Anche l'ANDIS, si pronuncia contro il maestro unico e il voto numerico: sono la scuola del passato
L'Associazione professionale dei Dirigenti Scolastici manifesta "sconcerto di fronte a provvedimenti che prescindono dalla più recente e collaudata ricerca educativa".
Volentieri pubblichiamo il documento licenziato il 4 settembre 2008 dall’ANDIS, l’Associazione professionale dei Dirigenti Scolastici, e pervenutoci oggi, contro il ritorno al maestro unico e alla valutazione numerica.
L’Andis, in premessa, non può fare a meno di rimarcare il mancato rispetto da parte del Ministro delle promesse di procedere attraverso un confronto con il mondo dell’associazionismo e attraverso un percorso condiviso.
Ma soprattutto l’Associazione, ed è questa la parte che di seguito pubblichiamo, sottolinea come l’innovazione che superò il maestro unico e introdusse la valutazione “formativa” sia stato il frutto di un impegno serio ed unanimemente condiviso dalla comunità scientifica, e ribadisce che di queste innovazioni (pluralità di competenze dei maestri e valutazione che “descriva” i successi che via via raggiunge l’alunno senza scorciatoie classificatorie) la società complessa di oggi ha più che mai bisogno.
Roma, 12 settembre 2008
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L’ANDIS SULLE MISURE DEL GOVERNO PER LA SCUOLA
Il maestro unico si estinse circa quaranta anni fa e l’innovazione di allora si accompagnò con una graduale ed attenta riforma dei programmi.
Fu un impegno serio, meditato ed unanimemente condiviso dalla comunità scientifica. Le modeste opposizioni vennero dalle fasce culturalmente più arretrate del sistema scolastico; chi era contrario al lavoro di team, era banalmente convinto che le competenze necessarie al maestro elementare fossero poco diverse da quelle di ogni comune cittadino con una propria esperienza genitoriale.
E’ difficile non vedere un nesso profondo tra la convinzione che il settore su cui si può più risparmiare sia la scuola e un rimpianto tutto ideologico per i tempi in cui tutto era più facile: un maestro solo e rispettato, bambini obbedienti, voti chiari e non sempre convenientemente motivati, premi e medaglie per i migliori e orecchie d’asino per i somari, a prescindere dalla ragione delle difficoltà di apprendimento.
Il ritorno al voto nella scuola primaria e secondaria di primo grado non significa rendere più chiaro il merito, perché non è il numero che rende trasparente e comunicabile il livello di competenza raggiunto dagli alunni. Per certificare le competenze è necessario avere una descrizione precisa e semplice delle competenze stesse e degli standard che dovrebbero essere definiti a livello nazionale, come ha fatto l’Inghilterra fin dal lontano 1988, e che da noi ancora mancano.
Le scuole sanno bene che occorre effettuare misurazioni quantitative degli apprendimenti, esprimibili con punteggi, ma il problema affrontato da decenni è che esse vanno tenute ben separate dalla valutazione, che è la formulazione di un giudizio di cui le misurazioni sono solo un elemento.
L’Italia negli ultimi cinquant’anni è cambiata: scolarizzazione di massa, insorgenza di nuove potenti agenzie formative, diverse modalità di apprendimento connesse alla tecnologia della comunicazione, crisi della famiglia nucleare e problemi di relazione adulto-bambino che ne conseguono; l’offuscamento del senso morale (del bene e del male).
I dirigenti scolastici, che hanno imparato nelle dure condizioni di questi ultimi anni il valore dell’autonomia e considerano la leadership educativa la loro connotazione culturale più forte, esternano il loro sconcerto di fronte a provvedimenti che prescindono dalla più recente e collaudata ricerca educativa che ha cercato di affrontare le emergenze formative di questo paese.
L’ANDIS sa bene che c’’è una preoccupazione diffusa sui modelli di comportamento, sulle regole, sui valori, sul senso del rispetto e del dovere. Ci si lamenta perché la scuola non è in grado di essere punto di riferimento valoriale “forte”, salvo poi non riconoscere alla scuola questa funzione dando la stura ad una denigrazione reciproca tra genitori e insegnanti.
Per questo la valutazione degli apprendimenti (e non solo della condotta) è un punto così importante e nel rapporto tra la scuola e la società, passa di lì un primo rapporto con le istituzioni (nel loro ruolo non autoritativo, ma autorevole sì), nel senso della giustizia riconosciuta. Ecco perché ci vuole una “buona” valutazione, ben strumentata. Ecco perché è ancora tempo di valutazione formativa, che aiuti a riconoscere, a capire, a decidere; che indaghi non solo i prodotti (il profitto), ma anche i processi che rendono possibili quei prodotti.
Roma, 4 settembre 2008
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