Programma nazionale per la ricerca e riordino, una sola certezza: il governo impedisce lo sviluppo del sistema
Nuovi annunci del Ministro Gelmini e del suo Direttore Generale su riforme e Programma della ricerca. Intanto, il Documento di programmazione economico-finanziaria azzera le risorse per il sostegno agli investimenti in ricerca e innovazione
Il nostro tessuto produttivo si caratterizza per una grave situazione d’arretratezza in quanto a capacità di creare conoscenza.
Per ciò che riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo, l’insufficiente impegno pubblico è accompagnato dall’inadeguatezza di quello privato. Quest’ultimo, pesantemente sostenuto dalla finanza pubblica, è condizionato negativamente dalla particolare configurazione del sistema imprenditoriale. Le poche grandi e medie imprese assorbono il grosso degli investimenti in ricerca e sviluppo; le piccole, la quasi totalità, tipicamente concentrate in settori a ridotta intensità di conoscenza, contribuiscono complessivamente poco al totale. Ulteriore, preoccupante elemento di criticità: il divario tra il Nord e il Sud del Paese.
C’è certamente bisogno d’interventi, anche profondi, in quanto a politiche industriali. Tanto più di fronte alla crisi.
Occorrerebbe potenziare il sistema dell’alta formazione e della ricerca (università ed enti); rinnovare il sostegno alla ricerca fondamentale; stimolare le imprese a sviluppare progetti coordinati con enti e atenei; introdurre criteri di selezione per i progetti di ricerca industriale finanziati alle imprese (oggi non valutati ma assegnati in base al meccanismo dello sportello); attivare misure tese al potenziamento di distretti tecnologici e piattaforme tecnologiche, …
In ogni caso, elemento cardine di qualunque giudizio di merito non potrà che essere rappresentato dalle prospettive reali di sviluppo del sistema, a partire dagli attori pubblici (enti e atenei). Da questo punto di vista è certamente centrale lo sviluppo delle intelligenze. Occorre superare rapidamente i limiti al reclutamento introdotti dal tetto del turn over, che, in modo diverso per enti e atenei, impediranno la crescita dei ricercatori nei primi (dopo una fase che, dal 2002 a oggi, ha visto una riduzione degli addetti pari al 10%) e ne comporteranno la drastica riduzione nei secondi fino al 2013. In un sistema innegabilmente sottodimensionato e destinato a non crescere, parlare di mobilità o di valorizzazione del merito non ha senso.
Il tramonto, speriamo definitivo, dell’emendamento «ammazza precari» ha evitato un’ulteriore battuta d’arresto sul versante del reclutamento. Si è trattato di un risultato che ci ha visto in prima linea nelle mobilitazioni dell’ultimo anno. Occorre adesso procedere celermente verso la realizzazione di piani strutturali di reclutamento, in grado di creare immediatamente le condizioni per una crescita regolare delle intelligenze dedicate stabilmente alle attività di ricerca nel nostro Paese, negli enti di ricerca come nell’università.
Per questo occorrono però risorse di cui oggi non c’è alcuna traccia.
Dalle recenti dichiarazioni del Ministro e del Direttore generale del Ministero dell’università e della Ricerca (Corriere della Sera dello scorso 2 agosto) emerge un’enfasi particolare rispetto al potere taumaturgico del più volte annunciato riordino degli enti, che sarebbe collegato al varo del nuovo Programma nazionale per la ricerca (l’ultimo risale al 2005).
Il riordino dovrebbe razionalizzare l’allocazione delle risorse, provvedendo, tra l’altro, ad aggregazioni tra gli enti.
Di certo, elementi di razionalizzazione sono auspicabili in un sistema che si è sviluppato in modo scoordinato proprio grazie ai ritardi della politica. Così come auspicabile sarebbe l’instaurazione effettiva della mai realizzata funzione di coordinamento delle politiche per la ricerca, che il legislatore ha attribuito al Miur e che ha nel Pnr lo strumento principale.
Quando agli annunci seguiranno i fatti, come sembra probabile, valuteremo con estremo rigore sia i provvedimenti di riordino che gli obiettivi e gli strumenti previsti dal Pnr.
Per il momento rileviamo come ai già pesanti tagli previsti dalla «manovra d’estate» dello scorso anno il Dpef 2009-2013 abbia aggiunto l’azzeramento degli stanziamenti per il sostegno agli investimenti in innovazione e attività di ricerca e sviluppo nell’ambito delle misure anticrisi: dopo i 1.073 M€ previsti per gli anni 2008 e 2009, negli anni 2010 e 2011 non è previsto nessuno stanziamento.
A meno di profondi cambiamenti nell’impostazione dell’azione di governo, il Programma per la ricerca rischia di nascere come un eccellente libro dei sogni.
Speriamo, sinceramente, d’essere smentiti dai prossimi sviluppi.
Roma, 6 agosto 2009