Education at a Glance 2022: i dati OCSE dimostrano che il modello di sviluppo italiano richiede una profonda trasformazione
Per la FLC CGIL il sistema dell’istruzione deve eliminare le disuguaglianze economiche e sociali e non aggravarle.
Il 3 ottobre 2022 l’OCSE ha pubblicato l’annuale rapporto ‘Education at a Glance - Uno sguardo sull’Istruzione’, con i dati e le analisi sui sistemi dell’istruzione di tutti i paesi OCSE.
Ancora una volta la rappresentazione della situazione italiana risulta sempre molto interessante, densa di contraddizioni e spesso in linea con le letture che da anni compie la FLC CGIL.
Salta agli occhi il vistoso scarto in termini relativi e, soprattutto, assoluti della quantità di risorse dedicate al settore dell’Istruzione: mentre la media OCSE è del 4,9 % del PIL, l’Italia assegna solo il 3,9 %, con una differenza veramente profondissima e pericolosa anche in relazione agli investimenti sul futuro medio e lontano. E la situazione appare ancora più grave in quanto dal 2008 al 2019 la spesa è, in totale controtendenza con gli altri paesi, addirittura diminuita. Inoltre, se questo dato viene confrontato con quello della spesa media per studente (nel rapporto parametrato in dollari) che invece è nella media OCSE, si capisce che sia gli investimenti che il numero degli studenti sta drasticamente riducendosi, con conseguenze nefaste per la società e lo sviluppo nazionale futuro.
Altro dato allarmante rispetto all’accesso degli studenti al diritto all’istruzione è senza dubbio la diseguale distribuzione del tempo scuola, infatti, complessivamente il monte ore di insegnamento dell'Italia è inferiore alla media europea (rispettivamente 945 e 1071 ore), ma segna addirittura una minore offerta oraria nelle regioni meridionali. Nei successivi gradi di istruzione il monte ore (744 alla primaria, 608 alle medie e 608 alle superiori) comunque risulta al di sotto della media UE (rispettivamente 740, 659 e 642) e sono presenti in Italia forti disuguaglianze territoriali nell'offerta di tempo pieno nei gradi inferiori, con le regioni del sud in netto svantaggio rispetto a quelle del nord.
Sempre a questo tipo di indirizzo politico va ascritto l’incredibile divario dell’istruzione terziaria che vede una percentuale di laureati magistrali molto più bassa e una percentuale di lauree triennali che a fronte di una media OCSE del 19% è addirittura del 5%!
I risultati delle variazioni delle politiche dell’istruzione hanno un riflesso anche con la composizione dei docenti universitari: in Italia, solo l'1% del personale accademico ha meno di 30 anni, mentre la media dell'OCSE è dell’8%. Il dato è rafforzato se si guarda con la stessa lente al lato opposto della scala: gli accademici di età pari o superiore ai 50 anni rappresentano il 56% del totale, con un dato superiore alla media OCSE addirittura di 16 punti percentuali.
In questa prospettiva va letto il dato che sui giornali italiani ha avuto più risalto, l’aumento del numero dei NEET, che rispetto a una media OCSE del 16% sulla fascia 18-24 è addirittura oltre il 25%. Non si tratta di una ‘colpa’ delle nuove generazioni o di esiti non voluti del Reddito di Cittadinanza, ma di un modello di sviluppo nazionale basato su privilegi economici e sociali e sullo sfruttamento delle disuguaglianze.
Pertanto, quando si guarda di nuovo al primo dei dati che viene riportato nella nota paese sull’Italia del Rapporto, quando si evidenzia che tra il 2000 e il 2021 l’aumento del livello di istruzione è molto più basso di quello degli altri paesi dell'OCSE, si devono giudicare negativamente le politiche nazionali sull’istruzione ed esigere un’inversione di tendenza, anche se si vuole solo essere competitivi sul piano internazionale, come spesso si afferma nelle dichiarazioni ufficiali. Un ultimo dato, infatti dimostra che le basi per questa inversione ci sono: in Italia, il 92% di tutti i bambini tra i 3 e i 5 anni è iscritto a programmi di educazione della prima infanzia, con un dato nettamente superiore alla media dell'OCSE, e questa percentuale si mantiene per tutta la scuola primaria.
Infine, come recentemente ribadito dalla FLC CGIL, si deve giudicare addirittura inaccettabile il dato relativo ai salari del personale scolastico, docente e non docente: a fronte di un aumento medio dei salari del 6% dal 2015 al 2021 nell’area OCSE, in Italia l’incremento è stato solo dell’1%, ancora una volta di gran lunga inferiore ai dati inflattivi e a quelli della diminuzione drastica del potere d’acquisto. In una condizione socioeconomica fortemente determinata dalla guerra in Ucraina e da una crisi energetica che sta modificando i livelli di vita reale, i salari del settore dell’istruzione sono del tutto inadeguati. Si aggiunga inoltre che in Italia, gli insegnanti di scuola secondaria guadagnano ben il 27,4% in meno rispetto agli altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria.
Sembra a questo punto, proprio nel momento in cui il contratto della Scuola e quelli di Università, Ricerca e AFAM sono in discussione, che il governo e le amministrazioni centrali non tengano in considerazioni i dati del rapporto, mentre è necessario che invertano completamente le direzioni politiche con le quali si sta governando il settore dell’Istruzione.
A fronte delle analisi quantitative è sempre necessario che i dati siano incrociati, interpretati e giudicati, altrimenti non aiutano a migliorare. Secondo la FLC CGIL è indispensabile partire dalla fotografia di un paese segnato dalle disuguaglianze e avviare una fase di investimenti, lavorando insieme a tutto il personale dell’istruzione e ai sindacati, perché un nuovo modello di istruzione generi un nuovo modello di sviluppo, democratico e basato sull’uguaglianza economica e sociale.
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