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Documento conclusivo del Comitato Direttivo della Cgil 6-7 ottobre 2003

A due anni e mezzo dall’avvio della Legislatura il quadro politico, istituzionale ed economico desta rilevanti e crescenti preoccupazioni , mentre si deteriora visibilmente la condizione di vita di milioni di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati e delle loro famiglie.

09/10/2003
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A due anni e mezzo dall’avvio della Legislatura il quadro politico, istituzionale ed economico desta rilevanti e crescenti preoccupazioni , mentre si deteriora visibilmente la condizione di vita di milioni di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati e delle loro famiglie.

Sul versante istituzionale destano allarme i contenuti dello schema di disegno di legge costituzionale approvato il 16 settembre scorso dal C.d.M.. In particolare preoccupano le disposizioni relative alla ridefinizione delle prerogative del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio: si ridimensiona la funzione del primo a beneficio del secondo che viene dotato di poteri senza paragone in altri paesi europei. Preoccupano inoltre le disposizioni che ripropongono il testo di "devolution" e che intervengono direttamente su settori tradizionali del welfare indebolendone la universalità delle tutele e dei diritti. Più in generale l’impianto della proposta è di grande pericolosità per la tenuta dei valori fondanti della nostra Carta Costituzionale

Sul versante economico le scelte ideologiche e dissennate del Governo, irresponsabilmente sostenute dal gruppo dirigente di Confindustria, hanno condotto la nostra economia in una situazione di stallo e di totale incertezza: il PIL è in recessione; gli ordinativi delle imprese volgono al peggio; l’inflazione è stabilmente attestata di oltre un punto sopra la media europea; il fabbisogno di finanza pubblica è fuori controllo, drogato dalla valanga di condoni e misure una-tantum che hanno caratterizzato le ultime due leggi finanziarie. Il rischio ormai incombente è che alla recessione si accompagnino gli effetti devastanti di una ripresa della spirale debito-inflazione-nuovo debito.

Gli effetti negativi di queste dinamiche si riversano pesantemente sulla parte più esposta e debole della società italiana; una crescente incertezza di prospettive condiziona la vita di milioni di persone e delle loro famiglie.

A fronte di ciò il Governo ha varato una manovra economica che la Cgil valuta molto negativamente per ragioni di metodo e di merito.

La scelta di dividere gli aspetti ordinamentali della manovra di bilancio dal provvedimento legislativo di copertura economica produrrà una discussione inutile sul primo e una sostanziale blindatura del secondo, esautorando il Parlamento dalle sue legittime prerogative e affidando l’unico potere decisionale al ministro dell’Economia. L’atto, in sé grave, si aggiunge al mancato confronto con le parti sociali sui contenuti della Finanziaria,

Il metodo dunque è autoreferenziale, per nulla trasparente, frutto di complessi equilibrismi all’interno della maggioranza.

Sul piano del merito la manovra trova compensazione e giustificazione, secondo le dichiarazioni dello stesso ministro dell’economia, nell’unico vero intervento strutturale di modifica della legge Dini, che manomette i diritti delle lavoratrici, dei lavoratori, dei giovani e degli stessi pensionati in essere, per gli effetti devastanti sul sistema previdenziale pubblico dei provvedimenti di decontribuzione. La contestualità della legge Finanziaria e delle modifiche alla delega previdenziale nelle intenzioni del Governo tende ad ottenere dall’UE lo sconto sulla riduzione del debito di circa 6 miliardi di Euro incrementando così il già ingente debito pubblico.

La Finanziaria 2004 non contiene nessuna misura di contrasto alla gravità della situazione economica del Paese: sarebbero necessari interventi forti per sostenere la ripresa, attraverso investimenti consistenti nei settori strategici della ricerca, dell’innovazione di prodotto, della formazione e riqualificazione professionale. La tecno-Tremonti somiglia alla Tremonti bis e dunque non produrrà nessun effetto sullo sviluppo; contemporaneamente la costante riduzione dei finanziamenti all’Università, agli Enti di ricerca, all’intero sistema di istruzione e formazione, insieme con l’esplicito attacco all’autonomia delle istituzioni, determina un quadro di destrutturazione e degrado del sistema pubblico senza precedenti, che conduce direttamente alla paralisi delle istituzioni stesse.

Per il Mezzogiorno sono previsti addirittura tagli per 100 milioni di Euro nel 2004 e i segnali di arresto dell’occupazione registrati dall’ISTAT sono la spia di una situazione che tornerà ad essere drammatica. I 5 miliardi previsti per lo sviluppo sono del tutto virtuali: la metà si riferisce a impegni di spesa precedenti non onorati grazie all’applicazione del "bloccaspese" e il resto a interventi residuali, del tutto ininfluenti ai fini dello sviluppo.

L’inadeguatezza del gettito fiscale rende indisponibili le necessarie risorse: diminuiscono le entrate ordinarie sia per la recessione in atto sia soprattutto per il consolidarsi tra i contribuenti del lassismo incentivato da una pratica che legittima e premia gli evasori. Il concordato preventivo, probabilmente segnato da vizi di incostituzionalità, prevede che chi ne beneficierà avrà accesso all’applicazione immediata delle due aliquote, rendendo di fatto operativa la delega fiscale che annulla la progressività delle imposte. La trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in S.p.A è l’ennesimo trucco contabile: produrrà nuovo debito, aggravando ulteriormente le finanze degli enti locali, ai quali potrà erogare prestiti a condizioni meno favorevoli delle attuali; uno stato di cose che contraddice palesemente ogni ipotesi di autonomia finanziaria e ogni conclamata velleità di federalismo fiscale.

In questo quadro la politica delle entrate è di nuovo affidata a cartolarizzazioni, cioè svendita del patrimonio pubblico, e al condono edilizio, che per produrre gli effetti preventivati dovrà avere una ampiezza ed incisività ancor più inaccettabili. All’iniquità della misura si accompagna la beffa per gli enti locali, costretti, in un quadro di finanza locale falcidiata dal governo centrale, ad attivare le necessarie opere di urbanizzazione.

Gli effetti della recessione, della fallimentare politica economica del Governo si ripercuotono immediatamente sui diritti e sulle condizioni materiali di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati; la mancata restituzione del fiscal drag impoverisce ulteriormente le retribuzioni che già si discostano di un punto netto da un’inflazione che continua a salire. Si manifesta qui l’inganno del Governo sull’inflazione programmata nel DPEF dell’anno scorso e in quello di quest’anno. L’indicazione di un’inflazione programmata così distante dalla reale costituisce un problema grave e immediato per il contratto dei lavoratori pubblici, la cui copertura –del 3,5%- risulta pari a meno della metà del necessario.

Si pone ormai con evidenza una irrisolta "questione salariale" e l’esigenza di più equi meccanismi redistributivi. Allo scarto tra inflazione e retribuzioni è addebitabile il blocco della domanda interna e il crollo dei consumi, che ritarda la ripresa economica e innesca una nuova spirale inflattiva; questo spiega perché siamo l’unico paese con stagnazione della crescita e aumento dell’inflazione.

Sul terreno delle politiche socio-sanitarie prosegue e si accentua un intervento di destrutturazione del sistema perpetrato attraverso un ormai strutturale sottofinanziamento. Ciò avviene, anche in questa finanziaria, sia per il Fondo sanitario nazionale, sia per il Fondo di assistenza. In questo modo si è determinato, in questi anni, un gigantesco indebitamento delle Regioni e degli Enti locali, le cui conseguenze si stanno già scaricando sul sistema dei servizi sociali. Si operano, così, tagli alle prestazioni e/o aumenti dei costi per i cittadini che contribuiscono ad impoverire il reddito, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione. Ciò si accentuerà certamente nell'arco del 2004 proprio a fronte della ulteriore carenza di risorse che lo Stato mette a disposizione del sistema delle autonomie. Se a ciò si aggiunge l'utilizzo della leva di cassa che consente al ministro dell'economia intollerabili ritardi nel trasferimento anche delle poche risorse stanziate, si ha la dimensione di una vera e propria crisi, in particolare del sistema di finanziamento della sanità, e del precipitare della situazione in termini di quantità e qualità dei servizi erogati.

I circa 300 milioni di Euro per il figlio dal secondo in poi non risolvono i problemi economici e sociali delle famiglie numerose, e meno che mai di quelle in condizioni di povertà, né si configurano come efficace sostegno alla condizione della donna in quei contesti. In più, tra i disuguali, c’è chi è più disuguale degli altri, innanzitutto perché la misura è prevista per tutti, a prescindere dal livello del reddito, e, in secondo luogo, perché ne sono esclusi tutti i cittadini non comunitari. Inoltre tale stanziamento è sottratto a quello previsto per la riforma degli ammortizzatori sociali, che anche per quest’anno dunque non avrà copertura.

Per queste vie si concretizza l'attacco neoliberista allo stato sociale, che ha come obiettivo, perseguito pervicacemente anche se in modo strisciante, la sostituzione del sistema pubblico con un sistema privato prevalentemente di natura assicurativa. Si mina, in questo modo, la natura universalistica del welfare del nostro paese, sostituendolo con un'idea di intervento dello Stato puramente caritatevole e riferito solo alle categorie più deboli.

L'impegno del sindacato a contrastare questa deriva deve poter contare sull'alleanza con il sistema delle autonomie e con tutte quelle forze che con noi si battono per la difesa del sistema pubblico e, più in generale, per uno stato sociale di qualità.

Nonostante i ripetuti interventi del ministro della sanità durante l’estate scorsa a fronte delle oltre quattromila morti di anziani, con il conseguente indecoroso scarico di responsabilità sugli Enti locali, il governo non finanzia la costituzione di un Fondo per la non autosufficienza, nonostante la Camera dei Deputati, nella sua autonomia, stia licenziando una legge ad hoc. Questo tema rimane per il sindacato una priorità assoluta, alla pari della definizione di uno strumento di lotta alla povertà che sostituisca il reddito minimo di inserimento cancellato da questo governo. La nostra contrarietà al cosiddetto reddito di ultima istanza, prospettato dal ministro del welfare come la giusta risposta a chi vive una condizione di assoluta emarginazione e povertà, sta nell’ispirazione tutta assistenzialistica e niente affatto finalizzata al reinserimento di questi cittadini. E' proprio il reinserimento il cardine sul quale si muoveva la norma precedente e che tale deve restare.

Un attacco particolarmente insidiosio alla universalità del sistema di protezione sociale si manifesta nel tentativo di destrutturazione del sistema previdenziale pubblico con una controriforma iniqua e che taglia profondamente i diritti pensionistici di tutte le generazioni.

E’ un intervento "strutturale", non motivato da esigenze reali di equilibrio finanziario del sistema (riconosciuto in equilibrio sia nel breve che nel lungo periodo dagli stessi studi commissionati dal Governo).

Alla base della controriforma rimane l’impianto originale della delega previdenziale che, tra decontribuzione e prelievo obbligatorio del TFR per alimentare la previdenza complementare, manomette l’equilibrio tra sistema pubblico e sistema previdenziale privato che da integrativo si configura sempre più come alternativo.

Un sistema pubblico fortemente indebolito nelle risorse è causa di pesanti tagli alle prestazioni: dalla eliminazione delle pensioni di anzianità alla retroattività del sistema di calcolo contributivo che comporterà per le lavoratrici e i lavoratori interessati una pensione fortemente decurtata poiché il sistema di calcolo viene privato degli appositi correttivi che la riforma "Dini" aveva previsto al fine di garantire un rendimento adeguato alle future pensioni pubbliche. A ciò si aggiunge l’irrigidimento totale del sistema delle uscite per pensionamento che penalizzerà pesantemente le lavoratrici e i lavoratori più giovani, maggiormente esposti a discontinuità contributiva (per effetto delle novità introdotte nel mercato del lavoro) e alle ricorrenti riorganizzazioni delle imprese con conseguente espulsione di manodopera.

Per di più il Governo limita pesantemente i benefici previdenziali previsti per i lavoratori esposti all’amianto; tale misura si accompagna alla delega su salute e sicurezza che determina un grave arretramento degli strumenti finalizzati alla tutela della salute sul luogo di lavoro e dai danni derivanti da mancata prevenzione.

Il progetto del Governo si configura, pertanto, come una controriforma complessiva non trattabile in alcuno dei suoi punti e per la quale si conferma come unica richiesta il ritiro del provvedimento.

Solo a situazione azzerata possono riprendere spazio le proposte alternative già formulate dalle Organizzazioni Sindacali; dapprima la Cgil nel convegno del febbraio scorso, successivamente Cgil, Cisl e Uil con il documento del maggio 2003 hanno esplicitato e formalizzato la propria piattaforma per una fiscalizzazione degli oneri non previdenziali e per l’incentivazione e l’agevolazione della scelta volontaria sulla previdenza complementare che deve essere resa realmente agibile anche per tutti i settori oggi di fatto esclusi, a partire dal pubblico impiego.

Nel frattempo è in via di pubblicazione il Decreto Legislativo attuativo della L. 30/03; a tale proposito il C.D. della Cgil ribadisce le valutazioni fortemente negative già più volte espresse. Con quel provvedimento si riproduce una insensata frantumazione delle tipologie contrattuali, che rende sempre più precaria la condizione lavorativa di milioni di lavoratrici e lavoratori; si riduce l’efficacia della contrattazione collettiva; si legittima la pratica degli accordi separati; si altera la funzione del Sindacato, da soggetto autonomo di rappresentanza sociale ad agenzia che amministra la condizione - sempre più precaria - delle persone che lavorano; si incide negativamente sui diritti previdenziali futuri di coloro la cui vita lavorativa sarà caratterizzata da periodi di precarietà, prospettiva, questa, che graverà soprattutto sulla condizione delle lavoratrici, più esposte dei loro colleghi e per le quali non si prevede alcuna forma di copertura figurativa per periodi di lavoro discontinuo.

Per queste ragioni va completata la effettuazione delle due ore di sciopero già programmate e si rende necessaria una azione rigorosa e coerente di tutte le istanze della Cgil – dal Centro Confederale alle rappresentanze aziendali – per contrastare l’ulteriore diffondersi della precarietà e la manomissione dei diritti.

In primo luogo la Cgil non può in alcun modo esercitare funzioni connesse alla intermediazione o alla certificazione della condizione contrattuale dei singoli.

In secondo luogo è indispensabile presidiare ed agire ogni ambito di contrattazione collettiva per riconquistare il diritto alla contrattazione su tutto ciò che attiene i rapporti di lavoro e le condizioni della prestazione, a partire dal controllo sul tempo di lavoro; per contrastare la precarietà e le terziarizzazioni selvagge (ci riferiamo in particolare alla nuova normativa sull’appalto di manodopera e sul trasferimento di ramo d’azienda anche in assenza di una verificata autonomia funzionale); per confermare la centralità del contratto collettivo nazionale; per contrastare il ricorso alle tipologie contrattuali più precarie (prime fra tutte la somministrazione a tempo indeterminato e il lavoro a chiamata); per conquistare percorsi di stabilizzazione per le persone e procedure di informazione-controllo preventivo sugli assetti produttivi e la struttura di impresa.

Tutti gli strumenti dell’agire sindacale vanno attivati per conquistare, a partire dalle nostre proposte di legge, un superamento del quadro normativo definito dalla L.30 con il suo portato di iniquità e insicurezza.

Sarà indispensabile, in tale ambito, anche l’impegno di tutte le strutture per realizzare a livello confederale un sistematico coordinamento della attività delle categorie per una coerente gestione delle clausole contrattuali inerenti il governo del mercato del lavoro, per i contratti già conclusi, e delle piattaforme rivendicative per i futuri rinnovi contrattuali.

Anche lo sciopero dei metalmeccanici indetto dalla FIOM per il 7 novembre è occasione importante per riaffermare obiettivi di lotta alla precarietà, oltre che per riconquistare soggettività negoziale.

In sintesi, la seconda fase della legislatura si presenta pericolosa sul piano politico-istituzionale, pesante su quello economico, drammatica nel versante sociale. La parte che noi rappresentiamo paga in prima persona in termini di peggioramento delle condizioni materiali di vita, di ulteriore marginalizzazione e precarizzazione nell’esercizio della prestazione lavorativa, di riduzione oggettiva degli spazi di libertà e democrazia.

L’esigenza forte che avverte oggi la CGIL è di proseguire nell’iniziativa contro la politica economica e sociale di questo Governo.

Siamo consapevoli che è in atto in tutta Europa un attacco senza precedenti al modello sociale europeo. Per la sua difesa abbiamo manifestato il 4 di ottobre insieme a 37 sindacati europei, chiedendo che la Conferenza Intergovernativa definisca un Trattato Costituzionale coerente alla Europa sociale che vogliamo, fondato sul ripudio della guerra e ancorato al valore del lavoro e dei diritti. Con lo stesso spirito parteciperemo alla marcia per la pace Perugia-Assisi il prossimo 12 ottobre.

La convergenza realizzata con CISL e UIL per la proclamazione dello sciopero generale del 24 ottobre e per le ulteriori iniziative di mobilitazione costituisce un fatto politico di grande rilievo per l’incisività della battaglia sindacale contro le scelte del Governo. Già in queste ore e nei prossimi giorni la confederazione dispiegherà il massimo impegno per consolidare e allargare obiettivi e percorsi di iniziativa condivisi con Cisl e Uil e per valorizzarli nel confronto di massa con le lavoratrici, i lavoratori, i pensionati italiani.

Tutte le strutture confederali e di categoria sono chiamate nei prossimi giorni ad un impegno sistematico per creare le condizioni affinché la giornata del 24 ottobre registri uno straordinario successo dell’iniziativa sindacale anche in vista delle successive mobilitazioni che le confederazioni convocheranno in assenza di sostanziali cambiamenti di rotta da parte del Governo. Per la particolare rilevanza, segnaliamo fin d’ora la volontà di Cgil Cisl e Uil di dar vita ad una giornata nazionale di mobilitazione per i diritti dei migranti che si svolgerà il prossimo 18 dicembre.

La fase attuale di particolare asprezza sul piano politico, economico e sociale richiede una presenza forte della CGIL e del sindacato tutto in termini di iniziative di contrasto, di parole d’ordine unificanti in un mercato del lavoro sempre più frammentato, di coinvolgimento attivo dei giovani lavoratori e degli studenti, destinatari e vittime delle scelte devastanti su lavoro e scuola: siamo dunque impegnati sul terreno dell’iniziativa e della proposta programmatica per fornire identità, rappresentatività e visibilità a chi sta pagando oggi il prezzo di scelte dissennate.

Roma, 7 ottobre 2003