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"Accampati sul tetto per salvare il nostro futuro"

"Accampati sul tetto per salvare il nostro futuro"

25/11/2010
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la Repubblica

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"In un paese civile quando si pensa a una riforma si ascoltano anche i diretti interessati"
Tazebao e tende da campeggio. E il computer sempre collegato al sito della Camera
MAURIZIO CROSETTI



ORINO - Quassù ci sono nuvole rosa e biscottini, pasta fredda e neve sulle montagne vicinissime. Tira vento, quassù. E tra una chitarra e un computer collegato al sito della Camera, tra un precipizio di cemento senza parapetto (paura!) e una tenda da campeggio, con la Mole proprio in faccia e il futuro di lato, gli universitari senza Università lottano e aspettano, parlano e bivaccano, mangiano e dormono.
I ricercatori. I precari. Gli studenti. Gli associati. Gli occupanti e i disoccupati. Quelli che ancora non sono scappati. «Abbiamo un sogno normale, da paese civile: essere ascoltati quando si pensa una riforma. Noi che lavoriamo qui e siamo i primi a volerla, ‘sta riforma». Alessandro Ferretti, ricercatore al dipartimento di fisica sperimentale, ci accompagna sul tetto di Palazzo Nuovo che nuovo non è più da un pezzo, l´orrendo palazzo color topo dove hanno sede le facoltà umanistiche di Torino. Da un murale precipitano allegri goccioloni di pioggia colorata. Una scritta cubitale: "Balle volant, tagli manent" (vedi che fare il classico serve?). Un corridoio deserto, con passi felpati da linoleum e tazebao Anni Settanta (c´è pure il picchetto, pura archeologia), diciotto rampe di scale ("E io dico non può essere vero", è scritto su un muro con un pastello a cera), gli ultimi gradini ripidi e stretti, infine il cielo.
«C´è saldatura tra docenti e studenti, e questa saldatura si chiama idea di Università». Bruno Maida, ricercatore a Scienze della formazione, si è fatto la notte qui. «Se piove siamo fregati, però non pioverà, dai. Il nostro movimento è l´unico che tiene duro veramente, è un interesse pubblico, non un fatto privato». I ragazzi annuiscono e fanno la spola, portano parole e pintoni di rosso. «Adesso arrivano un casino di viveri!», annuncia una tizia spalancando le braccia per contenere, chissà, l´idea platonica di una lasagna al forno.
Ma è mai possibile che si venga ascoltati solo scalando gru, bloccando treni, arrampicandosi come spazzacamini su questo meccano arrugginito? Non esiste altra dialettica, in Italia, se non l´apoteosi da telecamera? «Diciamo che sono le regole: noi conosciamo la comunicazione e la usiamo», ammette Marta Margotti, ricercatrice a Scienze politiche. «Facciamo cose straordinarie solo per tornare alla normalità, anche se bloccare la stazione è sbagliatissimo: si fa il gioco di chi ci ostacola, si mette in crisi la gente che si sposta col treno. Chiediamo di poter lavorare, perché l´Università sia un motore di sviluppo. Ormai scappano all´estero non solo docenti o studenti delle facoltà scientifiche, lo fanno pure gli umanisti e in cambio non arriva nessuno, perché l´Italia non sa attrarre».
Un ragazzo si avvicina un po´ troppo al margine del tetto, mica è prevista una ringhiera, questo non è un attico. «Cerca di non cadere!» gli gridano, poi lo acchiappano per il giubbone imbottito. L´attrezzatura è da montagna, visto che l´arrampicata sul palazzo coincide con la picchiata del termometro, e la notte si va allegramente sotto zero. Goretex e barbera diventano parole d´ordine, gli alleati contro il freddo dentro e fuori.
Forse è peggio il freddo dentro. «Stiamo qui fino a quando non si sblocca qualcosa», promette Alessandro Ferretti. La seconda notte sotto le stelle è anche un problema di turni da organizzare, perché è giusto battere i denti un po´ per uno. A fine novembre, il pomeriggio torinese è brevissimo, il pallido riverbero del sole sparisce di colpo. La Mole, da rosa che era, si fa grigia e densa come un fantasmone di pietra.
Oggi in programma: ore 15, "merenda col ricercatore di Lingue e lettere", ore 16 incontro con Gianni Amelio e Davide Ferrario. «Spero che questa non sia la classica mezza giornata che fa notizia», dice Elana Ochse, professoressa associata di Linguistica inglese. Dal Sudafrica al tetto, ecco il suo viaggio. «Io sono tra i fortunati che hanno un posto sicuro, però sto qui per i miei nipoti, per il loro sacrosanto diritto a un´Università pubblica».
Qualcuno porta uno scatolone di biscotti, e coperte. Ragazzi puliscono per terra, vanno e vengono con palette e scope. Altri, sotto, presidiano, puntini rossi in fondo al precipizio, minuscole braci di sigaretta dove finisce il buio. Finisce?


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