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Unità-Simboli religiosi e spazi pubblici

Simboli religiosi e spazi pubblici La Corte Costituzionale ha dunque dichiarato la inammissibilità del ricorso del TAR del Veneto sulla questione del Crocefisso a scuola perché la norma che lo co...

17/12/2004
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l'Unità

Simboli religiosi e spazi pubblici

La Corte Costituzionale ha dunque dichiarato la inammissibilità del ricorso del TAR del Veneto sulla questione del Crocefisso a scuola perché la norma che lo consente (o impone?) è di tipo regolamentare e non legislativo. Così si è pilatescamente, ancorché inappuntabilmente, lavata le mani rispetto ad un tema politicamente caldo, mettendosi al riparo da eventuali attacchi sia da parte laica che da parte cattolica e soprattutto da parte della schiera crescente dei "laici devoti". Ma allora a chi dovrà rivolgersi il cittadino - cattolico o meno - che ha a cuore la laicità dello stato (che abbiamo scoperto deve pagare di tasca sua il crocefisso come parte degli arredi scolastici), quindi della scuola pubblica? E chi, se non la Corte Costituzionale, può proteggere il cittadino, in particolare quello piccolo e indifeso, dalla protervia di regolamenti, circolari, delibere a maggioranza di consigli scolastici e così via, che offendono la sua sensibilità e ledono la sua libertà e uguaglianza rispetto agli altri? Ricordo la sobria dichiarazione di Tullia Zevi quando scoppiò il caso della scuola del piccolo paese dell'Aquila ove un padre mussulmano aveva chiesto, ottenendo il sostegno del giudice, che il crocefisso venisse rimosso dall'aula frequentata dai suoi figli. In quella occasione Tullia Zevi dichiarò in una intervista che quel simbolo nelle aule delle scuole pubbliche era sempre stata una sofferenza per gli scolari ebrei e le loro famiglie - italiane. Nella sua sobrietà e cortesia, non ricordò che in nome del fatto che non aderivano alla religione del crocefisso gli ebrei, anche in Italia, vennero a lungo ghettizzati (anche e soprattutto nello Stato Pontificio) e poi sterminati. Altro che crocefisso simbolo della unità e identità nazionale, come a mio parere avventatamente dichiarò allora Ciampi, anche con l'assenso di parte della sinistra e come ha ripetuto ieri una esponente diessina di valore come Livia Turco.
Due sono le questioni ineludibili che una cultura laica deve affrontare, senza tema di essere accusata di vetero-laicismo (accusa ormai rivolta a chiunque non faccia parte dei laici devoti, ovvero a chiunque cerchi di essere veramente laico, a prescindere dalla propria appartenenza religiosa). La prima riguarda, appunto, lo spazio pubblico come spazio che non può essere appropriato da nessuna confessione religiosa così come da nessun orientamento politico: neutrale non perché cancella i valori e le differenze, ma perché le mette in condizioni di parità e quindi anche di comunicazione per libera decisione dei soggetti. La seconda riguarda la pretesa che il crocefisso (o il presepe) simboleggi l'identità nazionale. Anche senza ricordare le malefatte che in suo nome sono state commesse - che richiederebbero almeno un po' più di umiltà e riservatezza - anche assumendone i significati positivi, anche prendendo atto che il cristianesimo e in particolare il cattolicesimo fanno parte, nel bene e nel male, della cultura e storia italiane, imporli a tutti come "radici" e identità comune è un salto logico e culturale.
In ogni caso, spiace osservare che mentre in altri paesi (si pensi a Francia e Germania) la questione dei simboli religiosi negli spazi pubblici è stata oggetto di un dibattito istituzionale pubblico e di regolazione - più o meno controversa - al più alto livello (una legge dello stato in Francia, una pronuncia chiara della Corte Costituzionale in Germania), in Italia essa è lasciata agli psicodrammi politico-emotivi mentre la Corte se ne lava le mani.


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