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Enti pubblici di ricerca tra riduzione delle risorse e attacco all'autonomia

Facciamo il punto sullo stato di salute della ricerca in Italia, stretta nella morsa dei tagli ai finanziamenti da un lato e delle limitazioni all'autonomia e all'indipendenza dall'altro.

07/02/2011
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Con la ripartizione del fondo di finanziamento ordinario degli enti di ricerca vigilati dal MIUR per il 2010 il quadro del settore alla luce della politiche governative è chiarissimo.
Un netto restringimento delle risorse e degli spazi di competenza degli enti di ricerca si è sostanziato attraverso più interventi in successione. Vediamoli brevemente in sequenza: la manovra finanziaria correttiva di luglio ha portato alla soppressione dello IAS, dell'ISPESL, dell'ISAE e all'accorpamento della Vasca navale con il CNR e ha previsto la riduzione del turn over dal primo gennaio 2011 al 20% (poi posticipato dal milleproroghe al 31 marzo 2011). Contestualmente sono state tagliate le spese per le missioni e solo in extremis si è evitata la scure sui contratti di collaborazione comunque già ridotti negli ultimi anni. La manovra economica di dicembre prevede una riduzione lineare del fondo di finanziamento ordinario che oscilla dal 9 al 13% con una punta del 20% per l'ENEA. Dobbiamo tenere presente che le risorse di questo fondo sono indispensabili per sostenere le cosiddette spese vive come il funzionamento dei laboratori e il pagamento degli stipendi. In realtà per alcuni di questi enti come il CNR tali risorse erano già appena sufficienti a questo scopo prima dell'ultima micidiale sforbiciata.

Mentre si strangolano le istituzioni di ricerca, una parte delle risorse "risparmiate" verrebbe devoluta agli stessi enti sulla base di criteri premiali. Infatti, in base all'articolo 4 del DLgs 213/09, il riparto del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca deve basarsi sulla valutazione della qualità dei risultati della ricerca e sul programma nazionale della ricerca (PNR); c'è però un piccolo particolare. A tutt'oggi non è stato ancora emanato il nuovo programma nazionale della ricerca (PNR) e l'ultimo PNR fa riferimento al triennio 2005-2007. L'ANVUR, agenzia delegata alla valutazione della qualità dei risultati della ricerca non è ancora operativa (abbiamo solo le nomine dei componenti). Da ultimo, il riparto del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca per l'anno 2010, presentato con gravissimo e colpevole ritardo mettendo in difficoltà gli enti e le istituzioni di ricerca e costringendoli ad abbassare la testa davanti alle scelte scellerate del governo. Il riparto del Fondo per il 2011 non è ancora all'orizzonte ma già si annuncia che parte delle risorse verrà attribuita sui cosiddetti progetti bandiera.

Appare chiaro ed evidente che il Governo sta ripartendo le risorse "premiali" non sulla base di dati oggettivi ma su dati poco recenti e soprattutto scelte discrezionali. Quindi, in sostanza, si sottraggono risorse essenziali al funzionamento per trasformarle in premi che vengono "elargiti" senza un modello funzionante e condiviso di valutazione. Si punta a scatenare negli enti una concorrenza selvaggia sul modello di quella delle università per costringere con il cappello in mano le istituzioni a piegare la testa di fronte ai processi di destrutturazione in atto ad iniziare da quelli contenuti nei nuovi statuti.

È acclarato che siamo di fronte ad una riduzione progressiva delle risorse pubbliche destinate alla ricerca e contestualmente alla riduzione del numero di coloro che lavorano e operano in questo settore strategico.

In questo contesto si colloca la vicenda degli statuti degli enti vigilati dal MIUR e in generale il riordino di tutti gli enti di ricerca. Dopo l'approvazione dello Statuto del CNR da parte del CDA integrato dagli esperti del MIUR si procederà alla definizione dei regolamenti. Come abbiamo scritto più volte l'iter del riordino è stato l'esatto opposto di quanto la legge delega aveva previsto. Anziché garantire agli enti maggiore autonomia e indipendenza siamo di fronte ad una torsione manageriale della governance che marginalizza il ruolo della comunità scientifica e del personale. I richiami alla Carta europea dei ricercatori e alle procedure democratiche di definizione degli organi sono rimaste pure suggestioni. Se non fosse stato per l'incisiva iniziativa del sindacato al CNR si sarebbe arrivati al paradosso di un direttore generale nominato direttamente dalla Gelmini, modello RAI.

La vicenda del maggiore ente di ricerca del nostro paese rimane comunque emblematica: nello statuto si prevede una autolimitazione della spesa per il personale calcolandola sul fondo ordinario e ignorando che l'attuale legislazione fa riferimento invece al budget complessivo. Gli enti infatti si finanziano spesso con progetti esterni e la riduzione del fondo ordinario con conseguente allocazione delle risorse in base a criteri premiali rappresenta una radicalizzazione ulteriore di questo processo in parte fisiologico. La somma delle due cose ha però un effetto: il CNR nel tempo sarà costretto a ridurre il suo personale. Del resto la retorica dello spreco e dei fannulloni puntava a questo: smantellare la ricerca pubblica e plasmarne l'organizzazione su un modello diametralmente opposto a quello che conosciamo. Per intenderci il modello IIT ente creato dal Ministro Tremonti e presieduto dal direttore generale del MEF. Diretta dipendenza dal potere politico, distribuzione prevalente delle risorse a gruppi di ricerca esterni, pochissimo personale interno. Un modello che esiste solo nella mente degli innovatori all'italiana perché basta guardare alla Francia o alla Germania per capire che siamo completamente fuori strada. Mentre la competizione con la Cina si sposta sempre più sulla ricerca e gli Stati Uniti decidono nuovi investimenti per mantenere la loro leadership (vedi le recenti dichiarazioni di Obama) noi decidiamo di licenziare i ricercatori precari e puntare alla riduzione del già risibile numero di persone che svolgono questa attività (nel nostro paese evidentemente poco apprezzata).

Negli ultimi 12 anni gli investimenti mondiali in R&S sono raddoppiati, passando da 550 miliardi a 1.100 miliardi di dollari ammontando al 2% rispetto al Prodotto interno lordo. Poiché l'Unione Europea investe in media meno dell'1,8%, in R&S se ne ricava che in questi ultimi anni il nostro continente ha fatto registrare un'intensità di investimenti inferiore alla media mondiale. La conseguenza è immediata: il numero di articoli prodotti da scienziati americani ed europei che era complessivamente pari al 69% del totale mondiale nel 1995 è sceso al 58% nel 2008, mentre la quota degli articoli di scienziati asiatici è passata dal 14 al 23%.

In questo quadro difficile noi siamo ovviamente il fanalino di coda e, se l'idea è quella di competere sullo scacchiare dei paesi avanzati, dovremmo puntare ad una strategia di rilancio partendo innanzitutto dalle risorse e dal reclutamento. Negli Stati generali della conoscenza rilanceremo questi temi per trasformarli in una proposta forte e condivisa nella speranza che le nostre lotte possano invertire questa rotta disastrosa.