Ora la Moratti vuole introdurre il “mini” buono scuola
La FLC ricorre al TAR avverso il DM del 28 luglio 2005


Il Ministro sta giocando l’ultima carta: dare corpo ad una serie di interventi ministeriali di fine legislatura tali da prefigurare l’affermazione del principio della sussidiarietà, con tutti i nessi e connessi relativi, con particolare riguardo ai finanziamenti, diretti e indiretti, alla scuola privata.
In buona sostanza si sta cercando di introdurre, in maniera surrettizia e illegittima, nuove norme che ridisegnano l’orizzonte dei diritti e dei doveri della scuola privata paritaria indipendentemente da quanto disposto dalla legislazione e in barba al dettato costituzionale.
In questo quadro si inserisce il Decreto del MIUR del 28 luglio 2005 con cui sono stati implementati i contributi alle famiglie, indipendentemente dal reddito, per le spese sostenute per l’iscrizione dei propri figli alle scuole paritarie.
Ci troviamo di fronte ad un atto (decreto ministeriale) che, sebbene ottemperi alle disposizioni legislative richiamate, comporta un palese tentativo di aggirare il dettato costituzionale. In particolare riteniamo che il dispositivo in questione sia in contrasto con gli articoli 3, 33, 34 e 97 della Costituzione.
Come ha affermato la Corte Costituzionale con riferimento al “ principio supremo della laicità dello Stato (con sentenza n. 203 dell’11 aprile 1989), la Costituzione ha previsto un corpo di principi fondamentali, c.d. “ principi supremi” che definiscono la caratterizzazione del nostro Stato.
In questo contesto si collocano gli artt. 33 e 34 della Costituzione che definiscono l’insieme dei principi costituzionali che caratterizzano l’ordinamento scolastico del nostro Paese.
L’istruzione, per la Costituzione, non è (o comunque non è soltanto) un servizio, ma è anzitutto una funzione istituzionale che lo Stato svolge non solo nell’interesse degli studenti e delle famiglie, ma soprattutto nell’interesse generale volto a garantire quella uguaglianza sostanziale sancita dall’art. 3, comma 2 Cost. che è una precondizione della vita democratica.
Tale precondizione viene attuata con l’ art. 33 secondo il quale “ La Repubblica detta le norme generali sulla istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”, quindi la Repubblica ha l’obbligo non solo di garantire una formazione culturale omogenea a livello nazionale, ma ha anche l’obbligo di garantire a tutti la frequenza della scuola statale di ogni ordine e grado.
Il dettato costituzionale ha, successivamente, affermato anche il principio della “libertà di scuola” ovvero “
Enti privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (art. 33, 3 comma). Nel successivo comma viene precisato che “
la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuola statali”. E’ abbastanza chiaro che il termine equipollente si riferisca alla validità legale del titolo di studio.
Questo a significare l’esclusione di qualsiasi forma di finanziamento diretto o indiretto alle scuole private o alle famiglie. Tutto ciò è ampiamente confermato dal successivo art. 34 laddove viene profilata la possibilità di un intervento dello Stato a sostegno degli alunni meritevoli e privi di mezzo mediante assegni o borse di studio attribuite per concorso.
Il Decreto in questione va al di là del vincolo costituzionale. Le somme messe a disposizione vengono infatti erogate a tutte le famiglie che ricorrono all’istruzione privata paritaria indipendentemente dal reddito in aperto contrasto anche con il citato art. 34.
Alla luce di quanto appena riassunto il Decreto in questione è da ritenersi illegittimo perché in contrasto con gli art. 3, 33 e 34 della Costituzione. Ma la scelta da parte del Ministro contrasta anche con quanto sancito dall’art. 97 della Costituzione proprio perché viola il principio del buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.
Sulla base di questa ragioni la FLC Cgil ha dato mandato al proprio ufficio legale di presentare ricorso al TAR avverso il decreto in questione chiedendone l’annullamento e la remissione degli atti alla Corte Costituzionale per illegittimità costituzionale.
Roma, 16 settembre 2005
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