Dispersione scolastica: i dati del Ministero della Pubblica Istruzione
Pubblicati dall’amministrazione i dati sulla dispersione scolastica per l’anno scolastico 2004/2005.
Il ministero della pubblica istruzione ha presentato un dossier sulla dispersione scolastica relativa all’anno 2004/2005: dati che nella loro complessità, purtroppo ci forniscono un quadro deludente per i nostri giovani.
I dati, facendo riferimento agli obiettivi di Lisbona, evidenziano ancora una volta, come il nostro sistema scolastico abbia bisogno di riforme impellenti e che l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni debba necessariamente considerarsi solo un primo passo.
E’ d’uopo ricordare che la Conferenza di Lisbona ha prefissato cinque benchmark che i paesi membri dovranno raggiungere nel campo dell’istruzione entro il 2010; tra questi indicatori è stata considerata anche la percentuale di giovani tra i 18 e 24 anni che raggiungono solo il primo livello di titolo di studio (diploma di scuola media) e che non frequentano alcun percorso formativo successivo (early school leavers).
L’obiettivo stabilito per il 2010 è di scendere al 10% la quota di questo indicatore:obiettivo molto distante oggi per l’Italia che si attesta per l’anno 2005 solo intorno al 21,9%.
Attualmente la lettura dei dati ministeriali in tal senso è molto discutibile, in quanto si confrontano quantitativamente dati provenienti da Paesi con contesti d’istruzione e formazione troppo differenti tra loro.
Il divario esistente non può non essere ricondotto, non solo a motivazioni di tipo sociale, ma principalmente anche al tipo di politica d’istruzione e formazione avanzata negli ultimi anni dal precedente governo; non possiamo dimenticare che questi dati scaturiscono da una politica scolastica che ha persino abbassato di un anno l’obbligo scolastico!
Se colleghiamo i dati della dispersione alla prospettiva degli indicatori della qualità del sistema formativo, questi assumono un peso nel ripensamento del ruolo, della funzione della scuola in un contesto di interazione con il territorio, la famiglia, il tessuto sociale.
L’indagine prende in considerazione i dati a livello territoriale (nord, centro, sud), per sesso, per indirizzi scolastici.
Altri parametri sarebbe stato opportuno prendere in considerazione se realmente vogliamo avere una visione esaustiva del problema al fine poi di intervenire in modo sistematico, nella quotidianità del fare scuola, in piena integrazione con il contesto sociale del territorio di riferimento.
Non si evince da nessuna parte ad esempio: la percentuale di alunni disabili rispetto al totale degli alunni, l’incidenza delle bocciature al primo anno di scuola media, rispetto a quelli che frequentano un istituto comprensivo.
Non sono da trascurare inoltre i dati anche in funzione dei dati strutturali degli edifici scolastici: quanti ragazzi abbandonano la scuola per l’incidenza dei doppi turni o per carenza di edilizia scolastica?
Qual è l’incidenza di abbandoni degli stranieri extracomunitari?
In che modo gli interventi messi in atto in questi anni, anche con elevati investimenti della UE (vedi PON), sono riusciti a limitare il fenomeno?
I dati che fanno riferimento al primo anno dei due cicli, evidenziano che: il 2,9% degli studenti del primo grado e il 11,4% del secondo grado ripetono il primo anno.
I tassi di dispersione più alti si riscontrano, manco a dirlo, negli istituti professionali e tecnici (18,1%) e con tassi elevatissimi nelle regioni meridionali. Certo, la qualità media degli studenti che accedono agli istituti professionali (tra quei tanti “sufficiente”) le loro scarse motivazioni, le loro condizioni sociali poco abbienti ben si coniugano con la diffusa convinzione che i ragazzi “meno dotati” imbocchino “naturalmente” la via “dei professionali”.
Dati che dimostrano come il carattere “elitario e selettivo“ generato dalla riforma Gentile produce, purtroppo, ancora i suoi effetti deleteri. Un pregiudizio che ancora permane e che rimarca anacronistici confini tra sapere e il saper fare.
In altri Paesi, specie nel Nord Europa, le eccellenze e le debolezze si distribuiscono equamente tra tutti i tipi di scuola; da noi, invece, i livelli di apprendimento più bassi si addensano negli istituti tecnici e professionali. Queste differenze proseguono per tutta la carriera scolastica. I ragazzi più “deboli” sono quelli dei professionali e con la più alta probabilità di incorrere nella dispersione. Ma sappiamo bene, come la scelta del canale dipende anche dalla valutazione finale della scuola media, dall’orientamento consigliato, da quei tanti “sufficiente”.
L’innalzamento dell’obbligo a 16 anni, un biennio unitario obbligatorio dovrebbero tendere ad annullare le differenze che si registrano alla fine delle medie inferiori e lasciare più liberi i giovani di scegliere il proprio futuro. In questo momento in cui si discute della costruzione del nuovo biennio sempre di più si pone la necessità si porre l’attenzione ad un percorso che sia inclusivo, orientante, una nuova opportunità per i giovani.
Roma, 14 febbraio 2007
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