Delega sulla promozione della cultura e della creatività: le commissioni parlamentari ne alterano il senso, ma i pareri sono positivi
Le motivazioni che ci spingono a considerare questa delega una proposta senza contenuti e senza autenticità.
Le Commissioni VII della Camera dei Deputati e VII del Senato hanno espresso parere favorevole sullo Schema di decreto legislativo recante norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività” (Atto del governo n. 382).
Questa delega, che abbiamo già definito essere un “autentico oggetto misterioso” per la modalità con cui si è svolta l’attività di consultazione ed elaborazione del testo, difficilmente potrà avere un impatto significativo sulla quotidianità dei processi educativi e gestionali del sistema scolastico, perché risponde ad esigenze molto generiche, non strutturate e poco individuabili nei contesti didattici, con rimandi continui ad atti e provvedimenti successivi.
Lo schema del Governo, che ha l’unico pregio di aver portato l’attenzione sull’esigenza di una formazione “di cittadinanza” tale da responsabilizzare le generazioni future al patrimonio culturale ed artistico non pone, in realtà, alcun obiettivo concreto; al contrario, presenta una sequela di intenti che, sotto l’egida dei “temi della creatività”, vorrebbe incentivare una non specificata diffusione e apprendimento delle pratiche artistiche. Ma non solo: anche di quelle del design, danza, cinema e media, dell’artigianato e opere italiane di qualità (era Made in Italy), della scrittura creativa, poesia, forme espressive innovative, dei linguaggi e i dialetti parlati in Italia.
E non finisce, perché le commissioni hanno avuto gioco facile nel continuare l’infinito elenco “immateriale” dei possibili argomenti: l’estetica, lo studio storico-critico, le attività teoriche e pratiche in ambito filosofico-archeologico, in aggiunta a quello demoetno-antropologico e alle competenze argomentative.
Di fatto, i pareri delle commissioni modificano sostanzialmente il senso della delega spostando la questione su cosa si intenda per promozione alla cultura e alle arti, nell’accezione di un sapere e una conoscenza più teorica e critica, rispetto allo sviluppo di una pratica di apprendimento laboratoriale, strumentale e fattivo dell’espressione artistica.
Non si tratta di interventi di poco conto: le modifiche chieste incidono sugli elementi più peculiari della delega, quelli che tendono a conferire alla promozione artistica paradigmi strutturati, ma anche meritocratici, sia per gli studenti che per i docenti e le scuole.
Sparisce l’INVALSI dal processo di valutazione delle pratiche didattiche, si sopprimono frasi che pongono queste ultime come “requisito fondamentale del curricolo di ciascun grado di istruzione”, si sostituisce “talenti” con “differenti attitudini”, si cassano le collaborazioni “con i musei, gli istituti e i luoghi della cultura” a favore del terzo settore operante nell’ambito artistico e musicale. La parola “attivazione di laboratori permanenti...” diventa “supporto a laboratori permanenti...”, sparisce il “team di docenti in possesso dei requisiti e dei titoli professionali” nel Poli, si spostano le pratiche laboratoriali dalle aree disciplinari ed una non ben definita trasversalità disciplinare. Vengono aboliti “i repertori” per l’accesso ai licei musicali.
Sulla specifica filiera, rimangono quelli che avevamo già definito “eccessi di delega”, tra cui l’abrogazione del DM 201/99 sui Corsi ad indirizzo musicale nella scuola media e le incursioni sugli ordinamenti dei licei, punto sul quale la Commissione VII del Senato ardisce elaborazioni, confondendo il significato di “insegnamenti” e quello di “cattedre”.
A conclusione, possiamo sostenere che se la riscrittura dello schema dovesse acquisire i pareri, da un lato è lecito plaudire all’interesse di ridimensionare tutti gli elementi valutativi e “performativi”, così lontani da un reale sostegno alla promozione della cultura e alla creatività in ambito didattico; dall’altro, però, ciò che rimane è un progetto senza senso, senza nuovi investimenti, senza ruolo, che ha fatto parlare di sé, ma attende momenti migliori.
Il nostro contrasto a questa delega non è, quindi, una “reazione negazionista” come riportato da illustri pareri, ma la semplice constatazione dell’inutilità, a fronte di un cambiamento che avrebbe potuto modificare l’approccio complessivo alla conoscenza (a partire del pensiero divergente, per intenderci) ma che è clamorosamente franato in una proposta senza contenuti e senza autenticità.
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