Disegno di legge Aprea sulla scuola. La nostra valutazione
La proposta di legge riscrive le norme sul governo delle scuole, sul loro finanziamento e sulla carriera dei docenti secondo un'ispirazione dal carattere fortemente aziendalista e inserita in un contesto di organizzazione regionale.
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Brucia tutte le tappe l'onorevole Valentina Aprea, presidente della Commissione Cultura della Camera, con la presentazione di una proposta di legge dal titolo "Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti".
L'analisi della situazione attuale, nella relazione di presentazione della relatrice, individua nel formalismo burocratico, nell'ossessione procedurale e nella iper regolazione dello Stato che soffoca autonomia e responsabilità dei docenti, le cause dei mali della nostra scuola.
Per ridare slancio, efficacia e autorevolezza alla scuola italiana propone dunque una ricetta che prevede l'apporto di soggetti esterni e privati alla gestione della scuola, un finanziamento regionale alquanto indeterminato in quanto legato ad un concetto aleatorio di costo medio per alunno, una riscrittura di tutte le norme che presiedono al reclutamento e alla carriera dei docenti per legge, un forte ridimensionamento degli spazi di contrattazione sindacale e l'abolizione delle RSU di scuola.
Le norme di contesto di questa proposta di legge sono: l'art. 117 e 118 della Costituzione (la proposta rientra nelle norme generali sull'istruzione di competenza esclusiva statale), la legge 53/03 e i suoi decreti attuativi, il DPR 275 /99 sull'autonomia scolastica, la legge 62/00 di parità scolastica, il decreto legislativo 165/01, la legge 131/03 che contiene disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale n. 3/2000. Dunque gran parte dell'attuazione di questa proposta di legge è fortemente intrecciato con l'attuazione del regionalismo previsto dalla legge costituzionale n. 3/2000.
Vengono completamente cancellate e riscritte le norme sugli organi collegiali di scuola e nazionali, fortemente ridimensionata la contrattazione nazionale, cancellata la rappresentanza sindacale di scuola, istituita una rappresentanza sindacale unitaria regionale per i docente e l'area contrattuale della docenza da cui restano esclusi gli ATA.
La rappresentanza di tipo professionale viene scorporata da quella sindacale e ad essa vengono affidate funzioni oggi comprese nella rappresentanza sindacale.
Fondazioni, Consigli di amministrazioni ed esperti esterni sono le nuove leve su cui si dovrebbe incardinare il rinnovamento della scuola, promotori di miglioramento delle performances degli alunni e della qualità complessiva dell'istituzione scolastica.
Una carriera per i docenti su cinque livelli, che vanno dal contratto di inserimento formativo al lavoro per i neo assunti, al ruolo di vicedirigenza a cui si accede tramite concorso per titoli ed esami, passando per i livelli di docente iniziale, docente ordinario e docente esperto; un nuovo percorso di formazione iniziale e di reclutamento, che di nuovo non ha nulla visto che riprende integralmente il decreto attuativo dell'art. 5 della legge 53/03 abrogato dall'ultima finanziaria; la costituzione di una docenza che si rappresenta con i caratteri della libera professione, albo professionale, organismi tecnici rappresentativi nazionali e regionali che redigono il codice deontologico e istituiscono commissioni disciplinari, la conseguente riduzione degli spazi di contrattazione, costituiscono il nuovo stato giuridico dei docenti. Con ciò superando le norme sul personale contenute nel T.U. del 1994 e quelle relative alla contrattazione sui luoghi di lavoro del D.lgs 165/01.
La proposta di legge dunque interviene sugli assetti del sistema scolastico, prevedendo cambiamenti ad ampio raggio, sulla base di un assunto reale che vede emergenza formativa e non attuazione del processo di autonomia dovuto a inerzie burocratiche, le cause dei mali della scuola su cui intervenire.
Purtroppo i ministri della pubblica istruzione che si sono avvicendati in questi anni non hanno fatto altro che rispondere ad una spinta autoconservativa della centralità ministeriale e delle sue burocrazie. La scuola non ha avuto gli strumenti adeguati ad interpretare una vera autonomia e i contratti hanno dovuto misurarsi con la scarsità delle risorse finanziarie.
In queste condizioni la scuola reale ha continuato ad assolvere la sua funzione costituzionale, sulla base di una consolidata cultura che vede la scuola pubblica nel ruolo strategico di garante del diritto universale all'istruzione, con mezzi e risorse sempre più inadeguati, districandosi dentro le pastoie burocratiche e le offensive politiche spesso con impegno meritorio, ma con esiti complessivi non all'altezza dei problemi.
La scuola avrebbe bisogno di rivedere profondamente gli assi culturali su cui poggia la relazione didattica, molto se ne è detto, ben poco è stato fatto, avrebbe bisogno di attivare concretamente e rapidamente gli strumenti valutativi che le permettano una vera responsabilizzazione e autonomia professionale, avrebbe bisogno di far crescere una vera cultura dell'autonomia a dispetto delle intrusioni burocratiche, avrebbe bisogno di un investimento vero in risorse umane ed economiche.
Regionalismo, privati, mercato, libera professione per i docenti, riduzione della rappresentanza sindacale, possono rappresentare una risposta adeguata ai problemi della scuola?
Non c'è un nesso diretto fra malattia e cura proposta, se non la cieca fiducia nei meccanismi che governano l'organizzazione aziendale. Resta poi da dimostrare quanto le scuole trasformate in fondazioni (tutte? o non soltanto quelle appetibili) possano veramente attrarre finanziamenti privati e quanto un consiglio di amministrazione di cui fanno parte rappresentanti degli enti locali (ciascuno dei quali si deve suddividere su qualche centinaio di scuole) e ipotetici esperti esterni, possa innescare virtuosi meccanismi di miglioramento assumendo spazi di decisione anche di tipo didattico.
In quanto alla rappresentanza sindacale, a cui la Aprea addossa tutta la responsabilità della deriva "impiegatizia" dei docenti e dunque della loro frustrazione professionale e del discredito sociale di cui soffrono, avendo la contrattazione "forzato" i confini legislativi del rapporto di lavoro con sconfinamenti nel campo riservato alla legge e ai principi generali della professione, essa comunque garantisce una rappresentanza politica e un dialogo democratico e agisce su delega sulla base di un mandato a trattare che i lavoratori le affidano.
Gli organismi tecnici rappresentativi non garantiscono altrettanta trasparenza e dialettica democratica, sapendo che essi devono essere costituiti su una base elettiva generica e su una quota di designazioni delle associazioni professionali.
La cancellazione poi di un livello di rappresentanza, quello di scuola, e la cancellazione della rappresentanza del personale ATA, impoveriscono la democrazia e inducono a spinte corporative.
Infine, la carriera costruita su 5 livelli per legge richiede un investimento finanziario adeguato se non si vuole spalmare in verticale e in orizzontale le scarse risorse messe a disposizione in questi anni per la contrattazione, con il rischio di far pagare ai livelli bassi e alle necessità di organico i costi che servono per pagare le carriere di pochi.
Roma, 11 giugno 2008
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