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Unità-La farfalla e il nucleare

La farfalla e il nucleare di Pietro Greco Basta un battito d'ali di una farfalla in Amazzonia per scatenare un uragano nel Texas, sosteneva quaranta anni fa il meteorologo Edward Lorenz quando sul...

04/01/2006
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l'Unità

La farfalla e il nucleare
di Pietro Greco

Basta un battito d'ali di una farfalla in Amazzonia per scatenare un uragano nel Texas, sosteneva quaranta anni fa il meteorologo Edward Lorenz quando sul suo computer (ri)scoprì la dinamica non lineare e largamente imprevedibile dei sistemi complessi a causa della loro estrema sensibilità alle condizioni iniziali, divenuta famosa come "caos deterministico". Due anni fa, nel mese di settembre 2003, la caduta di un pino in Svizzera causò un black-out di diverse ore in Italia. Oggi Mosca e Kiev litigano e Roma rischia di restare senza luce, per mancanza di corrente elettrica. Ma questa condizione di estrema sensibilità del sistema energetico italiano agli eventi naturali o politici che accadono nel mondo non è la conferma empirica dell'"effetto farfalla" scoperto da Lorenz. Non è una manifestazione del "caos deterministico". Sono gli effetti, prevedibilissimi, del banale caos che può provocare, con frequenza ricorrente, la struttura del sistema con cui il nostro Paese consuma.

Una struttura fin troppo lineare e ben poco dinamica.

Siamo il paese europeo che in fatto di energia vanta, si fa per dire, la minore diversificazione delle fonti e la maggiore dipendenza dall'estero. Abbiamo, in pratica, una sola fonte: i combustibili fossili (carbone, petrolio, metano) che insieme coprono la gran parte della nostra domanda di energia. E dipendiamo dall'estero per l'85% di questa fonte. È questa struttura anomala che pone il nostro sistema energetico in una condizione di eterna emergenza. Dipendendo totalmente dalla fonte, una e trina, dei combustibili fossili, in caso di fluttuazioni di questa fonte l'Italia dell'energia si trova come ingessata: ha poche possibilità di risposta e grosse difficoltà a recuperare in tempi rapidi una condizione di equilibrio.

Essendo poi questa fonte allocata all'estero per l'85% ed essendo una parte della nostra capacità di risposta (l'acquisto di energia elettrica) a sua volta allocata all'estero, ecco che qualsiasi turbativa dello scenario internazionale - dalla caduta di un albero in Svizzera al litigio tra il russo Putin e l'ucraino Yushenko - è sufficiente ad accendere in Italia il rischio black-out.

Come uscire da questa condizione di ingessata fragilità? Facendo quello che il governo Berlusconi non ha fatto: costruendo un sistema energetico più complesso. Capace di assorbire meglio le perturbazioni, naturali o politiche, che ogni giorno si verificano nel mondo. È vero: la condizione di fragilità del sistema energetico italiano ha radici antiche.

Ma è anche vero che il governo Berlusconi in questi cinque anni ha aggravato la situazione, sia facendo aumentare e non diminuire, la dipendenza dall'estero; sia evitando in maniera sistematica e, ormai dovremmo dire, accurata di cercare fonti energetiche alternative reali e proponendo, in maniera ancora una volta sistematica, soluzioni, come il nucleare, che sono del tutto propagandistiche. Sia perché non affrontano, qui e ora, la situazione reale (una politica nucleare avrebbe comunque bisogno di almeno quindici o venti anni per poter essere sviluppata), sia perché anche rispetto al nucleare in cinque anni di ripetuti annunci non è stato avviato assolutamente nulla.

Ecco dunque che il nuovo governo che si insedierà il più presto possibile nel 2006 dovrà affrontare, tra le tante emergenze, anche quella energetica. Se sarà un nuovo governo di centro destra abbiamo fondati dubbi che l'Italia possa uscire dal paradosso della sua condizione di strutturale emergenza. Per cui dovremo continuare a sperare che il bel tempo assista la Svizzera e che Putin non si svegli di cattivo umore.

Se, come ci auguriamo, sarà un governo di centro sinistra occorrerà varare una politica che in tempi brevi ci faccia uscire dall'emergenza e, contestualmente, costruisca una struttura energetica più diversificata nelle fonti e meno dipendente dall'estero. Tenendo in conto un altro vincolo, ormai ineludibile. Il protocollo di Kyoto ci impone di ridurre di circa il 15% le nostre emissioni di anidride carbonica, prodotte dall'uso dei combustibili fossili.

Che fare, in concreto? Razionalizzare il sistema esistente, certamente. Ma percorrere anche una doppia strada. Da un lato quella del risparmio energetico: i tecnici dicono che in questo modo è possibile evitare di consumare (e, quindi, di acquistare all'estero) quantità importanti di energia. Dall'altra "credere" e, quindi, investire nelle fonti energetiche alternative: il solare, nelle sue varie forme, e l'eolico, soprattutto. L'Unione Europea - non qualche gruppo di ambientalisti fondamentalisti - sostiene che è realistico uno sviluppo di queste fonti fino ad almeno il 15% della domanda totale di energia. È davvero paradossale che a non credere in questa opzione sia proprio uno dei paesi europei che ha le maggiori risorse (di sole e di vento) e il paese che per la sua sicurezza, energetica e anche politica, ne ha in assoluto la maggiore necessità: l'Italia.

C'è infine un altro percorso da intraprendere. Quello della ricerca scientifica in ogni settore energetico, incluso il nucleare (verifichiamo, per esempio, la fattibilità del nucleare di IV generazione). Ma sapendo che questa ricerca - riguardi il solare o il nucleare - sarà assolutamente decisiva per il futuro, ma potrà darci solo aiuti limitati per l'immediato.


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