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Unità: Il senso dei diritti

Il caso Milano

10/01/2008
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l'Unità

Oreste Pivetta

Con la grazia che la segna fin dal nome, Letizia Moratti aveva scelto la vigilia di Natale per comunicare quali bambini potessero frequentare le scuole materne e quali dovessero invece tenersene alla larga. Via di qui, brutti mocciosi: la maestrina che siede a Palazzo Marino sogna l’Expo 2015 per i suoi affari e teme che qualche discolo dalla faccia sporca le imbratti i muri e le strade.
Chissà chi le avrà suggerito di applicare la perfida Bossi-Fini al punto da impedire l’iscrizione alle scuole materne dei figli degli immigrati clandestini. Negando banali diritti dell’infanzia e ovvie leggi italiane, secondo le quali i minori stranieri possono frequentare le scuole pubbliche qualunque sia la condizione giuridica delle loro famiglie. Con un tonfo nell’arroganza e nell’insipienza, che potrebbe indurre qualsiasi membro dell’ufficio internazionale delle esposizioni a cancellare la candidatura milanese: per indegnità.
Non sarebbe neppure il caso di prendere in mano leggi e regolamentiSon cose che in momenti difficili, di tanto drammatici cambiamenti, di dure condizioni, anche di tante speranze («grandi speranze», come s’illudeva l’orfanello dickensiano Philip Pirrip detto Pip) dovrebbero risolversi da sé. L’intelligenza e la sensibilità dovrebbero indicare senza fatica la scelta più giusta, che sarebbe anche la scelta più opportuna. Ma evidentemente la signora Moratti non ha nel cuore la politica e neppure il buonsenso: evidentemente il sindaco della città più ricca e potente d’Italia non si rende conto che l’immigrazione trascina con sé infinite storie dolorose e che sarebbe meglio per tutti fare in modo che fossero meno dolorose, per la sua città, per gli immigrati, per i più deboli, per una comunità che vivrebbe meglio se i contrasti fossero meno tenaci, se una certa «integrazione» fosse più vicina, se tutti fin dall’infanzia imparassero a conoscere il nostro paese e a considerarne l’ospitalità, se l’emergenza non fosse l’unica guida.
Che i bambini, di qualsiasi età e di qualsiasi lingua, poveri o ricchi, frequentino una scuola, comincino a imparare la nostra lingua (e pure le nostre leggi), giochino insieme, disegnino sugli stessi banchi, si conoscano, dovrebbe essere un ambito e possibile traguardo. Per evitare i contrasti fino alla lacerazione, alla divisione, per allontanare quell’orrendo fantasma che ogni tanto si materializza e che si chiama razzismo.
Per fortuna molte voci si sono opposte alle circolari del sindaco, per fortuna il ministro Fioroni, al momento giusto ha detto no alla Moratti, ricordando che l’istruzione è un diritto fondamentale dell’uomo e che non garantirlo costituisce una grave lesione della dignità della persona.
I bambini ci guardano era il titolo di un vecchio film di Vittorio De Sica. Si dovrebbe fare in modo che anche i figli degli immigrati clandestini potessero guardarci con i loro occhi caldi di simpatia e di riconoscenza, per un paese che li ospita, che apre le sue scuole, che li aiuta a crescere. Si capisce che è una questione d’umanità, ma che non è solo una questione d’umanità, che è una questione di cuore ed è anche una questione di politica, se si vuole costruire un futuro civile a questo paese. Possibilmente senza più ghetti. Per la nostra pace, per il nostro benessere.
Pazienza se la Lega, per voce di una sua bionda parlamentare, chiama alla rivolta i suoi sindaci contro un governo «per il quale per primi vengono gli immigrati, ancorché clandestini, e poi i cittadini italiani». Non c’è limite al peggio.
A informazione del sindaco (dei suoi concittadini) si dovrebbe aggiungere una recente nota ministeriale (suggeritaci in verità dal sottosegretario in carica, Mariangela Bastico): «In mancanza dei documenti, la scuola iscrive comunque il minore straniero, poiché la posizione di irregolarità non influisce sull’esercizio di un diritto-dovere riconosciuto. Il contenuto delle norme citate nel precedente paragrafo esclude che vi sia un obbligo da parte degli operatori scolastici di denunciare la condizione di soggiorno irregolare degli alunni che stanno frequentando la scuola e, quindi, esercitano un diritto riconosciuto dalla legge».
Proprio così. La nota venne redatta e firmata nel marzo 2006 dall’assessore alle politiche della Scuola del Comune di Milano in carica, Maria Moioli, quando era direttore generale del ministro Letizia Moratti. È una disposizione contenuta nelle «linee» per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri. Accoglienza e integrazione: dovrebbero valere ancora, anche di fronte a qualche intruglio politico inventato per rimanere in sella.


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