L’Università riapre: problemi e indicazioni sui diritti della docenza
Disarticolazione delle normative, precisazioni sulle responsabilità ed una call sull’eventuale obbligo di videoregistrazione.
In università non sta andando tutto bene. La riapertura è segnata da risorse limitate, dalla scelta del MUR di enfatizzare l’autonomia competitiva, da un improprio ruolo della CRUI di coordinamento del sistema universitario nazionale, oltre che dall’ambigua indicazione della didattica blended. Ogni ateneo sta riaprendo i corsi con formule e formulazione diverse, nelle procedure e nei processi decisionali, nelle priorità delle presenze, nelle modalità didattiche implementate. In questo quadro, la tendenziale disarticolazione del sistema universitario può approfondirsi anche per alcune improvvide ipotesi di rendere strutturali le modalità didattiche emergenziali. Riteniamo pertanto opportuno offrire alcuni approfondimenti e indicazioni sulla responsabilità dei docenti nelle aule, sui problemi dello streaming delle lezioni e sull’obbligo di videoregistrazione che alcuni atenei stanno imponendo. Su quest’ultimo punto il quadro normativo è complesso, ma riteniamo importante che l’insieme dei docenti universitari si attivi in difesa della libertà di insegnamento. In primo luogo, segnalandoci i diversi regolamenti, delibere e indicazioni adottati nei rispettivi atenei o Dipartimenti; in secondo luogo, contribuendo alla definizione di più precise indicazioni in difesa dei propri diritti, mandando osservazioni e considerazioni di carattere normativo o giuridico [spedire entrambi a unidocenti@flcgil.it]; in terzo luogo, invitando l’intera comunità accademica a discutere nei rispettivi Atenei e strutture didattiche limiti e problemi delle scelte compiute in questi mesi. Come FLC CGIL, in ogni caso, ci impegniamo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi a intervenire per difendere e rilanciare un’università pubblica, in sicurezza e non virtuale.
La comunicazione prevalente sull’università, in queste settimane e in questi mesi, è che sostanzialmente sta andando tutto bene. Non è esattamente così.
Gli investimenti per la gestione dell’emergenza sono stati estremamente limitati [180 milioni di euro per l’estensione della no-tax area e delle borse dell’ultimo anno di dottorato, un centinaio di milioni per i supporti tecnologici]. Diversamente da altri settori, le università non hanno potuto implementare uno sforzo straordinario per mettere in sicurezza gli atenei, ampliare gli spazi, duplicare (o moltiplicare) i corsi, riducendone quindi la dimensione numerica per riuscire a tenerli tutti (o quasi) in presenza.
Si è invece scelto di concentrarsi sostanzialmente sulla didattica a distanza: il MUR (sin dal primo documento di indirizzo, ad aprile, sulle diverse fasi di riapertura) ha indicato, a risorse più o meno immutate, la soluzione della didattica a distanza generalizzando l’impostazione blended di alcuni corsi. Per didattica blended, nella normativa universitaria, si è sempre inteso quei corsi di studio che prevedevano parte delle attività in presenza e parte a distanza (per numero di CFU non inferiore al 30% e non superiore al 75% dei CFU totali: vedi ad esempio il documento ANVUR Finalità e procedure per l’accreditamento periodico dei corsi di studio telematici). Il MUR e gli atenei, in realtà, hanno rivisitato e riconfigurato questo termine, nel quadro della didattica a distanza emergenziale che si è sviluppata nella scorsa primavera.
Le università e le università italiane in particolare hanno una lunga esperienza di didattica a distanza: una delle prime strutture al mondo a implementarla fu il Consorzio Uninettuno nel 1992 (con trasmissione satellitare delle lezioni) e da allora si sono sviluppati non solo numerosi corsi telematici [in atenei statali e non statali], ma una decine di università telematiche che fanno pienamente parte del sistema universitario nazionale (sotto coordinamento e sorveglianza del MUR). Una lunga esperienza che ha permesso di verificare e contenere i limiti di questa particolare modalità didattica. Lo stesso documento ANVUR prima ricordato, ad esempio, formalizza l’esistenza di una didattica erogativa (DE) e di una didattica interattiva (DI): la prima assimilabile alla trasmissione delle lezioni (registrazioni audio-video, lezioni in web conference, courseware prestrutturati), la seconda ad attività di supporto necessarie ed inderogabili (interventi didattici integrativi del docente o tutor in faqs, mailing list o web forum; interventi brevi effettuate dai corsisti in web forum, blog, wiki; e-tivity strutturate come report, esercizi, studi di caso, problem solving, web quest, progetti, tutti con relativo feed-back; forme tipiche di valutazione formativa, con il carattere di questionari o test in itinere). Le norme per l’accreditamento prevedono infatti che ogni CFU di didattica a distanza (per almeno 6 ore e auspicabilmente oltre questa soglia minima) comprenda entrambe queste attività (DE+DI), garantendo altresì almeno un’ora per CFU sia per la DE che per la DI. Tutto questo è stato implementato in diversi regolamenti di Ateneo, che prevedevano anche precisi rapporti tra ore di didattica in presenza e a distanza (DE), di solito pari 1:2 o addirittura 1:3.
Nel corso della primavera, ovviamente, di tutto questo non si è tenuto conto: in emergenza si è semplicemente trasferito i corsi on line. Meno ovvio è che il MUR e gli Atenei abbiano scelto sostanzialmente di non considerare queste indicazioni per l’autunno, pur avendo a disposizione questa esperienza e questa formalizzazione. Si è deciso invece di replicare la didattica a distanza emergenziale (semplice trasferimento on line dei corsi, in alcuni casi videoregistrati), di intervallarla con lezioni in presenza (didattica blended) o di introdurre l’innovativa e mai sperimentata lezione blended [cioè una lezione in presenza ripresa e trasmessa on line o videoregistrata].
Così, il nuovo anno accademico è organizzato parte in presenza e parte a distanza, con formule e formulazioni diverse a seconda degli Atenei. Tutto questo è avvenuto infatti in assenza di indirizzi, protocolli o indicazioni nazionali, per un’esplicita scelta politica del MUR che prima ha enfatizzato l’autonomia competitiva degli Atenei e poi, nel corso dell’estate, ha sostanzialmente devoluto il ruolo di coordinamento ed indirizzo del sistema universitario nazionale alla CRUI (un’associazione privata che non raccoglie nemmeno tutti i Rettori delle università italiane). Una scelta evidente nella circolare agli Atenei di inizio agosto, che assume come propri i documenti CRUI, come nel DPCM del 7 agosto 2020, che con l’allegato 18 incapsula esplicitamente le indicazioni CRUI nella normativa del governo. Di conseguenza, ogni ateneo ha non solo adottato scelte operative diverse, nel quadro delle sue specifiche condizioni (dimensioni, spazi, ecc) e della sua autonomia gestionale, ma ha anche stabilito propri indirizzi didattici, procedure, compiti del personale e norme di sicurezza, differenziati e talvolta contrastanti con quelli degli altri atenei.
Così, alcuni atenei hanno privilegiato la frequenza in presenza delle matricole (i neo iscritti all’università, che per larga parte hanno già dovuto subire la didattica a distanza nell’ultimo anno di scuola superiore), altri hanno privilegiato invece i corsi di laurea magistrale (meno numerosi e con una didattica spesso più interattiva). Alcuni hanno privilegiato forme miste (in presenza e a distanza), altri hanno privilegiato forme a distanza per alcuni e in presenza per altri. Alcuni, nel caso della frequenza, hanno lasciato libera la scelta agli studenti, altri hanno previsto precise norme e priorità alle presenze, altri ancora hanno stabilito specifiche esclusioni (per esempio impedendo agli studenti fuori corso la frequenza in presenza delle lezioni o, inserendo tornelli di ingresso alle strutture, impedendo del tutto il libero accesso nell’università, con il rischio che non sia solo per l’emergenza). Alcuni hanno obbligato alla registrazione delle lezioni e la loro messa a disposizione degli studenti (con modalità e tempi diversi per ogni realtà), altri hanno obbligato allo streaming delle lezioni in presenza, altri ancora hanno lasciato libertà di autodeterminarsi alle singole strutture (Dipartimenti e corsi di laurea, talvolta i singoli docenti). Alcuni hanno stabilito precise norme sul carico didattico dei docenti in relazione alla didattica a distanza (prevedendo in genere un rapporto 1:2 con le lezioni in presenza), altri hanno stabilito obblighi di un rapporto 1:1 (la replica totale dell’orario previsto in presenza nelle lezioni a distanza), altri ancora hanno lasciato margini di flessibilità o gradi di libertà alle strutture didattiche o anche ai singoli docenti. In alcuni ai docenti è affidato il controllo dell’accesso alle aule e delle frequenze, in altri non è esplicitamente affidato questo compito, in altri ancora non è ancora chiaro quali siano le sue responsabilità.
L’assenza di provvedimenti nazionali ha inciso anche sulle procedure e sui processi decisionali. Il sistema universitario nazionale, che comprende sia gli atenei statali sia quelli non statali, è tenuto insieme non solo da diverse norme sulla struttura delle università e l’inquadramento della docenza universitaria (Legge 240 del 2010 e per alcuni aspetti diversi Regi Decreti, come il 1269 del 1938 o il 1592 del 1933), ma anche da diverse norme relative all’inquadramento didattico dei suoi corsi (dal DM 509 del 1999 al DM 270 del 2004). Una normativa complessa e complessiva, secondo la quale ciò che è insegnato (ma anche alcuni aspetti di come è insegnato, nel rispetto della libertà della docenza) da una parte è sottoposto al vaglio di alcuni organismi nazionali (CUN e ANVUR), dall’altro è stabilito in ordinamenti, piani di studio, modalità didattiche decisi da Consigli di corso di studio, scuole e dipartimenti, nel rispetto dei rispettivi RDA. Un impianto, cioè, che da una parte definisce alcuni parametri nazionali, dall’altro assegna decisioni e responsabilità a strutture accademiche che, dall’approvazione de DM 382 del 1980, sono collegiali, partecipative e democratiche (almeno nella loro forma). L’emergenza, però, è stata anche occasione di superamento o stravolgimento di queste procedure. In alcuni atenei i consigli di corso di laurea, di scuola e di dipartimento sono stati coinvolti nelle decisioni relative alla riapertura, in altri si sono imposti i Senati Accademici (accentrando decisioni che sono in realtà proprie delle strutture accademiche di riferimento), in altri addirittura sono intervenuti direttamente i Rettori (con propri decreti) o task force specifiche, che hanno imposto i livelli decisionali fuori da ogni prassi e normativa. Dopo l’accentramento prodotto dalla legge Gelmini, l’emergenza ha quindi innescato un’ulteriore torsione negli Atenei, dando un ulteriore colpo all’impianto democratico delle università italiane. Uno stato di eccezione accademica su cui, come organizzazione sindacale, riteniamo non solo giusto ma anche importante sollevare l’attenzione dell’insieme della comunità universitaria, al fine di tornare non solo allo status quo ante, ma di rivedere anche quegli aspetti di accentramento presenti nella legge 240/2010 e che abbiamo combattuto sin dalla sua approvazione dieci anni fa.
Infine, come organizzazione sindacale riteniamo utile offrire alcune riflessioni ed indicazioni su alcuni specifici aspetti di questa gestione emergenziale, che interessano direttamente la docenza universitaria.
La responsabilità dei docenti universitari in aula. Da molti atenei stiamo ricevendo richieste di chiarimento sul ruolo dei docenti nella gestione di alcune norme di sicurezza ed in particolare sulla legittimità di alcune richieste delle rispettive amministrazioni, che in alcuni casi sottolineano vagamente e genericamente la responsabilità civile e penale della docenza universitaria durante le lezioni (più o meno in analogia con quanto previsto per i docenti delle scuole). È importante allora precisare che gli studenti dell’università sono maggiorenni, quindi adulti e pienamente responsabili delle proprie condotte. Sul personale universitario, quindi, sia esso docente o tecnico amministrativo, non ricade alcuna particolare responsabilità di vigilanza, in relazione agli articoli del codice civile numero 2048 (Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte) e 2051 (Responsabilità del custode): cioè il personale universitario non è responsabile dei danni cagionati dagli studenti a se stessi o verso gli altri, nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza (con il preciso obbligo di fare tutto il possibile per impedire eventuali eventi dannosi). Detto questo, è però utile anche ricordare che tutto il personale universitario è riconducibile, per gli articoli 357 e 358 del Codice Penale, alla funzione di pubblici ufficiali nel corso del loro lavoro. Tanto più questo vale per i docenti universitari, che sono ancora inquadrati come dipendenti pubblici non contrattualizzati. Di conseguenza, è ovvio che tutto il personale universitario, ed in particolare quello docente nel corso delle lezioni, ha un compito di controllo sul mantenimento delle norme di sicurezza (come nel caso di un incendio, quando è specifico compito del docente essere l’ultimo ad abbandonare l’aula, verificando che essa sia vuota e assicurandosi di compiere tutte le indicazioni previste dal proprio piano di emergenza). Da questo punto di vista, quindi, risulta legittima l’eventuale richiesta dell’amministrazione di controllare, all’interno delle aule, sul rispetto dei posti utilizzabili dagli studenti, sull’uso delle mascherine (previsto dal DPCM del 7 agosto) e sulla corretta applicazione nella propria aula dell’insieme delle disposizioni vigenti (come il divieto di assembramento e il mantenimento della distanza interpersonale). Dopodiché, i docenti non sono ufficiali di pubblica sicurezza, titolati ad imporre comportamenti a persone adulte e responsabili: di conseguenza, al di là del controllo su eventuali infrazioni e del loro immediato intervento per chiedere il rispetto delle relative disposizioni, è utile che protocolli, regolamenti e indicazioni definite dagli atenei precisino quale comportamento adottare in caso di perdurante infrazione (sospensione delle lezioni, richiesta intervento di personale titolato, richiesta di identificazione delle persone per eventuali provvedimenti disciplinari, ecc). Fatta questa richiesta, meglio se per iscritto, e in attesa delle indicazioni ufficiali, rimane tuttavia nella responsabilità del docente assumere le misure che si ritengono opportune fra quelle sopra esemplificate (sospensione delle lezioni, richiesta intervento di personale titolato, richiesta di identificazione delle persone per eventuali provvedimenti disciplinari, ecc), al fine di poter eventualmente dimostrare che si è fatto tutto quanto possibile per far rispettare le regole generali imposte dalla legge per il contenimento del virus.
Uso dello streaming: lezioni in presenza che vengono proiettate on line (con aula splittata). La generica indicazione blended assunta dalla CRUI e dal MUR nel corso dell’estate, con una sua opinabile e discrezionale interpretazione che si è diffusa nelle università, ha aperto all’implementazione di questa nuova e particolare forma didattica. Diversi Atenei hanno deciso in questi mesi investimenti infrastrutturali, per dotare tutte le aule (o larga parte di esse) di apparati informatici e microfoni ambientali, in grado di riprendere le lezioni, talvolta anche con la dotazione di lavagne telematiche interattive. Tale possibilità è stata anche indicata dal Ministro Manfredi e da numerosi Rettori, in loro interviste e dichiarazioni, come un’innovazione in grado di accrescere le potenzialità dell’università e che quindi dovrà esser acquisita strutturalmente nei prossimi anni da tutti gli Atenei. Non siamo d’accordo con queste considerazioni, da un punto di vista didattico e da un punto di vista strutturale. Come abbiamo sottolineato, l’università italiana ha una lunga esperienza sulla didattica a distanza, che è stata per questo configurata con particolari modalità (Didattica Erogata e Didattica Interattiva) proprio sulla base dei limiti e delle problematicità riscontrate. Ovviamente, nel corso di un’emergenza sono concepibili strumenti e modalità eccezionali, per non interrompere gli studi e garantire straordinariamente un servizio. Così è stato la scorsa primavera. In questo quadro, però, risulta improprio imporre oggi una modalità didattica ibrida come fosse naturale, occultando evidenti ed ulteriori limiti rispetto alla stessa DAD. Lo streaming delle lezioni in presenza, infatti, comporta notevoli problemi di ordine didattico e gestionale. Di ordine didattico: le lezioni sono infatti strutturate differentemente a seconda dei canali attraverso cui sono svolte (persino nei tempi di svolgimento, oltre che nei contenuti e nelle modalità di esposizione) ed una modalità ibrida rischia di esser confusa e confusiva (sia per il docente che la deve strutturare, sia per gli studenti che la devono seguire). Di ordine organizzativo: la trasmissione on line infatti impone alcune inevitabili limitazioni (di movimento e di interazione), con un’ulteriore difficoltà di gestione da parte del docente che deve seguire contemporaneamente eventuali interazioni in presenza e on line. Riteniamo che questa modalità confusa e confusiva, sperimentata oggi in modo improvvisato e approssimativo, non possa proprio essere indicata come frontiera dell’innovazione o addirittura come orizzonte strutturale di trasformazione delle università. Riteniamo infatti che tale strumento sia parziale e quindi sia utilizzabile solo straordinariamente, volontariamente [per scelta del singolo docente, nel quadro della sua libertà di insegnamento] e con grande consapevolezza della sua problematicità didattica e organizzativa.
Obbligo di videoregistrazione delle lezioni universitarie. Diversi atenei, nei loro regolamenti e nelle loro disposizioni sulla fase tre, hanno previsto l’obbligo da parte dei docenti universitari di registrare le proprie lezioni (in presenza e/o a distanza). Riteniamo tale indicazione estremamente problematica, non solo da un punto di vista didattico ma anche da un punto di vista normativo, in relazione ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Lo Statuto dei lavoratori (legge 300 del 1970), anche nelle sue recenti novazioni (Legge 183 del 2014 e DL 151 del 2015) prevede la possibilità di usare impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo, soprattutto quando necessari per svolgere la prestazione lavorativa. Il loro uso è però limitato da alcuni vincoli che dovrebbero essere precisati e definiti. In molti atenei, invece, si sono approntate apparecchiature e disposizioni per la videoregistrazione delle lezioni, senza che questi limiti siano stati definiti. L’uso delle registrazioni per un possibile controllo sulla didattica (sia formale sia nei contenuti), mette inoltre in gioco non solo problematiche di carattere giuslavoristico, ma forse anche alcuni profili costituzionali in relazione alla libertà della docenza. Infine si pone inevitabilmente anche un tema legato alla proprietà delle videoregistrazioni: le lezioni universitarie sono infatti incontestabilmente opere di ingegno che, in questo caso, sarebbero archiviate, mantenute e riprodotte dall’università (oltre porsi il delicato problema dell’uso di eventuali materiali soggetti a copyright di terzi: uso oggi consentito a lezione dalla normativa, la cui riproduzione audiovisiva potrebbe comportare contestazioni inerenti a tali diritti di riproduzione). Non a caso alcuni atenei stanno chiedendo a tutto il personale docente la sottoscrizione di una cessione dei diritti su queste lezioni, al contempo però mantenendo ai singoli ogni responsabilità civile e penale nei confronti di eventuali terzi. Riteniamo quindi, come organizzazione sindacale, che tale imposizione sia sbagliata e che la richiesta di sottoscrizione di qualunque liberatoria sia illegittima (e come tale indichiamo di non sottoscriverla).
In questo quadro complesso e articolato, in cui si intrecciano diversi campi del diritto e in assenza di una giurisprudenza consolidata, riteniamo utile segnalare a tutto il corpo docente la particolare problematicità di questi interventi, anche in un’ottica straordinaria ed emergenziale. Per questo, riteniamo importante che l’insieme dei docenti universitari si attivi in difesa della propria libertà di insegnamento e contro una deriva che rischia di cambiare strutturalmente l’università. Come?
- In primo luogo, segnalandoci i diversi regolamenti, delibere e indicazioni che sono state adottate o emanate nei vostri atenei (o nei vostri Dipartimenti), per comporre un quadro il più possibile completo e dettagliato delle differenziazioni e delle divergenze in corso nelle diverse università [spedire a unidocenti@flcgil.it].
- In secondo luogo, contribuendo alla definizione di più precise indicazioni sindacali e giuridiche in difesa dei propri diritti, mandando osservazioni e considerazioni giuridiche di cui siete a conoscenza o che avete elaborato, al fine di raccogliere pareri e argomentazioni, e quindi evitare che nel corso di questo anno accademico la possibile distopia di un’università virtuale e controllante possa tradursi in realtà [spedire a unidocenti@flcgil.it].
- In terzo luogo, prendendo parola nei propri Atenei e nelle proprie strutture didattiche: invitiamo cioè l’intera comunità accademica a discutere esplicitamente limiti e problemi delle scelte didattiche e organizzative che sono state sviluppate in questi mesi, aprendo discussioni e confronti nelle rispettive strutture didattiche, in cui in primo luogo si prenda chiaramente una posizione sulla straordinarietà e la limitazione di ogni scelta organizzativa e didattica assunta in questi mesi.
Come FLC CGIL, in ogni caso, ci impegniamo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi ad intervenire per difendere e rilanciare un’università pubblica, in sicurezza e non virtuale.
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