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Unità: Scuola, Gelmini in retromarcia:

il 30% di stranieri ma nati all’estero

11/01/2010
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l'Unità

Stefano Miliani
Bene. Chi è nato in Italia, anche se ha la carnagione un po’ più scura o ha tratti orientali oppure slavi, e magari parla con accento milanese, o raddoppia qualche consonante come fanno a Roma, o aspira la C come fanno i fiorentini, non starà sotto il tetto del30%degli studenti stranieri seduti in classe. Lo ha puntualizzato ieri a Lucia Annunziata a Mezz’ora su Raitre il ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, ridimensionando il suo stesso provvedimento, o meglio spazzando via un po’ del polverone da lei medesima provocato visto che aveva gettato in un mare di angosciose incertezze alunni, genitori, insegnanti e presidi, ansiosi di sapere cosa accadrà dal prossimo anno scolastico dopo la circolare di venerdì scorso, la numero 2 del 2010. Per di più, è sempre il ministro a dirlo, gli studenti nati dentro i confini patrii da genitori venuti oltre confine, e quindi esclusi da quel tetto, sono il37%degli «stranieri». D’altronde, a sentire qualche insegnante con una classe multietnica, avere ragazzi con altre lingue madri non è certo «il» problema più grosso nonostante le frequenti paure dei genitori italiani. È invece un vero freno il fatto che, grazie al ministro Gelmini, eventuali difficoltà degli allievi adesso vanno concentrate tutte nell’imboto dell’orario scolastico normale e non più, com’era fino all’anno scorso nelle classi a tempo pieno, in lezioni con piccoli gruppi di approfondimento o nelle 4 ore di compresenza con altri insegnanti. Domanda: gli studenti non nati in Italia e oltre il tetto del 30% il primo giorno del prossimo anno scolastico dove andranno? A Raitre Mariastella Gelmini ha promesso che li trasferiranno in plessi scolastici vicini, da quartiere a quartiere, «senza pesare sulle famiglie», appoggiandosi dove necessario «a convenzioni con enti locali». Era in vena di promesse: ha detto di voler potenziare «l’alfabetizzazione degli alunni stranieri», di aver stanziato «20 milioni di euro» per rafforzare le classi d’inserimento. E si è difesa: ha pensato a questo 30% sull’esperienza di dirigenti e docenti, non per ideologia. VITA IN UNA CLASSE FIORENTINA Chi va quotidianamente in classe segnala altre urgenze. Morgana di Ascenzo insegna nella quarta della scuola primaria Cairoli a Firenze. Zona piuttosto centrale. Su 16 bambini ha un pezzo di mondo: 2 italiani, una piccola di origine «mista », poi filippini, albanesi, un singalese, un egiziano, un marocchino, un argentino, una polacca. Solo 3 o 4 sono nati all’estero. Tranne un filippino arrivato 2 anni fa, gli altri parlano un italiano «più che accettabile, comunicano bene, sanno fare l’analisi logica e grammaticale - spiega - Piuttosto hanno qualche carenza nel vocabolario o nella sintassi perché a casa non parlano italiano con i genitori ». L’aiuto linguistico serve e viene da un centro privato che lavora per il Comune. Se nella sua classe prevalgono nettamente gli «stranieri » è perché, senza nonni o parenti cui appoggiarsi, i loro genitori scelgono il tempo pieno. «Ma lo vediamo ogni giorno: i bambini stranieri stimolano, imparano velocemente, sono pieni di entusiasmo, rispettano tutti gli adulti». È più negli italiani «doc» invece, specie alle medie o alle superiori, che tanti insegnanti trovano il muro del disincanto o del disinteresse. E in zone marginali come San Donnino, nella piana fiorentina verso Campie Prato, ad alta densità cinese, con gli «indigeni» che non sono benestanti, i più bravi e determinati, ad esempio nelle scienze e in matematica, di solito hanno genitori venuti da lontano


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