Merito vs inclusione scolastica: la scuola dei “migliori” non è la scuola della Costituzione
Merito e inclusione sono paradigmi pedagogici antitetici. Occorre rilanciare i principi che hanno ispirato intere generazioni di docenti e un iter normativo, dalla Legge 517 del 1977 alla Legge 170 del 2010 e relative Linee Guida, che è punto di forza del sistema scolastico italiano.
“Se non imparo nel modo in cui tu insegni, insegnami nel modo in cui io imparo”.
(Harry Chasty)
In quasi mezzo secolo di storia, l’inclusione scolastica ha percorso una strada difficile e importante, fatta di passaggi culturali e normativi volti a superare la visione di una didattica speciale, rivolta esclusivamente ad alcuni, per aprire a una prospettiva che il pedagogista Andrea Canevaro definiva “ecosistemica ampia”, a favore di un approccio flessibile e adeguato ai bisogni formativi speciali di ogni alunno, nessuno escluso.
La ridenominazione del Dicastero di viale Trastevere in “Ministero dell’Istruzione e del merito”, fondata, al contrario, su un’idea di scuola che valorizza (o seleziona?) “i migliori e più capaci”, rappresenta un vero e proprio ribaltamento del paradigma pedagogico che ha ispirato intere generazioni di docenti e che, pur tra mille contraddizioni, è stato il cardine di un complesso iter normativo in materia di inclusione scolastica.
Francesco Sinopoli. Sul concetto di merito e sull’idea costituzionale della scuola pubblica
Se la Legge 517 del 1977 avvia un processo di integrazione degli alunni con disabilità nelle classi comuni, la visione della Legge 170 del 2010 e delle successive Linee Guida del 2011 rappresenta un punto di ulteriore avanzamento, portando all’attenzione di tutti difficoltà e strategie di apprendimento di tanti bambini e ragazzi al di là delle situazioni di disabilità certificata, allo scopo di non lasciare indietro nessuno e di trasformare le differenze da problema a risorsa capace di indurre elementi di qualità nei processi di insegnamento-apprendimento.
Una comunità scolastica è inclusiva, quindi, se accoglie e valorizza le differenze individuali nell’ambito di un progetto educativo e didattico complessivo che si arricchisce di strategie pedagogiche, metodologiche, didattiche e diventa occasione di miglioramento generalizzato del fare scuola, affinché ciascuno possa esprimere al meglio le proprie potenzialità e farne patrimonio di tutti.
Spetta alla scuola, alle scuole di ogni ordine e grado, il compito di affrontare la complessità delle differenze per evitare che si trasformino in disuguaglianze e, investendo risorse e attingendo alle proprie professionalità, applicare e agire forme di didattica inclusiva attraverso un’organizzazione del lavoro scolastico in cui ci sia spazio per tutti e per ciascuno, compreso chi, per vari motivi, parte più svantaggiato.
Non servono nuove norme, ma il cambiamento esige investimenti e un grande impegno e rinnovamento culturale, didattico, professionale di chi nella scuola lavora.
Occorrono pratiche “collettive”, dalla didattica attiva all’apprendimento collaborativo e in piccoli gruppi, che promuovano un apprendimento più duraturo e consapevole per tutti, oltre a interventi specificamente rivolti agli alunni con particolari bisogni.
Tra questi un’ampia gamma di strumenti compensativi e misure dispensative, previsti dalla legge a tutela degli alunni con DSA: non certo come facilitazione o vantaggio, secondo un’interpretazione distorta della funzione di questi mediatori didattici, ma come strumenti fondamentali per sostenere percorsi di autonomia, con l’avvertenza che personalizzazione e individualizzazione non vengano utilizzati per stigmatizzare categorie di difficoltà, operando così processi più di separazione che di inclusione.
È da tenere presente, infine, che solo in un ambiente favorevole, le strategie progettate contribuiscono a creare inclusione e che il rinnovamento metodologico è da intendersi come processo che non si riferisce a un singolo soggetto ma a un’intera comunità scolastica capace di “ri-pensarsi” come luogo del successo formativo di tutte e di tutti.
Si tratta di una sfida difficile, che solo una scuola sostenuta da opportune scelte di carattere politico, economico, culturale può affrontare e provare a vincere.
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