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Ragazze e scuola, addio alle professionali

Calano le iscrizioni, si preferisce il liceo. «Ma chi sceglie il percorso tecnico trova lavoro»

20/11/2010
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Corriere della sera

Lorenzo Salvia

In ritardo I nostri istituti professionali e tecnici attirano meno studenti che nel resto d’Europa: la quota non arriva al 40 per cento

 

MODENA — Sono da sempre considerate scuole di serie B, un ripiego per chi non si può permettere il Liceo (con la elle maiuscola). E sono da sempre viste come una «roba da maschi», fabbriche per sfornare uomini di fatica, con la tuta macchiata d’olio, la chiave inglese in tasca e magari pure lo sguardo truce.

Un errore e una tendenza che negli ultimi anni sta diventando più marcata, allontanando ancora di più il nostro Paese dal resto d’Europa. Perché è anche agli istituti tecnici e professionali che deve guardare l’Italia se vuole uscire dalla crisi.

Solo quest’anno l e nostre aziende hanno cercato 235 mila diplomati tra tecnici e professionali. Ne hanno trovati poco più della me t à ( 1 2 5 mi l a ) perché quella è la quota massima sfornata dalle nostre scuole.

Questo vuol dire che in tempo di cassa integrazione e precariato, più di 1 0 0 mila ragazzi avrebbero potuto trovare un lavoro. Anzi , l ’avrebbero trovato se avessero scelto un istituto tecnico o professionale al posto della trafila classica (liceo + università), a volte presa più per convenzione che per convinzione. I dati presentati a Modena da Confindustria più che riflettere fanno arrabbiare.

Da noi gli istituti tecnici e professionali attirano meno studenti che nel resto d’Europa: il 39,3 per cento considerando l’intera torta delle superiori, contro il 50 per cento di Gran Bretagna, Finlandia e Spagna solo per fare qualche esempio. E considerando solo le quote rosa la tendenza diventa ancora più negativa. Solo il 23,6 per cento delle ragazze che si iscrive alle superiori sceglie un istituto tecnico, nel 2003 erano un po’ di più, il 26,7 per cento. E solo il 18,1% preferisce un istituto professionale, anche qui andava meglio prima con il 18,9% del 2003. A guadagnarci, in questi anni, sono stati i licei dove invece le quote rosa sono in leggero aumento.

Ma dopo il diploma cosa succede? I giovani faticano a trovare un lavoro, le aziende faticano a trovare manodopera. E a complicare l ’ incrocio di domanda e offerta è anche quello che Gianfelice Rocca — vicepresidente di Confindustria e responsabile del settore education – considera un «luogo comune e cioè che la cultura tecnica sia una cosa da maschi».

Confindustria vuole invertire questa tendenza. E per farlo comincia dal cosiddetto Club dei 15, le province dove le imprese manifatturiere contano di più, da Bergamo a Pordenone, da Biella a Reggio Emilia, quella più a Sud è Ancona. Il club, guidato da Alberto Ribolla, ha stretto da tempo una collaborazione con gli istituti tecnici delle zone coinvolte. E d’ora in avanti questa collaborazione punterà proprio al reclutamento in rosa.

Oltre che alla diffusione delle migliori pratiche didattiche. Perché come ha ricordato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, una «buona scuola e una buona università sono fondamentali per la crescita del Paese». E anche dei ragazzi che ieri protestavano davanti al cinema Raffaello di Modena, sede del convegno, aspettando il ministro Mariastella Gelmini che alla fine è rimasta a Roma.


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