ANDU: Universita' sotto sequestro
È ormai evidente che l'Università italiana è tenuta sotto sequestro da un ristretto gruppo accademico che non permette alcun rinnovamento che contrasti con i propri immensi interessi accademici, politici ed economici.
È ormai evidente che l'Università italiana è tenuta sotto sequestro da un ristretto gruppo accademico che non permette alcun rinnovamento che contrasti con i propri immensi interessi accademici, politici ed economici.
Lo stop alla legge istitutiva della terza fascia dei professori universitari è stato voluto da professori della Facoltà di Giurisprudenza di Roma 1 che non possono tollerare che il loro Consiglio di facoltà - composto da 88 ordinari, 0 associati e 3 ricercatori - possa essere invaso da 131 ricercatori. Il Preside di questa Facoltà, intervenendo al Convegno del CUN dell'8.3.00, è stato esplicito: ritenendo i "suoi" ricercatori diversi da quelli delle altre Facoltà, le nuove leggi, così come ha già fatto lo Statuto di Roma 1, devono tenerne conto. In altri termini, qualsiasi legge che dovesse prevedere la partecipazione di tutti i ricercatori ai Consigli di Facoltà sarà osteggiata da coloro che hanno ampiamente mostrato di sapere ricorrere a qualsiasi mezzo (feroce campagna di stampa con conseguente raccolta di firme per la revoca della sede legislativa) pur di salvaguardare la purezza della razza accademica di quella Facoltà dove i professori sono solo ordinari, nessuna supplenza è stata attribuita ai ricercatori e i pochi nuovi ordinari vengono reclutati non per concorso, ma per trasferimento.
In realtà, a ritenere che i ricercatori di Giurisprudenza siano diversi da quelli delle altre Facoltà non sono i professori ordinari di tutte le Facoltà di Giurisprudenza: in quelle degli Atenei di Bari, Cagliari, Camerino, Cassino, Catania, L'Aquila, Pisa, Roma 3 e Sassari tutti i ricercatori fanno parte dei Consigli di Facoltà.
Al potente gruppo di professori di Giurisprudenza di Roma 1 - e ai pochi altri professori che li sostengono - non interessa che gli Atenei sono o saranno investiti dagli effetti devastanti delle sentenze definitive della magistratura amministrativa che ha ritenuto illegittime norme presenti in tutti gli Statuti. Ad essi non interessa neanche che decine di organismi universitari (Cun, Crui, Senati accademici, Consigli di Facoltà) e quasi tutte le Organizzazioni della docenza si siano espressi per un intervento legislativo che non discrimini i ricercatori.
Ai "bisogni" di questi accademici si è sempre adeguato l'attuale Ministro dell'URST. Infatti, il Collegato alla finanziaria abolisce l'opzione tra regime a tempo pieno e a tempo definito in modo che i docenti che svolgono la libera professione saranno pagati come quelli che non la svolgono e potranno diventare rettori, presidi e direttori di dipartimento. Attualmente i docenti complessivamente a tempo definito sono l'8 per cento. Di questi, i professori ordinari di Giurisprudenza a tempo definito costituiscono il 40 per cento.
Ora a questi bisogni si è adeguata anche la Commissione Cultura della Camera che, dopo avere abbinato la legge sulla terza fascia al Collegato, non ha ancora nemmeno fissata la scadenza per la presentazione degli emendamenti, interrompendo i propri lavori dopo un lento dibattito generale sul provvedimento. E tutto ciò nonostante sia evidente che senza una legge di riforma della docenza universitaria e senza norme a tutela dell'autonomia degli Atenei è, tra l'altro, impossibile applicare positivamente la riforma dei percorsi formativi, rilanciare la ricerca e assicurare agli Atenei una gestione democratica e stabile.
Alla luce del fatto che il Collegato è stato impantanato, è necessario che il disegno di legge istitutivo della terza fascia completi il suo iter, inserendovi le norme sull'Autonomia degli Atenei e la previsione del regime del pieno impegno per tutti i docenti (anche per un trattamento omogeneo alla luce del decreto Bindi-Zecchino).
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