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Supplenti contro prof dilettanti l’ultima sfida del concorsone

Domani la prima prova. Protesta dei precari: “Per noi è squalificante”

16/12/2012
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la Repubblica

ROMA
— La schermata, domani mattina e quindi martedì per la seconda sessione di questo concorso per docenti, avrà lo sfondo giallo. Nella tastiera virtuale che apparirà sullo schermo, contorno azzurro questa, Chiara Preti dovrà scrivere nome, cognome, codice fiscale e lingua scelta. “Conferma e inizia la prova”, invio: partirà così la clessidra per i test di preselezione. Cinquanta minuti, cinquanta domande: diciotto per testare le capacità logiche, diciotto per la comprensione di un testo, sette sulle competenze digitali, sette sulla lingua straniera.
Non ci saranno i neolaureati, a questo concorsone, il più discusso della storia della Repubblica. Ma ci saranno molti trentenni tra gli aspiranti prof. Come Chiara Preti, 31 anni, laureata in Filosofia nel 2004, dottorato nel 2008. Per abilitarsi lei fece la scuola di specializzazione all’insegnamento secondario, la Ssis, trenta esami, fin qui inutili. Non se ne lagna. Per mantenersi Chiara collabora con Giovanni Bachelet, deputato del Pd. Ora è ferma, in maternità. La sua bambina ha due mesi. «Non mi sento una sfigata, solo una
portaborse precaria che non riesce a campare: l’anno scorso ho guadagnato 1.500 euro lorde, ora passerò a 1.200 nette al mese. La mia carriera scolastica? Nel 2009 iniziai a fare qualche supplenza, prendevo al volo quello che arrivava. Sono iscritta alle graduatorie a esaurimento, trecentesima nella mia classe di concorso, storia e filosofia. Sì, nelle aule vedo insegnanti anziani un po’ affaticati, c’è bisogno di un ricambio».
Attende la prova a quiz con gusto della sfida Elisabetta Ambrosi, giornalista
free lance,
37 anni, un figlio di due e mezzo. Si è laureata a Roma tredici anni fa, una sessione dopo il mitico concorso per docenti del 1999, l’ultimo utile per prendere una cattedra. Filosofia politica, poi dottorato in etica. Non ha mai insegnato e dice: «A tutti quelli della mia generazione è stato impedito di diventare maestri e professori, ora questo concorso aprirà le porte alla mia
seconda vita. Fin qui è stato un impegno interessante, anche un po’ tragico visto che questa occasione parla a troppe persone insoddisfatte. Come giornalista mi pagano a pezzo, sopravvivo perché sono sposata. Ho un po’ di rabbia e credo mi farà bene: mi avete chiuso una possibilità? E io ci riprovo. È giusto che la metà dei posti siano destinati agli outsider, giovani che nella vita hanno fatto tutt’altro e hanno passione. Io
vorrei ripartire da una classe di scuola media, magari in provincia. Avrei le competenze giuste e tempo per formarmi». Precari contro giovani? «La competizione c’è ed è triste: mia sorella vive di spezzoni di supplenze e ogni mattina attende la telefonata del provveditorato per l’incarico di giornata».
Alessandra Bastia è una precaria dell’insegnamento. Un percorso classico, il suo, nella scuola
italiana. Ha 46 anni ed è riuscita ad arrivare alle supplenze annuali in una media di Terni. Sono sei stagioni che supplisce, iniziò con il sostegno (bambini in difficoltà) alle elementari. «Prima dei quarant’anni la scuola non mi ha dato certezze, alle docenze ho dovuto affiancare allestimenti, restauri, sono stato esperta di listini in un’azienda e ufficio stampa per alcuni festival. Ho due lauree: lettere moderne e scienze della formazione primaria. Vivo sola, con meno di 1.200 euro. Mia cugina mi dà la casa. Parteciperò a tre classi di concorso, primarie, medie, superiori, con quattro materie e in due regioni diverse. Certo che il concorsone è una guerra: io sono vicina al posto fisso, ma i nuovi vincitori potrebbero ricacciarmi indietro in classifica. E allora partecipo anch’io».
Antonio Venneri, 37 anni, toscano, a ventiquattr’ore ore dal test è ancora indeciso. Dice: «Mi sono iscritto, ma non sono convinto di partecipare. Da undici anni lavoro a scuola come supplente, incarichi annuali, e ho già dimostrato se sono in grado di far crescere studenti. Insegno materie letterarie alle superiori e questo concorso colpisce la dignità di
che è già abilitato. I posti in cui oggi lavoriamo esistono, vanno solo stabilizzati con un contratto a tempo indeterminato». Ribadisce, e dettaglia il concetto, l’insegnante Daniele Bardi: «Non ho nemmeno più voce per dirlo: noi precari provenienti dalla scuola di specializzazione Ssis abbiamo già vinto un concorso, fatto tirocinio in aula, superato più di trenta esami, discusso una tesi e superato una prova finale. Abbiamo acquisito con merito il diritto all’assunzione, diritto che ora è misconosciuto d’autorità». Marco Pappalardo, insegnante (fisso) in una scuola salesiana paritaria, dice a tutti (precari di scuola e precari di vita): «Non parteciperò anche se oggi non posso dirmi sicuro del futuro. Non ho fatto ricorsi, non sono sceso in piazza, ma ho scelto di prepararmi ogni giorno per i miei ragazzi piuttosto che per la mia realizzazione personale».
 

 


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