, tra territori diversi nelle stesse regioni e nelle capacità cognitive intragenerazionali, a partire dalle condizioni sociali complessive, continueremo ad avere sempre gli stessi risultati.
In questo senso allora, riproponiamo la seconda, profetica, frase di don Milani: "Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati". L’interrogativo, ormai perenne, costante che questo tipo di risultati ci pone dinanzi è sempre il medesimo: cosa vogliamo fare degli ultimi? Come vogliamo intervenire sulle disuguaglianze? Con l’autonomia differenziata? Con la meritocrazia, più volte evocata e invocata come panacea? Assolutamente no.
Il ministro Bussetti si dice preoccupato per i dati INVALSI. E ne ha ragione. Ma da un ministro ci si aspetta altro, qualche soluzione, una nota di chiarezza, una visione complessiva del senso dell’istruzione, che non è l’autonomia differenziata, che addirittura potrebbe ancora di più approfondire le disuguaglianze, e neppure "l’ospedale che cura i sani e respinge i malati". Il ministro Bussetti potrebbe trasformare la preoccupazione in iniziativa politica, aumentando ad esempio gli investimenti per l’istruzione in tutte quelle zone dell’Italia, a sud come a nord, nelle periferie delle città come nelle campagne, dove più forte è l’incidenza delle disuguaglianze. Potrebbe intervenire concretamente finanziando un piano pluriennale per favorire il tempo scuola, soprattutto nel Mezzogiorno, ma ovunque ve ne fosse bisogno. Potrebbe tradurre le preoccupazioni suscitate dai dati Invalsi per migliorare la condizione salariale di chiunque lavori nell’istruzione rinnovando i contratti collettivi di lavoro.
Ogni volta che spuntano dati sulle nostre scuole, ci si strappa le vesti, ma non si fa nulla di veramente strutturale, da parte di chi sta al governo. Ora è giunto il momento di seguire don Lorenzo Milani e la Costituzione, e battersi per una scuola dove è l’uguaglianza delle condizioni di partenza il vero faro che illumina il senso e il percorso delle decisioni politiche. Curiamo gli ultimi e i malati nelle scuole, senza respingerli, e senza curare esclusivamente i sani.
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