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Importante sentenza del TAR Lombardia sulla retribuzione aggiuntiva per i ricercatori universitari

Il TAR accoglie il ricorso dei ricercatori del Politecnico di Milano, sostenuti dalla FLC di Milano, per l’annullamento del regolamento che non prevedeva retribuzione aggiuntiva.

16/03/2015
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Il TAR Lombardia con la sentenza del 5 marzo 2015 ha accolto il ricorso presentato da 87 ricercatori con contratto a tempo indeterminato, disponendo l’annullamento del Regolamento del Politecnico di Milano per “l’impegno didattico dei professori e dei ricercatori del Politecnico di Milano, ai sensi dell’art. 6 della legge 30.12.2010 n.240”.

Un’ importante vittoria sostenuta dai ricercatori dell’Ateneo e dalla FLC CGIL di Milano che ha patrocinato con la propria legale il ricorso. Il TAR, riconoscendo la fondatezza del ricorso, ha annullato il regolamento di Ateneo che, in elusione della disciplina di legge, utilizzava i ricercatori per l’attività di docenza senza prevedere la “congrua retribuzione aggiuntiva” come previsto dalla legge e obbligava tutti i ricercatori a svolgere attività didattiche non dovute. Pubblichiamo a seguire la nota di lettura della sentenza fatta dall’avv. Marisa Ambrosini che ha formulato il ricorso.

Prima riteniamo necessario offrire una risposta alla dichiarazione rilasciata, a mezzo stampa, dal Rettore del Politecnico che invece di ammettere l’illegittimità dell’operato dell’Ateneo “deride” la sentenza del TAR e tutti i ricercatori dell’ateneo.

Infatti il Rettore Giovanni Azzone ha definito “Un peccato” la sentenza perché “i nostri ricercatori avevano una bella opportunità, quella di affiancare l'insegnamento alla normale attività di routine che sono tenuti a svolgere. Dal prossimo anno questa possibilità non verrà più data: assegneremo le supplenze ai docenti, le ore di didattica verranno coperte lo stesso, non è un problema".

In primo luogo ricordiamo al Rettore che la sentenza del TAR Lombardia non preclude la possibilità di affidare ai ricercatori, col loro consenso, lo svolgimento di corsi. Semmai, la sentenza impone il doveroso riconoscimento economico per l’attività didattica prestata come sancito dalle norme di legge.

In secondo luogo non possiamo non ricordare allo stesso Rettore che più volte i ricercatori del suo ateneo hanno proposto modifiche al regolamento che avrebbero permesso di riconoscere il lavoro didattico dei ricercatori venendo incontro alle necessità dell’Ateneo. Tutte le proposte sono state ignorate.

Ancora, appare sconcertante che si definisca l’imposizione di attività didattiche non dovute, e non pagate, come una “opportunità”. A conferma dell’uso ormai invalso nel nostro paese di descrivere il lavoro non retribuito come una opportunità e non più una ingiustizia. Affermazioni gravi, tanto più se provengono da chi governa un importante ateneo. Peraltro, “ignorando” che in tutti questi anni i ricercatori - pur di permettere di tenere aperti corsi di studio destinati alla chiusura per l’assenza di risorse e il blocco del reclutamento - hanno regolarmente tenuto corsi e svolto attività di didattica frontale e integrativa.

In ultimo, la “minaccia” di attribuire la didattica lasciata scoperta dai ricercatori ai professori dell’ateneo non solo è inaccettabile nei toni, ma è paradossale perché proviene da chi meglio di altri dovrebbe sapere che:

a. I professori universitari sono tenuti per legge a svolgere non più di 120 ore di didattica frontale (se in regime post-“Moratti”);

b. sempre, prima di attribuire contratti di insegnamento o affidamento, si dovrebbe verificare la presenza di risorse interne. Delle due l’una, o in questi anni non c’erano – e quindi non ve ne sono oggi – disponibilità interne, e quindi ci chiediamo a chi il Rettore chiederà di svolgere la didattica non coperta dai ricercatori; o pur disponendo di risorse interne, si è preferito far ricorso al lavoro gratuito dei ricercatori. Siamo convinti che sia il primo caso ad aver determinato la scelta del Politecnico di ricorrere alla didattica dei ricercatori, e quindi la minaccia del Rettore appare priva di consistenza.

Riteniamo invece necessario che il Rettore faccia propria la sentenza del TAR chiedendo al Senato Accademico di approntare un regolamento rispettoso dei propri ricercatori e della legge.

A tal fine chiediamo al Rettore e al Senato Accademico di prendere in considerazione la necessità di aprire una discussione e affrontare questa sentenza nella giusta dimensione che esprime e che è quella che tutela anche la qualità dell’attività di docenza curricolare.

Pubblichiamo, in ultimo, le note di commento alla sentenza dell’Avvocato  Ambrosini.
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La sentenza del TAR Lombardia in commento risolve un’importante controversia insorta tra un folto gruppo di ricercatori di ruolo e il Politecnico di Milano, loro datore di lavoro.

L’art. 6 della Legge n. 240/2010 (“Legge di riordino delle Università”), così puntualizza i compiti dei ricercatori:

3. “I ricercatori di ruolo svolgono attività di ricerca e di aggiornamento scientifico e, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti di didattica integrativa e di servizio agli studenti, inclusi l'orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell'apprendimento, fino ad un massimo di 350 ore in regime di tempo pieno e fino ad un massimo di 200 ore in regime di tempo definito”;

4.“Ai ricercatori a tempo indeterminato ( … omissis ….) sono affidati, con il loro consenso e fermo restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curriculari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici. ( … omissis …). Ciascuna università, nei limiti delle disponibilità di bilancio e sulla base di criteri e modalità stabiliti con proprio regolamento, determina la retribuzione aggiuntiva dei ricercatori di ruolo ai quali, con il loro consenso, sono affidati moduli o corsi curriculari.”

Ciò non di meno, il Politecnico di Milano, alla fine del 2012, aveva approvato un regolamento, in base al quale: 1) era previsto per i ricercatori confermati a tempo indeterminato con regime di impegno a tempo pieno un impegno didattico di 350 ore/anno per esercitazioni, seminari didattici, laboratori didattici, assistenza agli studenti, orientamento, tutorato, assistenza alle tesi di laurea, di laurea magistrale e di dottorato, attività di verifica dell’apprendimento, presenza nelle commissioni di laurea e di dottorato; 2) nell’ambito di tale impegno istituzionale, era previsto lo svolgimento di 80 ore di esercitazioni o di laboratori didattici oppure, su richiesta dell’interessato e subordinatamente al parere favorevole del Dipartimento, la titolarità di uno o più insegnamenti per un totale di 8 CFU con lo svolgimento delle sole lezioni”.

Il risultato era che i ricercatori, già caricati di un monte ore per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali determinato nella misura massima prevista dalla legge, si sarebbero trovati a prestare attività di docenza a titolo gratuito, in palese contrasto con la normativa di legge sopra richiamata.

Significativo che, a sorreggere il meccanismo di “commutabilità” delle prestazioni congegnato dal regolamento (attività di insegnamento anziché svolgimento di 80 ore di esercitazioni o laboratori didattici), l’Ateneo avesse convertito il “consenso” del ricercatore in “richiesta” dell’interessato: quella che è una precisa esigenza dell’Università di individuare professionalità e affidare incarichi didattici per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali, che giustifica la corresponsione di una retribuzione aggiuntiva a favore di coloro i quali tali incarichi abbiano ad accettare, si era trasformata nella inammissibile abdicazione dell’Ateneo a tali suoi doveri, responsabilità e prerogative: abdicazione realizzatasi scaricando sui ricercatori la “scelta”, falsamente libera, di chiedere di svolgere attività di didattica curriculare totalmente gratuita.

Il TAR Lombardia ha pienamente riconosciuto l’illegittimità dell’operazione, stabilendo tra l’altro nella sentenza:

“L’Ateneo ha, dunque, operato in sostanziale elusione della ratio e della lettera della legge, che, come correttamente sostenuto dai ricorrenti, è volta a far sì che debbano essere i docenti a porre in essere l’attività di docenza curriculare, mentre i ricercatori si debbano dedicare nelle ore obbligatorie all’attività integrativa, di servizio agli studenti, nonché ad attività di verifica dell’apprendimento e che, in ogni caso, l’eventuale attività di docenza curriculare posta in essere dai ricercatori debba ricevere una congrua retribuzione aggiuntiva, in ragione del diverso impegno professionale e della maggiore responsabilità inerenti a detta attività di docenza.

Le previsioni regolamentari censurate mirano, dunque, come efficacemente posto in risalto dalla difesa dei ricorrenti, a porre a carico dei ricercatori obbligatoriamente una parte dell’attività curriculare, che dovrebbe essere di competenza dei docenti e che comporta un maggiore aggravio professionale, senza prevedere alcuna correlativa retribuzione aggiuntiva”.

Il Regolamento, conseguentemente, è stato annullato nelle parti contestate.

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