Le mani dell’esecutivo sulla dirigenza pubblica
La proposta del Governo di modifica della riforma della dirigenza pubblica puntano all’omologazione tra vertice amministrativo e maggioranza politica. Invece di valorizzare esperienze e risultati si riduce la durata degli incarichi.
La proposta del Governo di modifica della riforma della dirigenza pubblica puntano all’omologazione tra vertice amministrativo e maggioranza politica. Invece di valorizzare esperienze e risultati si riduce la durata degli incarichi. Riserva di legge invece del libero confronto tra le parti
L’esigenza di poter contare su di una classe dirigente più “vicina” al potere politico si è particolarmente acuita con l’affermarsi nel nostro Paese del sistema maggioritario, sia pure imperfetto, ove l’affermazione del bipolarismo si accompagna ad elementi di ricercata discontinuità da perseguire come valore in sé.
Ed è per questo che l’attenzione del governo e delle forze di maggioranza dopo il 13 maggio è stata rivolta ad introdurre modifiche sostanziali nell’attuale assetto normativo della dirigenza pubblica ed in particolare di quella dello stato, modifiche tutte finalizzate a rendere il vertice amministrativo più “omologabile” al potere politico.
Discrezionalità politica al posto della libera contrattazione
Prova ne è il recente provvedimento varato dal governo ed attualmente all’esame del Parlamento che dispone, senza alcuna gradualità, sempre auspicabile laddove si perseguono dichiarati interessi di riassetto complessivo, l’azzeramento di tutti i contratti in essere della dirigenza di vertice, eliminando con norma di legge la volontà delle parti validamente formata ed efficacemente operante dopo il controllo della Corte dei conti.
Al di là delle finalità dichiarate di introdurre elementi di maggiore flessibilità tese a favorire la mobilità dei dirigenti, il provvedimento introduce sostanziali modifiche alla disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali e ai criteri da seguire nella scelta dei soggetti, criteri indicati nell’art.19 del Dlgs. 29/93, e contrattualizzati nell’art.13 del contratto della dirigenza. La linea seguita con l’eliminazione del criterio della rotazione e della valutazione dei “risultati conseguiti” rafforza la discrezionalità del potere politico nella scelta del vertice amministrativo rompendo quell’equilibrio faticosamente perseguito tra garanzie dei soggetti, utilizzo di professionalità e competenze comunque maturate ed esigenze di realizzazione della linea politica prescelta.
Si elimina inoltre con l’abolizione del criterio della rotazione uno dei meccanismi che potevano favorire su basi oggettive la mobilità dei dirigenti come fattore di accrescimento della funzionalità dell’organizzazione ed incentivare, come nel privato, un management “generalista” attraverso esperienze diverse che possono costituire un aggiornamento professionale permanente.
Pertanto la dichiarata flessibilità finisce per identificarsi nella riduzione della durata massima degli incarichi stabilita in tre anni per la dirigenza di vertice e in cinque per la dirigenza di seconda fascia, rendendo inevitabilmente più stretto il rapporto con il potere politico.
Tutti uomini del Presidente
Non viene dichiaratamente messo in discussione il principio di separazione tra indirizzo e controllo, riservato al vertice politico, e gestione amministrativa affidata in via esclusiva alla struttura burocratica, ma si sono poste le condizioni per pregiudicare l’autonomia della gestione e della responsabilità dirigenziale, creando condizioni normative che consentono una scelta anche arbitraria della dirigenza di vertice.
Inoltre, si modificano contemporaneamente norme legislative e pattizie stabilendo l’impossibilità della disciplina contrattuale di poter ricontrattare la materia, diventata oggetto di riserva di legge.
La finalità di operare una ripubblicizzazione del rapporto di lavoro della dirigenza è fin troppo evidente: un “accordo” e non un vero e proprio contratto disciplinerà il solo trattamento economico del tutto svincolato dagli obbiettivi da realizzare, dai risultati da conseguire nonché dalle risorse assegnate, materie che rientreranno tutte nell’esercizio unilaterale del potere politico attraverso il provvedimento del conferimento dell’incarico che sostituisce il contratto collettivo ed individuale, con gravi conseguenze sull’autonomia dei soggetti, sempre più vincolati ad una vicinanza politica che mal si concilia con la richiesta crescente da parte della collettività di una dirigenza pubblica dotata di maggiore professionalità e competenza.
Cade il principio di responsabilità
Le conseguenze più preoccupanti delle modifiche proposte sono:
- il forte ridimensionamento di valori come professionalità, competenza ed efficienza della pubblica amministrazione, proprio nel momento in cui quest’ultima viene chiamata a gestire processi particolarmente complessi e delicati, anche in seguito al notevole trasferimento di funzioni e compiti al sistema dei governi territoriali;
- la rottura di quell’equilibrio, faticosamente costruito con la riforma della dirigenza e con le garanzie introdotte dall’ultimo contratto, tra la responsabilità politica nello svolgimento delle funzioni amministrative e le garanzie di autonomia della classe dirigente.
La disposizione più discutibile è senz’altro quella che stabilisce per dichiarate esigenze di immediata operatività della nuova disciplina la cessazione immediata dei contratti già perfezionati, che oltre a produrre un contenzioso legato al riconoscimento di diritti validamente costituiti, determina un contrasto normativo. Infatti, poiché la “decadenza” dei contratti si riferisce solo alla dirigenza di vertice della pubblica amministrazione sembra venir meno l’unicità della qualifica dirigenziale stabilita dall’art. 23 del Dlgs.29/93, che non risulta però modificato dal disegno di legge.
La finalità perseguita in modo fin troppo palese è quella di rendere liberi immediatamente e senza azionare alcun procedimento valutativo un rilevante numero di posti dirigenziali, realizzando il duplice beneficio di poter sostituire dirigenti “meno vicini” e di creare contemporaneamente una “vicinanza” obbligata anche in coloro che potranno essere riconfermati nell’incarico attualmente ricoperto.
Il ricambio dei vertici dirigenziali affidata nel sistema pubblicistico al “promoveatur ut amoveatur” viene conseguito non attraverso un sistema trasparente di regole come quelle del Dlgs. 29/93, ma con l’automatismo di una norma legislativa che introduce un nuovo istituto: la revoca “per esigenze governative”.
Le altre disposizioni del provvedimento risultano poco innovative in quanto ripropongono il precedente disegno di legge Bassanini sulla mobilità della dirigenza pubblica e privata già favorevolmente esaminato da un ramo del Parlamento nella precedente legislatura.
Articolo apparso sulla rivista “Valore Scuola” n. 21/2001
Roma, 7 dicembre 2000
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