Finanziaria 2007: la scuola richiede investimenti, non tagli
In un articolo pubblicato su “Il Manifesto” del 5 settembre, Enrico Panini afferma che i lavoratori della scuola non meritano di essere ridotti ad un problema economico come è stato negli ultimi cinque anni.
Manifesto: La scuola richiede investimenti, non tagli
l'intervento
Enrico Panini *
Il livello attuale di discussione sulla Legge Finanziaria per quanto riguarda la scuola, per quel che si conosce, è inaccettabile. Infatti, da tempo la scuola statale è uscita perfino dalle citazioni di rito ed ormai se ne parla solo come di un luogo dal quale prelevare risorse.
I luoghi comuni si sprecano e l'uso delle «medie» si muove in coerenza. Che crescono i ragazzi iscritti e diminuiscono gli insegnanti nessuno lo dice. Abbiamo zone intere del Paese nelle quali i livelli di sapere sono così bassi da spingerci fuori dal contesto europeo, ma non se ne parla. L'unica certezza è che nella sola scuola si dovranno operare tagli per un miliardo di euro nel 2007.
Non mi interessa qui confermare che la situazione economica è grave; è questione risaputa e la sua gravità è condivisa. Né intendo sostenere che in un bilancio fatto di decine di miliardi, come quello della scuola, non siano possibili interventi di risparmio senza intaccare il sistema educativo. Ad esempio: chiudere con le consulenze, ricontrattare appalti esosi, vendere gli immobili che alcuni enti hanno acquistato nel periodo Moratti, ridurre i consigli di amministrazione e le direzioni generali, sono tutti interventi che non comporterebbero danni per il sistema.
Ma se la discussione parte dai tagli si va a sbattere rapidamente. Infatti, in questo sbracciarsi da parte del governo, che ribadisce dei teorici no alla politica economica dei due tempi, risalta l'assenza di ogni riflessione e proposta che leghi un progetto di sviluppo per il nostro Paese con il ruolo che la conoscenza è chiamata a svolgere.
E' ormai noto che il livello di sviluppo di un Paese non è dato solo dalle eccellenze, ma dal livello culturale complessivo della propria popolazione giovanile e adulta. Un livello alto influisce positivamente sulla crescita dell'economia, riduce le spese (ad esempio quelle sanitarie), diminuisce una serie di costi che inevitabilmente si scaricano sui sistemi di protezione sociale, allarga la democrazia. Aumentare l'istruzione va ad accrescere i risultati dell'economia di un Paese fra il 3% ed il 6%, ci dice l'Ocse.
Nulla di questa discussione, che richiederebbe un confronto di merito fra i sindacati e Romano Prodi, si intravede. Per ora siamo ad una ipotesi di finanziaria senza sviluppo, salvo che non si voglia pensare che si può crescere disinvestendo sulla scuola.
Ma veniamo al tema variamente agitato del numero degli insegnanti. Com'è noto esso è il risultato di tanti elementi: le ore di lezione, i contesti, le scelte «politiche». Vediamo alcuni fatti: circa 80.000 insegnanti (oltre il 10% dell'organico) operano su bambini disabili. In altri paesi i bambini disabili vengono messi in classi speciali, da noi, ed è giusto, in classi comuni. Ci sono istituti superiori con 40 ore settimanali di lezione e, quindi, con il numero di insegnanti necessario. Oppure ci sono modelli pedagogicamente ricchi (quali il tempo pieno) che danno un contributo molto significativo alla qualità del Paese. Senza tacere del nostro territorio con una buona quantità di montagna. Abbiamo anche oltre 15.000 docenti di religione cattolica neo immessi in ruolo, unico caso nell'intero globo. L'unico vero spreco ingiustificabile è condannare ogni anno un esercito di precari - siamo ad oltre 150.000 - a ricominciare da zero in classi sempre diverse.
Parlare di numeri senza considerare questi fatti significa piegarli a giustificare una scelta già assunta. Inoltre, parlare di numeri senza riforme e senza progetti significa fare del male al sistema.
Vedo un retropensiero in questo atteggiamento: che poi tutto sommato c'è tempo per investire sulla scuola, che nessuno muore domani. Un luogo comune infondato che può portare a conseguenze drammatiche. La bilancia commerciale cinese, gli investimenti scientifici in India e Corea, le politiche di alcuni stati europei ci dicono che, non solo abbiamo perso tempo, ma che non abbiamo più tempo a disposizione prima di assumere scelte.
Insomma, ciò che manca fino ad ora in questa discussione è dove stanno la qualità e lo sviluppo. Questo mi preoccupa e tanto.
Il Governo è giustamente preoccupato di tenere salda la maggioranza. Ci mancherebbe, nessuno di noi vuole rivivere l'incubo Berlusconi! Mi permetto però, al riguardo, di segnalare che centinaia di migliaia di persone hanno difeso la scuola pubblica contro uno dei ministri più potenti e determinati del precedente governo. Mi permetto di ricordare che se il nostro paese non si ritrova un cumulo di macerie al posto della scuola è perché queste persone hanno buttato il cuore oltre l'ostacolo. Queste stesse persone hanno dato il loro consenso al programma dell''Unione per l'80%. Non meritano di essere ridotte ad un problema economico come è stato negli ultimi cinque anni.
* Segretario generale della FLC Cgil
Roma, 5 settembre 2006
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