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“Neurodiverso da chi?”, rimuovere gli ostacoli all’accesso alle professioni della scuola

Se ne è discusso a Bari il 25 settembre. Un incontro-dibattito per dare voce a chi vive la disabilità sulla propria pelle e capire come favorire e valorizzare la sua inclusione nel mondo del lavoro della conoscenza.

25/09/2023
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A cura della FLC CGIL Bari

Neurodiverso da chi Bari 25 settembre 2023Dal banco alla cattedra, dalla formazione al lavoro: un passaggio pieno di ostacoli per le persone con neurodivergenze.

Come FLC CGIL Bari abbiamo voluto affrontare il tema nell’incontro che si è tenuto venerdì 22 settembre 2023 presso la Camera del Lavoro di Bari dal titolo “Neurodiverso da chi? Storie di ordinaria disabilità dei lavoratori della conoscenza”.

Programma

Neurodiverso da chi Bari 25 settembre 2023L’idea del dibattito nasce da una accorata lettera giunta in FLC CGIL Bari qualche mese fa da parte di una docente precaria. La lettera apre un nuovo scenario, che sposta il focus dalle disabilità degli studenti a quelle dei lavoratori della conoscenza: testimonianze dirette di vita quotidiana, interventi di specialisti del settore, un appassionante dibattito con il pubblico.

Neurodiverso da chi Bari 25 settembre 2023È emerso, finalmente, che l’attenzione che l’istruzione italiana riserva alla disabilità e che costituisce un esempio a livello europeo, non prosegue poi quando gli studenti terminano il loro percorso formativo. Se un docente precario, in servizio da anni nella scuola italiana con ottimi risultati, non riesce ad affrontare una prova concorsuale perché la tipologia a risposta multipla confligge con la sua neurodivergenza, se le diagnosi di spettro autistico terminano a 18 anni, con il mancato ingresso nel mondo del lavoro, se a volte è meglio nascondere la propria disabilità pur di non essere caricati del peso sociale della diversità, allora è il momento di prendere consapevolezza del problema e di costruire una vertenza collettiva sul tema arrivando anche ad inglobare tutte le disabilità esistenti.

Neurodiverso da chi Bari 25 settembre 2023Non solo, se un lavoratore disabile vincitore di concorso è costretto a spostarsi in un’altra provincia lontana dalla sua residenza, come fa a poter avere un accesso sereno alla professione? Motivo per il quale ben venga quanto introdotto nell’ipotesi di CCLN 2019-2021 sulle tutele per la disabilità nella mobilità.
La rimozione degli ostacoli all’accesso alle professioni della scuola, con la possibilità della rideterminazione delle tipologie di prova, è solo uno degli obiettivi da perseguire.

Neurodiverso da chi Bari 25 settembre 2023La segretaria generale FLC CGIL, Gianna Fracassi, infatti ha confermato la possibilità di aprire uno spazio nella contrattazione per modulare in maniera esistenziale l’organizzazione della giornata lavorativa del lavoratore disabile per metterlo così nelle migliori condizioni possibili per lo svolgimento della professione.
A tal pro la segretaria ha annunciato anche l’apertura di una piattaforma nazionale nella quale inserire problematiche, suggerimenti, idee inerenti tutti i tipi di disabilità esistenti in modo tale da istituire un osservatorio permanente sempre aggiornato di monitoraggio sul mondo della disabilità per cercare così di intervenire con le proposte e gli strumenti più idonei per eliminare gli ostacoli e rendere la vita lavorativa del lavoratore disabile più sostenibile.

________________

Riportiamo, a seguire, la lettera aperta di Francesca Noya, la docente precaria che ispirato la nostra iniziativa.

LA LETTERA DI FRANCESCA

Ho 42 anni e a 39 sono rinata.

Succede a tutti o meglio potrebbe succedere a tutti, a me è successo dopo la diagnosi di autismo (una volta denominata sindrome di Asperger) lo ricordo bene il giorno della mia seconda nascita così come ricordo molto bene il mio primo secondo respiro, faticoso, liberatorio a pieni polmoni e con gli occhi chiusi. Ricordo la psicoterapeuta che con grazia mi informò della diagnosi, per me è stato un bellissimo benvenuto al mondo.

Vi racconto una cosa, viverlo senza consapevolezza non è semplice, con la consapevolezza nemmeno, però si impara l’arte di accettarsi e accettare il resto del mondo e non è poco.

Essere autistica, comporta ad avere tante difficoltà e le difficoltà portano ad avere i dubbi, i dubbi tra l’altro portano ansia e confusione. È il cosiddetto “cane che si morde la coda” ve lo sento dire spesso!

Altra difficoltà sono i modi dire, prendo tutto alla lettera, lo vedo bene quel ridicolo cane che gira attorno a sé stesso mordendosi la coda!

Ora, provate solo per un attimo a immaginare quanto sia difficile per noi persone autistiche vivere con voi che avete delle percezioni, un linguaggio e un modo di socializzare differente, siete la maggioranza e il mondo è costruito su di voi e non su di noi. Il nostro desiderio è di vivere in questo mondo nel miglior modo possibile, di riuscire nei nostri obiettivi di vivere una vita felice e piena di soddisfazioni, senza tradire la nostra natura.

Dopo la diagnosi di autismo ne è arrivata un’altra la cosiddetta “Sindrome non verbale” se ne parla molto poco, eppure sarebbe importante conoscerla. La lettura dello spazio è differente il che mi rende disprassica, soffro di prosopagnosia e ho tutti e quattro i D.S.A. (disortografia, disgrafia, discalculia e dislessia).

Se le mie tante differenze fossero una sorta di figurine avrei completato l’album con inclusa la figurina rara, quella dorata luccicante che fa socchiudere gli occhi nel guardarla.

Ad oggi sto ancora cercando di comprendere me stessa, attraverso la lettura di libri specifici, di partecipare a meeting e cerco di comprendere al meglio il mio funzionamento interpellando ottimi studiosi nel campo della ricerca.

Ricordo quando a scuola le lezioni mi tediavano, conoscevo già gli argomenti e raccontati senza alcuna verve da parte di alcuni docenti, trovavo quelle lezioni particolarmente deludenti. Durante le superiori studiavo, studiavo tantissimo, ma a malapena riuscivo a ottenere un sei, ogni tanto un sette, raramente

un otto. Una tragedia per me che puntavo al dieci, sono sempre stata vista come quella “debole” che non studiava, troppo chiusa, troppo emotiva, troppo in tutto e tutto in negativo.

Invece stavo cercando un modo per far notare ai docenti che apprendevo, la difficoltà era proprio quella, farlo notare, rendere partecipe il prossimo e informarlo che imparavo, che avevo conoscenza e una spiccata curiosità, probabilmente fuori dalla norma.

Ero così abituata nel vedermi con i loro occhi che tutt'ora faccio fatica nel rendermi conto che ho un funzionamento differente.

Se soltanto avessero saputo e se soltanto sapessero.

Pensare per immagini, vedere i propri pensieri nitidi e prepotenti e tramutarli in parole era un esercizio alquanto difficile, da bambina non parlavo nemmeno. Ricordo bene quando mi incoraggiavano con un “Dai dì qualcosina” ora invece “Era meglio quando non parlavi”.

Gli adulti non si accontentano mai!

Durante i percorsi accademici, ho imparato molto bene nel saper convincere i docenti che ero una ragazza studiosa e preparata, adoperava mappe, suoni, colori, tutto era un modo per assimilare, erano strategie messe in atto senza alcuna consapevolezza, le immagini non erano più un ostacolo, ma un punto di forza,

non ero da meno a nessuno e a nessuna, ero brava perfino nel prendere gli appunti durante le lezioni, ero brava e gli altri lo notavano.

Dopo gli anni accademici ho lavorato per vari progetti, comprendere gli altri, il linguaggio e le richieste era un percorso piuttosto stressante e complicato come se non bastasse bisognava sorridere alle battute per risultare intelligenti e brillanti. Tornavo a casa sfinita, senza forze, e come al solito mi caricavo di responsabilità tali da credere che fossi la solita ragazza debole, stupida e senza talento. È stato in uno di questi periodi che scoprii un lavoro in cui tutto sommato mi sentivo adeguata: la docenza.

Dirò la mia su questo lavoro: È difficile e bisogna amarlo davvero altrimenti invece di essere un punto di forza per i ragazzi si diventa parte del problema, è interessante, si cresce, si fanno bellissimi incontri, colleghi che a fine anno non sono solo tali, studenti sempre unici e originali e posso mettermi in relazione con il mondo circostante attraverso la mia passione per la storia dell’arte e il disegno. È a scuola che mi sento adeguata sono nel posto in cui dovrei essere.

È stato grazie ai miei cari studenti se ho imparato a riconoscermi, la mia riconoscenza infatti va proprio a loro, agli studenti autistici e DSA, devo solo a loro la mia rinascita.

Tutte queste esperienze potrebbero bastare e invece no, nel momento in cui lo Stato non concepisce la mia esistenza, tutto quello che ho costruito va a rotoli. Gli obiettivi si fanno più lontani e le mie singolari capacità valgono meno, meno di niente.

Vorrei soffermarmi sulla mia storia per quanto riguarda il concorso ordinario per l'insegnamento.

È stato il mio primo tentativo, negli anni passati senza la diagnosi e con una bassissima autostima non ci pensavo nemmeno, mettevo da parte l’idea che potessi raggiungere un obiettivo che mi spettava di diritto.

Arrivo al dunque con una breve premessa, alle persone neurodivergenti i test devono essere così composti: massimo tre risposte da scegliere per ogni domanda inoltre le risposte non devono essere per nulla somiglianti tra loro, questo perché bisogna puntare sulla preparazione e non sulla memoria che è deficitaria (Ricordate il biglietto raro e luccicante? Eccolo!).

Per il concorso ordinario mi sono ritrovata ad affrontare un test di cinquanta domande di cui ognuna aveva quattro risposte e che almeno due di esse erano simili. È stata un'esperienza massacrante. Ho rivissuto un passato che pensavo di essere riuscita a cancellare, è stato umiliante, deleterio i miei diritti sono stati completamente calpestati riuscendo ad annullare le mie competenze e la mia preparazione. Nei giorni precedenti alla prova ho chiesto di poter utilizzare delle mappe, ho chiesto di essere messa alla prova attraverso un orale, purtroppo non mi hanno concesso niente, mi hanno dato mezz'ora di tempo in più che non ho utilizzato perché non era quello di cui avevo bisogno, io e la commissione, persone gentilissime, siamo rimaste con le braccia incrociate ad attendere che il tempo passasse e quei minuti me li sono sentiti addosso, pesanti, interminabili, con il respiro che si faceva sempre più corto e l’ansia che prendeva il sopravvento.

Ho terminato la prova con sessanta punti, a dir la verità sessantadue, il concorso precisino ha immesso come giusta una risposta sbagliata. Il minimo per essere ammessi alla prova successiva era di settanta punti, credetemi se vi dico che per le mie caratteristiche è stata un'impresa ardua, se i miei diritti fossero stati tutelati probabilmente avrei superato la prova e sicuramente non mi sarei sentita umiliata e inadeguata.

Burnout. A casa ho vissuto le conseguenze di uno studio prolungato e della situazione vissuta in sede di concorso, sono stata malissimo, il recupero è durato settimane, ansia e attacchi di panico che ho imparato a celare meticolosamente.

Questo è il ministero dell'istruzione che con parvenza mostra di essere al pari passo con i diritti dettati dalla comunità europea, ma di fatto il nulla. Per chi come me, che deve adattarsi tutti i giorni all’interno di una società per nulla ospitale e deve per di più arrancare senza essere dignitosamente tutelata, non arriverà mai a raggiungere i propri obiettivi.

Grazie a questo modus operandi del concorso e non solo, lo Stato italiano ha dimostrato di essere abilista, ha permesso di escludere la “fascia più debole”, ma io debole non sono, ho dimostrato di essere capace, di avere inventiva, di poter essere anche un esempio per i tanti ragazzi che si sentono incapaci e isolati per le loro formidabili caratteristiche.

Non raggiugerò mai il mio obiettivo e questo farà sì che non riuscirò mai a sentirmi come tutti gli altri, non mi sentirò accettata da parte dello Stato italiano, paese che amo per la sua ricchezza artistica e culturale e sarà il solito stupido cane che si morderà la coda. Se noi persone neurodivergenti non raggiugiamo posti lavorativi importanti non avremo mai il potere decisionale che ci spetta, ci sarà sempre qualcun altro che deciderà per noi e con molta probabilità lo farà nel modo sbagliato.

Negli ultimi anni si sente sempre più spesso il termine “inclusione” indica una realtà a me completamente

 sconosciuta, “includermi” da cosa? Nel momento in cui nasco faccio già parte di questo mondo e lo Stato italiano deve di già pensare alla mia persona come una cittadina attiva e parte integrante della comunità.

Ho provato a far impugnare il mio test, ma non si può perché nel bando di concorso non vi era nessuna linea guida per chi è come me. Perdonate lo sfogo.

Per lo Stato italiano noi semplicemente non esistiamo.