Scheda di valutazione: religione cattolica, comportamento ed altro ancora
Alcuni giorni fa un’autorevole rivista che si occupa di scuola segnalava i rischi di illegittimità in cui incorrerebbero i docenti delle classi interessate dall’applicazione del decreto legislativo 59 nell’adottare la “vecchia” scheda di valutazione, quella ordinariamente in uso fino allo scorso anno scolastico.
Alcuni giorni fa un’autorevole rivista che si occupa di scuola segnalava i rischi di illegittimità in cui incorrerebbero i docenti delle classi interessate dall’applicazione del decreto legislativo 59 nell’adottare la “vecchia” scheda di valutazione, quella ordinariamente in uso fino allo scorso anno scolastico. Secondo la rivista, l’illegittimità deriverebbe dal fatto che in quel documento la valutazione del comportamento degli alunni non costituisce una voce a sé.
Poca cosa –verrebbe da commentare- se la si confronta alle numerose illegittimità della CM 85, la più macroscopica delle quali è indubbiamente l’inclusione della valutazione relativa all’insegnamento della religione cattolica all’interno della “nuova” scheda, alla stessa stregua di tutte le altre discipline. In tal modo sono infatti predisposti gli allegati C e D, acclusi alla circolare sulla valutazione come esempio e per facilitazione alle scuole.
Non è il caso in questa sede di riprendere le considerazioni più volte espresse riguardanti il fatto che la religione cattolica è l’unico insegnamento facoltativo inserito nell’orario obbligatorio (il che comporta per la scuola primaria un’ulteriore riduzione di ben due ore dalle 27 settimanali previste), giova piuttosto evidenziare il contrasto con il Testo Unico 297/94. In base all’accordo del 1985 con la santa sede, lo stato si è impegnato a provvedere all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, garantendo “a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento" e garantendo anche che l’esercizio di tale diritto non deve "dare luogo ad alcuna forma di discriminazione". Tenendo ben saldo il principio della non discriminazione, l’art. 309 del TU (riguardante nello specifico l’insegnamento della religione cattolica) prevede che “l'interesse con il quale l'alunno segue l'insegnamento e il profitto che ne ritrae” siano comunicati dai docenti alle famiglie tramite “una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla pagella scolastica”.
Si tratta dunque di una comunicazione, più che di una valutazione anche se l’accordo contempla la necessità della motivazione scritta a verbale del voto di religione, se determinante nello scrutinio finale.
I modelli allegati alla circolare 85 inseriscono invece la religione tra le discipline obbligatorie e da valutare, fingendo di ignorare che gli alunni possono non avvalersi di questo insegnamento, possono optare per seguire altre attività alternative organizzate dalle scuole, oppure attività di studio individuale o anche assentarsi da scuola. Riemerge la vecchia logica precedente l’accordo dell’85, secondo la quale chi non intendeva frequentare le lezioni di religione poteva chiedere l’esonero. Si vuole ignorare che le nostre scuole sono frequentate da alunni/e che provengono anche da famiglie musulmane, ebree, induiste, agnostiche, laiche… O da famiglie, magari fervidamente praticanti, che ritengono che l’approfondimento del credo religioso si fa fuori dalla scuola, in altri e più idonei luoghi.
Si comprimono le differenze, anzi si toglie il riconoscimento valoriale delle differenze, che si aspira a ricondurre ai soli comportamenti che si credono – con una lettura semplicistica e superficiale - autoctoni e predominanti. Si calpestano i principi e si violano le leggi. E non si tratta di un fatto isolato: sta diventando costume di questo ministero modificare le leggi attraverso le circolari!
Ma dal nostro punto di vista, un’illegittimità macroscopica non ne giustifica una minore ed è perciò doveroso esaminare con più attenzione la questione del comportamento degli alunni.
Sia la legge 53 sia il decreto 59 fanno genericamente riferimento alla “valutazione degli apprendimenti e del comportamento degli alunni” senza ulteriori specificazioni che indichino di separare i due aspetti. Se si tiene conto che persino le Indicazioni Nazionali raccomandano di tenere strettamente intrecciati gli obiettivi di apprendimento con gli obiettivi formativi, e che le stesse ripetutamente considerano trasversale tutto ciò che riguarda l’educazione alla convivenza civile, appare stupefacente che se ne possa derivare l’obbligo di valutare il comportamento a sé, con uno specifico giudizio.
Il fatto è che tutta la discussione sulla valutazione del comportamento e sull’incidenza che il giudizio sul comportamento ha ai fini del passaggio alla classe successiva non appare nella legge, ma ha caratterizzato ampiamente il dibattito nella fase di predisposizione della legge e dei decreti attuativi. Ciò che era fortemente presente negli intenti ma non ha avuto la forza persuasiva o la condivisione per trovare attuazione nella norma torna di prepotenza nell’interpretazione della norma e nelle circolari esplicative. Siamo,insomma, ancora una volta di fronte a quella strategia della confusione grazie alla quale l’amministrazione scolastica ha potuto far apparire prescrittive disposizioni che tali non erano.
FLC Cgil ha già dato mandato ai propri avvocati perché verifichino tutte le condizioni idonee a supportare l’impugnazione della circolare sulla valutazione.
Le scuole, alle prese con la predisposizione di propri modelli, possono legittimamente deliberare che la valutazione del comportamento non costituisce voce a sé, ma rientra nel giudizio globale intermedio e finale, come del resto si è sempre fatto.
Altrettanto legittimo è deliberare che per quanto riguarda le discipline si fa riferimento ai piani delle attività allegati ai Pof; che per quanto riguarda gli obiettivi su cui esprimere la valutazione si fa riferimento alla programmazione annuale; che, se il caso ricorre, le attività facoltative opzionali sono integrate nelle discipline curricolari e sono valutate in esse.
Nel rispetto delle norme, la comunicazione relativa alla partecipazione e al rendimento di religione cattolica e delle attività alternative va allegata alla scheda, ma come documento a sé.
Roma, 22 dicembre 2004
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