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Iscrizioni scolastiche online: discriminazione 2.0

di Marina Boscaino e Marco Guastavigna

05/02/2013
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Retescuole

Il bello è che la letteratura specializzata pullula di saggi, capitoli di libri, testi interi sull’integrazione dei migranti nella scuola statale italiana. E, da almeno una decina di anni, tale tema trova una delle principali argomentazioni nell’enfasi riservata al momento dell’iscrizione. I teorici convengono sul fatto che – in scuole con particolare incidenza di popolazione migrante e prevalenza individuabile di etnie – le segreterie debbano addirittura essere attrezzate con personale che parli la lingua di quel gruppo e modulistica di riferimento, per la presentazione e le informazioni sull’istituto, tradotta appunto nella lingua prevalente, oltre l’italiano. Tutti concordano inoltre nel segnalare come la fase preliminare, quella del primo contatto della famiglia con la scuola, che si concretizza, il più delle volte, al momento dell’iscrizione, sia strategico per una corretta politica inclusiva.

Sì, nel mondo dei sogni e delle favole belle che configurano lo iato tra intenzioni e realtà. Raramente, infatti, queste giuste sollecitazioni trovano applicazione concreta e convincente. E l’attuale (non) destinazione di fondi alle scuole scoraggia qualsiasi fiducia in un futuro migliore. A complicare ulteriormente la situazione ci ha pensato Francesco Profumo: uso di tecnologie digitali come panacea per tutti i mali che affliggono la scuola italiana, dagli apprendimenti, alla didattica e all’organizzazione. Dimostrando, anche in questo, seppure ce ne fosse stato bisogno, che – nonostante moglie insegnante e visite rituali durante il suo mandato – chi ha amministrato la scuola italiana per più di un anno di cosa/come sia una scuola non aveva/ha la minima idea.

Se al solito i media hanno accolto con enfasi neo-positivista l’introduzione delle iscrizioni online, solo chi lavora dentro le scuole – e, in particolare, nelle scuole “difficili”, quelle con la popolazione socialmente più debole – è riuscito a prevedere che non si trattava di una buona idea, nonostante il potenziale sgravio di lavoro per le segreterie. Perché, ancora una volta, si punta a “fare l’Italia senza aver fatto gli Italiani”, imbellettandola, provvedendo ad estemporanee frettolose operazioni di maquillage, per coprire i sintomi della malattia. Fuor di metafora, la digitalizzazione delle iscrizioni e, progressivamente dei dati, ai quali, come tanti, guardiamo con favore, dovrebbe essere la conclusione di un percorso di intervento e sistemazione delle clamorose criticità e disparità che affliggono il nostro sistema, e non l’inizio di una rincorsa alla modernità fino a se stessa che – sic stantibus rebus – è destinata a creare più problemi che vantaggi.

Senza amplificare le pur note difficoltà di ordine pratico che la questione delle iscrizioni online ha e sta creando, come le difficoltà dovute all’intasamento, i dati non salvati, i dati stravolti dopo il salvataggio (ma del resto è noto che le nuove procedure implicano tempi di assestamento e qualche disagio iniziale; e richiederebbero pertanto sperimentazioni e collaudi), ci limitiamo a ricordare che l’Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti sostiene che “non vi sono adeguate garanzie sulla validità della conservazione dei documenti digitali né sulla corretta gestione di informazioni sensibili che sono contenute in essi”.

Ci interessa piuttosto richiamare l’attenzione su conseguenze in ordine al campo dei diritti garantiti per tutti che il cambiamento di procedura ha comportato. Dati Istat 2011: il 58,8% delle famiglie possiede un computer, il 54,5% ha accesso a Internet. Se possiamo rallegrarci per dati che testimoniano negli anni una crescita costante, non possiamo non tener conto della consistente percentuale di famiglie che non hanno accesso autonomo alle tecnologie. Va detto che per costoro gli istituti comprensivi, un po’ ovunque, si sono resi disponibili per l’assistenza alla compilazione delle iscrizioni. Esiste, però, una violazione molto più clamorosa. La richiesta – tra i campi obbligatori – del codice fiscale per completare la procedura di iscrizione, escluderebbe la possibilità ai genitori sforniti di permesso di soggiorno di iscrivere i propri figli alla scuola dell’obbligo, nonostante il Testo Unico immigrazione preveda che i minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico, indipendentemente dalla regolarità della posizione dei loro genitori. Viene dunque subordinato al possesso di un computer e di un permesso di soggiorno l’esercizio di un diritto fondamentale. Violando da una parte addirittura quanto previsto dall’art. 3 della Costituzione, perché le iscrizioni online rappresenterebbero addirittura la costruzione (anziché la rimozione) di un ostacolo nell’esercizio del principio di uguaglianza; e dall’altra, anche del testo che regola tutta la materia immigrazione.

Il MIUR è stato così diffidato del Progetto Melting Pot Europa di Padova affinché modificasse immediatamente il sistema, dando indicazioni chiare, perché il diritto all’istruzione fosse garantito a tutti i minori su tutto il territorio nazionale, a prescindere dalla posizione di soggiorno dei loro genitori. La risposta del Ministero non si è fatta attendere, ma è risultata piuttosto ambigua: “si ribadisce che i genitori di questi studenti devono recarsi presso le segreterie degli istituti scolastici che provvederanno ad acquisire le domande di iscrizione. Del resto, le scuole hanno già a disposizione e utilizzano da tempo una procedura automatizzata per l’iscrizione per questi casi. Allo stesso modo, continua ad essere valida la possibilità di un’unica registrazione per il genitore che ha più figli da iscrivere”. Di quali procedure automatizzate si tratta? E, soprattutto, se davvero esistono procedure automatizzate, perché non prevenire un problema di discriminazione (si sottoporranno in ogni caso i genitori degli studenti migranti ad un trattamento diverso dagli altri) adottandole direttamente? Non è bastata la sentenza della Cassazione secondo cui il diritto allo studio prevale sull’assenza del permesso di soggiorno, riferito all’improprio controllo dei documenti esercitato a Padova da una dirigente scolastica sugli studenti migranti durante l’Esame di Stato?

L’Associazione Nazionale per la Scuola della Repubblica ha poi sottolineato in un comunicato stampa – oltre alle violazioni di cui sopra – “lo stridente contrasto con le scuole paritarie che continuano anche in questa circostanza ad esibire la loro natura di impresa privata e quindi non sottoponibile a obblighi (a fronte dei finanziamenti pubblici percepiti). Perché non consentire analogo trattamento anche nelle scuole dello Stato, salvaguardando il diritto allo studio e la possibilità di esercitarlo a partire dal diritto a una modalità d’iscrizione compatibile con la propria condizione socio-economica, culturale?”.
Insomma, escludendo la volontarietà, la questione delle iscrizioni ha messo drammaticamente a nudo la maniera dilettantistica con cui – tra sbadataggine, incuria, ignoranza – si infligge al più debole la discriminazione da cui, in un Paese civile, dovrebbe essere esente. In nome della Demagogia 2.0.

https://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/02/02/marina-boscaino-e-marco-guastavigna-iscrizioni-scolastiche-online-demagogia-e-discriminazione-2-0/


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