Regolamenti della scuola superiore: azzerate le sperimentazioni ed il loro portato innovativo
Nessuna valutazione esplicita, ma un più facile totale azzeramento.


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Dalla lettura dei regolamenti approvati dal Consiglio dei Ministri (non ancora definitivi perché in attesa della certificazione del Ministero dell'Economia), è confermato in modo inequivocabile che tutte le sperimentazioni in atto saranno azzerate a partire dalle prime classi, dato l’avvio del nuovo ordinamento.
Non abbiamo mai negato l'esigenza di ridurre e razionalizzare la pletora di indirizzi, spesso simili tra loro, che in tanti anni si sono accumulati e affastellati negli indirizzi della secondaria superiore.
Ma abbiamo anche da tempo posto l’esigenza di una valutazione, esplicita, di queste esperienze che comunque in tantissime situazioni hanno consentito a questo segmento del nostro sistema di istruzione di reggere la sfida dei cambiamenti, a fronte dell’immobilismo della politica.
Andavano valutate le sperimentazioni, per poter portare a sintesi e a sistema i risultati positivi di un lavoro che, soprattutto nella sua fase iniziale, è stato portato avanti, a titolo quasi sempre volontario, da tanti docenti e dirigenti che credevano nella scuola pubblica e nella sua qualificazione.
Un lavoro che fa si che ad oggi in molte realtà territoriali ci siano interi istituti di scuola secondaria superiore integralmente sperimentali, che hanno fatto la storia di quei territori, ne hanno significativamente consentito, sostenuto, facilitato anche una qualificazione del tessuto non solo democratico, ma anche economico e produttivo.
Un serio percorso riformatore doveva e deve partire da lì, da ciò che in questi anni la scuola reale ha maturato sul campo, da un
processo trasparente di valutazione, sulla base di criteri e indicatori predefiniti.
Nulla di tutto ciò è accaduto.
Nessun coinvolgimento pubblico, trasparente è stato realizzato, neppure pensato né programmato per la definizione dei cosiddetti nuovi ordinamenti che, come noto, nascono da una norma contenuta nella legge 133/08 che ha stabilito, pressoché d’imperio, che
la scuola doveva essere tagliata per un ammontare di risparmio pari a 8 miliardi di euro in tre anni.
Nessuna scelta pedagogica, didattica, culturale ma solo ed esclusivamente economico/finanziaria ha avviato questo processo ordinamentale che, non casualmente, si è ben accoppiata all’altra esigenza, tutta ideologica e politica, di questa maggioranza di sostenere le scuole private, cui nessun euro è stato tolto, anzi.
In questo sta il senso “epocale” dell’intera operazione e non ci sembra un valore di cui farsi vanto, visto che la scuola pubblica che ne esce è più povera culturalmente, socialmente più iniqua, nel complesso più precaria e non solo sul versante del personale.
A parte la situazione emblematica del Liceo scientifico tecnologico, che fine faranno quegli istituti interamente sperimentali, che hanno da tempo superato, ad esempio, la distinzione tra licei e istituti tecnici e professionali, con bienni unitari che non hanno penalizzato nessuna scelta successiva di indirizzi marcatamente diversi nei trienni, né l’esito formativo e/o lavorativo successivo?
Che fine faranno quelle esperienze fondate sulla laboratorietà come pratica didattica diffusa e trasversale, a fronte del deciso calo dei laboratori, limitati nella migliore delle ipotesi ai più tradizionali laboratori scientifici?
Con la confluenza forzata nei vari indirizzi previsti dai regolamenti si disperde un patrimonio anche professionale che viene negato, svilito e con esso anche la spinta motivazionale, essenziale nello svolgimento del lavoro docente.
L'assemblea nazionale sulla scuola superiore prevista a Roma per il 17 febbraio prossimo e lo sciopero del 12 marzo saranno importanti appuntamenti per sostenere le nostre posizioni e respingere, anche su questo versante, l’attacco alla qualità del sistema pubblico dell’istruzione rappresentato dai regolamenti approvati dal duo Gelmini-Tremonti.
Roma, 9 febbraio 2010
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